eBook - ePub
Storia d'Italia
Francesco Guicciardini
This is a test
Buch teilen
- Italian
- ePUB (handyfreundlich)
- Ăber iOS und Android verfĂŒgbar
eBook - ePub
Storia d'Italia
Francesco Guicciardini
Angaben zum Buch
Buchvorschau
Inhaltsverzeichnis
Quellenangaben
Ăber dieses Buch
La Storia d'Italia, la sola opera che Francesco Guicciardini destinĂČ alla pubblicazione, fu composta tra il 1537 e il 1540, quando l'autore, alla fine della sua carriera politica, viveva ad Arcetri, totalmente libero da impegni politici e diplomatici. L'opera Ăš costituita da venti libri e narra le guerre che portarono alla rovina dell'indipendenza italiana, dalla morte di Lorenzo il Magnifico, 1492, a quella del papa Clemente VII (1534).Ledizioni propone la versione digitale in formato epub di quest'opera fuori diritti.
HĂ€ufig gestellte Fragen
Wie kann ich mein Abo kĂŒndigen?
Gehe einfach zum Kontobereich in den Einstellungen und klicke auf âAbo kĂŒndigenâ â ganz einfach. Nachdem du gekĂŒndigt hast, bleibt deine Mitgliedschaft fĂŒr den verbleibenden Abozeitraum, den du bereits bezahlt hast, aktiv. Mehr Informationen hier.
(Wie) Kann ich BĂŒcher herunterladen?
Derzeit stehen all unsere auf MobilgerĂ€te reagierenden ePub-BĂŒcher zum Download ĂŒber die App zur VerfĂŒgung. Die meisten unserer PDFs stehen ebenfalls zum Download bereit; wir arbeiten daran, auch die ĂŒbrigen PDFs zum Download anzubieten, bei denen dies aktuell noch nicht möglich ist. Weitere Informationen hier.
Welcher Unterschied besteht bei den Preisen zwischen den AboplÀnen?
Mit beiden AboplÀnen erhÀltst du vollen Zugang zur Bibliothek und allen Funktionen von Perlego. Die einzigen Unterschiede bestehen im Preis und dem Abozeitraum: Mit dem Jahresabo sparst du auf 12 Monate gerechnet im Vergleich zum Monatsabo rund 30 %.
Was ist Perlego?
Wir sind ein Online-Abodienst fĂŒr LehrbĂŒcher, bei dem du fĂŒr weniger als den Preis eines einzelnen Buches pro Monat Zugang zu einer ganzen Online-Bibliothek erhĂ€ltst. Mit ĂŒber 1 Million BĂŒchern zu ĂŒber 1.000 verschiedenen Themen haben wir bestimmt alles, was du brauchst! Weitere Informationen hier.
UnterstĂŒtzt Perlego Text-zu-Sprache?
Achte auf das Symbol zum Vorlesen in deinem nÀchsten Buch, um zu sehen, ob du es dir auch anhören kannst. Bei diesem Tool wird dir Text laut vorgelesen, wobei der Text beim Vorlesen auch grafisch hervorgehoben wird. Du kannst das Vorlesen jederzeit anhalten, beschleunigen und verlangsamen. Weitere Informationen hier.
Ist Storia d'Italia als Online-PDF/ePub verfĂŒgbar?
Ja, du hast Zugang zu Storia d'Italia von Francesco Guicciardini im PDF- und/oder ePub-Format sowie zu anderen beliebten BĂŒchern aus History & European History. Aus unserem Katalog stehen dir ĂŒber 1Â Million BĂŒcher zur VerfĂŒgung.
Information
Thema
HistoryThema
European HistoryLIB. 1, CAP. 1
Proposito e fine dellâopera. ProsperitĂ dâItalia intorno al 1490. La politica di Lorenzo deâ Medici ed il desiderio di pace deâ prĂncipi italiani. La confederazione deâ prĂncipi e lâambizione deâ veneziani.
Io ho deliberato di scrivere le cose accadute alla memoria nostra in Italia, dappoi che lâarmi deâ franzesi, chiamate daâ nostri prĂncipi medesimi, cominciorono con grandissimo movimento a perturbarla: materia, per la varietĂ e grandezza loro, molto memorabile e piena di atrocissimi accidenti; avendo patito tanti anni Italia tutte quelle calamitĂ con le quali sogliono i miseri mortali, ora per lâira giusta dâIddio ora dalla empietĂ e sceleratezze degli altri uomini, essere vessati. Dalla cognizione deâ quali casi, tanto vari e tanto gravi, potrĂ ciascuno, e per sĂ© proprio e per bene publico, prendere molti salutiferi documenti onde per innumerabili esempli evidentemente apparirĂ a quanta instabilitĂ , nĂ© altrimenti che uno mare concitato daâ venti, siano sottoposte le cose umane; quanto siano perniciosi, quasi sempre a se stessi ma sempre aâ popoli, i consigli male misurati di coloro che dominano, quando, avendo solamente innanzi agli occhi
o errori vani o le cupiditĂ presenti, non si ricordando delle spesse variazioni della fortuna, e convertendo in detrimento altrui la potestĂ conceduta loro per la salute comune, si fanno, poca prudenza o per troppa ambizione, autori di nuove turbazioni.
Ma le calamitĂ dâItalia (acciocchĂ© io faccia noto quale fusse allora lo stato suo, e insieme le cagioni dalle quali ebbeno lâorigine tanti mali) cominciorono con tanto maggiore dispiacere e spavento negli animi degli uomini quanto le cose universali erano allora piĂș liete e piĂș feli
ci. PerchĂ© manifesto Ăš che, dappoi che lo imperio romano, indebolito principalmente per la mutazione degli antichi costumi, cominciĂČ, giĂ sono piĂș di mille anni, di quella grandezza a declinare alla quale con maravigliosa virtĂș e fortuna era salito, non aveva giammai sentito Italia tanta prosperitĂ , nĂ© provato stato tanto desiderabile quanto era quello nel quale sicuramente si riposava lâanno della salute cristiana mille quattrocento novanta, e gli anni che a quello e prima e poi furono congiunti. PerchĂ©, ridotta tutta in somma pace e tranquillitĂ , coltivata non meno neâ luoghi piĂș montuosi e piĂș sterili che nelle pianure e regioni sue piĂș fertili, nĂ© sottoposta a altro imperio che deâ suoi medesimi, non solo era abbondantissima dâabitatori, di mercatanzie e di ricchezze; ma illustrata sommamente dalla magnificenza di molti prĂncipi, dallo splendore di molte nobilissime e bellissime cittĂ , dalla sedia e maestĂ della religione, fioriva dâuomini prestantissimi nella amministrazione delle cose publiche, e di ingegni molto nobili in tutte le dottrine e in qualunque arte preclara e industriosa; nĂ© priva secondo lâuso di quella etĂ di gloria militare e ornatissima di tante doti, meritamente appresso a tutte le nazioni nome e fama chiarissima riteneva.
Nella quale felicitĂ , acquistata con varie occasioni, la conservavano molte cagioni: ma trallâaltre, di consentimento comune, si attribuiva laude non piccola alla industria e virtĂș di Lorenzo deâ Medici, cittadino tanto eminente sopra âl grado privato nella cittĂ di Firenze che per consiglio suo si reggevano le cose di quella republica, potente piĂș per lâopportunitĂ del sito, per gli ingegni degli uomini e per la prontezza deâ danari, che per grandezza di dominio. E avendosi egli nuovamente congiunto con parentado, e ridotto a prestare fede non mediocre aâ consigli suoi Innocenzo ottavo pontefice romano, era per tutta Italia grande il suo nome, grande nelle deliberazioni delle cose comuni lâautoritĂ . E conoscendo che alla republica fiorentina e a sĂ© proprio sarebbe molto pericoloso se alcuno deâ maggiori potentati ampliasse piĂș la sua potenza, procurava con ogni studio che le cose dâItalia in modo bilanciate si mantenessino che piĂș in una che in unâaltra parte non pendessino: il che, senza la conservazione della pace e senza vegghiare con somma diligenza ogni accidente benchĂ© minimo, succedere non poteva. Concorreva nella medesima inclinazione della quiete comune Ferdinando di Aragona re di Napoli, principe certamente prudentissimo e di grandissima estimazione; con tutto che molte volte per lâaddietro avesse dimostrato pensieri ambiziosi e alieni daâ consigli della pace, e in questo tempo fusse molto stimolato da Alfonso duca di Calavria suo primogenito, il quale malvolentieri tollerava che Giovan Galeazzo Sforza duca di Milano, suo genero, maggiore giĂ di venti anni, benchĂ© di intelletto incapacissimo, ritenendo solamente il nome ducale fusse depresso e soffocato da Lodovico Sforza suo zio: il quale, avendo piĂș di dieci anni prima, per la imprudenza e impudichi costumi della madre madonna Bona, presa la tutela di lui e con questa occasione ridotte a poco a poco in potestĂ propria le fortezze, le genti dâarme, il tesoro e tutti i fondamenti dello stato, perseverava nel governo; nĂ© come tutore o governatore, ma, dal titolo di duca di Milano in fuora, con tutte le dimostrazioni e azioni da principe. E nondimeno Ferdinando, avendo piĂș innanzi agli occhi lâutilitĂ presente che lâantica inclinazione o la indegnazione del figliuolo, benchĂ© giusta, desiderava che Italia non si alterasse; o perchĂ©, avendo provato pochi anni prima, con gravissimo pericolo, lâodio contro a sĂ© deâ baroni e deâ popoli suoi, e sapendo lâaffezione che per la memoria delle cose pas-sate molti deâ sudditi avevano al nome della casa di Francia, dubitasse che le discordie italiane non dessino occasione aâ franzesi di assaltare il reame di Napoli; o perchĂ©, per fare contrapeso alla potenza deâ viniziani, formidabile allora a tutta Italia, conoscesse essere necessaria lâunione sua con gli altri, e specialmente con gli sta-ti di Milano e di Firenze. NĂ© a Lodovico Sforza, benchĂ© di spirito inquieto e ambizioso, poteva piacere altra deliberazione, soprastando non manco a quegli che dominavano a Milano che agli altri il pericolo dal senato viniziano, e perchĂ© gli era piĂș facile conservare nella tranquillitĂ della pace che nelle molestie della guerra lâautoritĂ usurpata. E se bene gli fussino sospetti sempre i pensieri di Ferdinando e di Alfonso dâAragona, nondimeno, essendogli nota la disposizione di Lorenzo deâ Medici alla pace e insieme il timore che egli medesimamente aveva della grandezza loro, e persuadendosi che, per la diversitĂ degli animi e antichi odii tra Ferdinando e i viniziani, fusse vano il temere che tra loro si facesse fondata congiunzione, si riputava assai sicuro che gli Aragonesi non sarebbono accompagnati da altri a tentare contro a lui quello che soli non erano bastanti a ottenere.
Essendo adunque in Ferdinando, Lodovico e Lorenzo, parte per i medesimi parte per diversi rispetti, la medesima intenzione alla pace, si continuava facilmente una confederazione contratta in nome di Ferdinando re di Napoli, di Giovan Galeazzo duca di Milano e della republica fiorentina, per difensione deâ loro stati; la quale, cominciata molti anni innanzi e dipoi interrotta per vari accidenti, era stata nellâanno mille quattrocento ottanta, aderendovi quasi tutti i minori potentati dâItalia, rinnovata per venticinque anni: avendo per fine principalmente di non lasciare diventare piĂș potenti i viniziani; i quali, maggiori senza dubbio di ciascuno deâ confederati ma molto minori di tutti insieme, procedevano con consigli separati daâ consigli comuni, e aspettando di crescere della altrui disunione e travagli, stavano attenti e preparati a valersi di ogni accidente che potesse aprire loro la via allo imperio di tutta Italia: al quale che aspirassino si era in diversi tempi conosciuto molto chiaramente; e specialmente quando, presa occasione dalla morte di Filippo Maria Visconte duca di Milano, tentorono, sotto colore di difendere la libertĂ del popolo milanese, di farsi signori di quello stato; e piĂș frescamente quando, con guerra manifesta, di occupare il ducato di Ferrara si sforzorono. Raffrenava facilmente questa confederazione la cupiditĂ del senato viniziano, ma non congiugneva giĂ i collegati in amicizia sincera e fedele: conciossiacosachĂ©, pieni tra se medesimi di emulazione e di gelosia, non cessavano di osservare assiduamente gli andamenti lâuno dellâaltro, sconciandosi scambievolmente tutti i disegni per i quali a qualunque di essi accrescere si potesse o imperio o riputazione: il che non rendeva manco stabile la pace, anzi destava in tutti maggiore prontezza a procurare di spegnere sollecitamente tutte quelle faville che origine di nuovo incendio essere potessino.
LIB. 1, CAP. 2
Morte di Lorenzo deâ Medici. Morte di papa innocenzo VIII ed elezione di Alessandro VI. La politica amichevole di Piero deâ Medici verso Ferdinando dâAragona ed i primi timori di Lodovico Sforza.
Tale era lo stato delle cose, tali erano i fondamenti della tranquillitĂ dâItalia, disposti e contrapesati in modo che non solo di alterazione presente non si temeva ma nĂ© si poteva facilmente congetturare da quali consigli o per quali casi o con quali armi sâavesse a muovere tanta quiete. Quando, nel mese di aprile dellâanno mille quattrocento novantadue, sopravenne la morte di Lorenzo deâ Medici; morte acerba a lui per lâetĂ , perchĂ© morĂ non finiti ancora quarantaquattro anni; acerba alla patria, la quale, per la riputazione e prudenza sua e per lo ingegno attissimo a tutte le cose onorate e eccellenti, fioriva maravigliosamente di ricchezze e di tutti quegli beni e ornamenti daâ quali suole essere nelle cose umane la lunga pace accompagnata. Ma e fu morte incomodissima al resto dâItalia, cosĂ per lâaltre operazioni le quali da lui, per la sicurtĂ comune, continuamente si facevano, come perchĂ© era mezzo a moderare e quasi uno freno neâ dispareri e neâ sospetti i quali, per diverse cagioni, tra Ferdinando e Lodovico Sforza, prĂncipi di ambizione e di potenza quasi pari, spesse volte nascevano.
La morte di Lorenzo, preparandosi giĂ ogni dĂ piĂș le cose alle future calamitĂ , seguitĂČ, pochi mesi poi, la morte del pontefice; la vita del quale, inutile al publico bene per altro, era almeno utile per questo, che avendo deposte presto lâarmi mosse infelicemente, per gli stimoli di molti baroni del regno di Napoli, nel principio del suo pontificato, contro a Ferdinando, e voltato poi totalmente lâanimo a oziosi diletti, non aveva piĂș, nĂ© per sĂ© nĂ© per i suoi, pensieri accesi a cose che la felicitĂ dâItalia turbare potessino. A Innocenzio succedette Roderigo Borgia, di patria valenziano, una delle cittĂ regie di Spagna, antico cardinale, e deâ maggiori della corte di Roma, ma assunto al pontificato per le discordie che erano tra i cardinali Ascanio Sforza e Giuliano di san Piero a Vincola, ma molto piĂș perchĂ©, con esempio nuovo in quella etĂ , comperĂČ palesemente, parte con danari parte con promesse degli uffici e benefici suoi, che erano amplissimi, molti voti di cardinali: i quali, disprezzatori dellâevangelico ammaestramento, non si vergognorono di vendere la facoltĂ di trafficare col nome della autoritĂ celeste i sacri tesori, nella piĂș eccelsa parte del tempio. Indusse a contrattazione tanto abominevole molti di loro il cardinale Ascanio, ma non giĂ piĂș con le persuasioni e coâ prieghi che con lo esempio; perchĂ© corrotto dallâappetito infinito delle ricchezze, pattuĂ da lui per sĂ©, per prezzo di tanta sceleratezza, la vicecancelleria, ufficio principale della corte romana, chiese, castella e il palagio suo di Roma, pieno di mobili di grandissima valuta. Ma non fuggĂ, per ciĂČ, nĂ© poi il giudicio divino nĂ© allora lâinfamia e odio giusto degli uomini, ripieni per questa elezione di spavento e di orrore, per essere stata celebrata con arti sĂ brutte; e non meno perchĂ© la natura e le condizioni della persona eletta erano conosciute in gran parte da molti: e, tra gli altri, Ăš manifesto che il re di Napoli, benchĂ© in publico il dolore conceputo dissimulasse, significĂČ alla reina sua moglie con lacrime, dalle quali era solito astenersi eziandio nella morte deâ figliuoli, essere creato uno pontefice che sarebbe perniciosissimo a Italia e a tutta la republica cristiana: pronostico veramente non indegno della prudenza di Ferdinando. PerchĂ© in Alessandro sesto (cosĂ volle essere chiamato il nuovo pontefice) fu solerzia e sagacitĂ singolare, consiglio eccellente, efficacia a persuadere maravigliosa, e a tutte le faccende gravi sollecitudine e destrezza incredibile; ma erano queste virtĂș avanzate di grande intervallo daâ vizi: costumi oscenissimi, non sinceritĂ non vergogna non veritĂ non fede non religione, avarizia insaziabile, ambizione immoderata, crudeltĂ piĂș che barbara e ardentissima cupiditĂ di esaltare in qualunque modo i figliuoli i quali erano molti; e tra questi qualcuno, acciocchĂ© a eseguire i pravi consigli non mancassino pravi instrumenti, non meno detestabile in parte alcuna del padre.
Tanta variazione feciono per la morte di Innocenzio ottavo le cose della chiesa. Ma variazione di importanza non minore aveano fatta, per la morte di Lorenzo deâ Medici, le cose di Firenze; ove senza contradizione alcuna era succeduto, nella grandezza del padre, Piero maggiore di tre figliuoli, ancora molto giovane, ma nĂ© per lâetĂ nĂ© per lâaltre sue qualitĂ atto a reggere peso sĂ grave, nĂ© capace di procedere con quella moderazione con la quale procedendo, e dentro e fuori, il padre, e sapendosi prudentemente temporeggiare traâ prĂncipi collegati, aveva, vivendo, le publiche e le private condizioni amplificate, e, morendo, lasciata in ciascuno costante opinione che per opera sua principalmente si fusse la pace dâItalia conservata. PerchĂ© non prima entrato Piero nella amministrazione della republica che, con consiglio direttamente contrario aâ consigli paterni nĂ© comunicato coâ cittadini principali, senza i quali le cose gravi deliberare non si solevano, mosso dalle persuasioni di Verginio Orsino parente suo (erano la madre e la moglie di Piero nate della famiglia Orsina), si ristrinse talmente con Ferdinando e con Alfonso, daâ quali Verginio dependeva, che ebbe Lodovico Sforza causa giusta di temere che qualunque volta gli Aragonesi volessino nuocergli arebbono per lâautoritĂ di Piero deâ Medici congiunte seco le forze della republica fiorentina. Questa intelligenza, seme e origine di tutti i mali, se bene da principio fusse trattata e stabilita molto segretamente, cominciĂČ quasi incontinente, benchĂ© per oscure congetture, a essere sospetta a Lodovico, principe vigilantissimo e di ingegno molto acuto. PerchĂ© dovendosi, secondo la consuetudine inveterata di tutta la cristianitĂ , mandare imbasciadori a adorare, come vicario di Cristo in terra, e a offerire di ubbidire il nuovo pontefice, aveva Lodovico Sforza, del quale fu proprio ingegnarsi di parere, con invenzioni non pensate da altri, superiore di prudenza a ciascuno, consigliato che tutti gli imbasciadori deâ collegati entrassino in uno dĂ medesimo insieme in Roma, presentassinsi tutti insieme nel concistorio publico innanzi al pontefice, e che uno di essi orasse in no-me comune, perchĂ© da questo, con grandissimo accrescimento della riputazione di tutti, a tutta Italia si dimostrerebbe essere tra loro non solo benivolenza e confederazione, ma piĂș tosto tanta congiunzione che eâ paressino quasi un principe e un corpo medesimo. Ma-nifestarsi, non solamente col discorso delle ragioni ma non meno con fresco esempio, lâutilitĂ di questo consiglio; perchĂ©, secondo che si era creduto, il pontefice ultimamente morto, preso argomento della disunione deâ collegati dallâavergli con separati consigli e in tempi diversi prestato lâubbidienza, era stato piĂș pronto ad assaltare il regno di Napoli. ApprovĂČ facilmente Ferdinando il parere di Lodovico; approvoronlo per lâautoritĂ dellâuno e dellâaltro i fiorentini, non contradicendo neâ consigli publici Piero deâ Medici, benchĂ© privatamente gli fusse molestissimo, perchĂ©, essendo uno degli oratori eletti in nome della republica e avendo deliberato di fare illustre la sua legazione con apparato molto superbo e quasi regio, si accorgeva che, entrando in Roma e presentandosi al pontefice insieme con gli altri imbasciadori deâ collegati, non poteva in tanta moltitudine apparire agli occhi degli uomini lo splendore della pompa sua: la quale vanitĂ giovenile fu confermata dagli ambiziosi conforti di Gentile vescovo aretino, uno medesimamente degli eletti imbasciadori; perchĂ© aspettandosi a lui, per la degnitĂ episcopale e per la professione la quale negli studi che si chiamano dâumanitĂ fatta avea, lâorare in nome deâ fiorentini, si doleva incredibilmente di perdere, per questo modo insolito e inaspettato, lâoccasione di ostentare la sua eloquenza in cospetto sĂ onorato e sĂ solenne. E perĂČ Piero, stimolato parte dalla leggierezza propria parte dallâambizione di altri, ma non volendo che a notizia di Lodovico Sforza pervenisse che da sĂ© si contradicesse al consiglio proposto da lui, richiese il re che, dimostrando dâavere dappoi considerato che senza molta confusione non si potrebbeno eseguire questi atti comunemente, confortasse che ciascuno, seguitando gli esempli passati, procedesse da se medesimo: nella quale domanda il re, desideroso di compiacergli, ma non tanto che totalmente ne dispiacesse a Lodovico, gli sodisfece piĂș dellâeffetto che del modo; conciossiacosachĂ© eâ non celĂČ che non per altra cagione si partiva da quel che prima avea consentito che per lâinstanza fatta da Piero deâ Medici. DimostrĂČ di questa subita variazione maggiore molestia Lodovico che per se stessa non meritava lâimportanza della cosa, lamentandosi gravemente che, essendo giĂ nota al pontefice e a tutta la corte di Roma la prima deliberazione e chi ne fusse stato autore, ora studiosamente si ritrattasse, per diminuire la sua reputazione. Ma gli dispiacque molto piĂș che, per questo minimo e quasi non considerabile accidente, cominciĂČ a comprendere che Piero deâ Medici avesse occultamente intelligenza con Ferdinando: il che, per le cose che seguitorono, venne a luce ogni dĂ piĂș chiaramente.
LIB. 1, CAP. 3
La vendita dei castelli di Franceschetto Cibo nel Lazio a Verginio Orsino. Lâindignazione del pontefice e gli incitamenti di Lodovico Sforza. Questi cerca distogliere dallâamicizia per Ferdinando dâAragona Piero deâ Medici. Confederazione di Lodovico coâ veneziani e col pontefice. Suoi pensieri di maggiormente assicurarsi con armi straniere.
Possedeva lâAnguillara, Cervetri e alcunâaltre piccole castella vicine a Roma Franceschetto Cibo genovese, figliuolo naturale di Innocenzio pontefice, il quale andato, dopo la morte del padre, sotto lâombra di Piero deâ Medici fratello di Maddalena sua moglie, a abitare in Firenze, non prima arrivĂČ in quella cittĂ che, interponendosene Piero, vendĂ© quelle castella per quarantamila ducati a Verginio Orsino: cosa consultata principalmente con Ferdinando, il quale gli prestĂČ occultamente la maggiore parte deâ danari, persuadendosi che a beneficio proprio risultasse quanto piĂș la grandezza di Verginio, soldato, aderente e parente suo, intorno a Roma si distendesse. PerchĂ© il re, considerando la potenza deâ pontefici essere instrumento molto opportuno a turbare il regno di Napoli, antico feudo della chiesa romana, e il quale confina per lunghissimo spazio col dominio ecclesiastico, e ricordandosi delle controversie le quali il padre e egli aveano molte volte avute con loro, e essere sempre parata la materia di nuove contenzioni, per le giurisdizioni deâ confini, per conto deâ censi, per le collazioni deâ beneficii, per il ricorso deâ baroni, e per molte altre differenze che spesso nascono tra gli stati vicini nĂ© meno spesso tra il feudatario e il signore del feudo, ebbe sempre per uno deâ saldi fondamenti della sicurtĂ sua che da sĂ© dependessino o tutti o parte deâ baroni piĂș potenti del territorio romano: cosa che in questo tempo piĂș prontamente facea, perchĂ© si credea che appresso al pontefice avesse a essere grande lâautoritĂ di Lodovico Sforza, per mezzo del cardinale Ascanio suo fratello. NĂ© lo moveva forse meno, come molti credettono, il timore che in Alessandro non fusse ereditaria la cupiditĂ e lâodio di Calisto terzo pontefice, suo zio; il quale, per desiderio immoderato della grandezza di Pietro Borgia suo nipote, arebbe, subito che fu morto Alfonso padre di Ferdinando, se la morte non si fusse interposta aâ consigli suoi, mosse lâarmi per spogliarlo del regno di Napoli, ricaduto, secondo affermava, alla chiesa; non si ricordando (tanto poco puĂČ spesso negli uomini la memoria deâ benefici ricevuti) che per opera di Alfonso, neâ cui regni era nato e cui ministro lungo tempo era stato, aveva ottenuto lâaltre degnitĂ ecclesiastiche e aiuto non piccolo a conseguire il pontificato. Ma Ăš certamente cosa verissima che non sempre gli uomini savi discernono o giudicano perfettamente: bisogna che spesso si dimostrino segni della debolezza dello intelletto umano. Il re, benchĂ© riputato principe di prudenza grande, non considerĂČ quanto meritasse di essere ripresa quella deli-berazione, la quale, non avendo in qualunque caso altra speranza che di leggierissima utilitĂ , poteva partorire da altra parte danni gravissimi. ImperocchĂ© la vendita di queste, piccole castella incitĂČ a cose nuove gli animi di coloro a quali o apparteneva o sarebbe stato utile attendere alla conservazione della concordia comune. PerchĂ© il pontefice, pretendendo che, per la alienazione fatta senza saputa sua, fussino, secondo la disposizione delle leggi, alla sedia apostolica devolute, e parendogli offesa non mediocremente lâautoritĂ pontificale, considerando oltre a questo quali fussino i fini di Ferdinando, empiĂ© tutta Italia di querele contro a lui, contro a Piero deâ Medici e contro a Verginio; affermando che, per quanto si distendesse il potere suo, opera alcuna opportuna a ritenere la degnitĂ e le ragioni di quella sedia non pretermetterebbe. Ma non manco se ne commosse Lodovico Sforza, al quale erano sempre sospette lâazioni di Ferdinando; perchĂ©, essendosi vanamente persuaso, il pontefice coâ consigli di Ascanio e suoi aversi a reggere, gli pareva perdita propria ciĂČ che si diminuisse della grandezza dâAlessandro. Ma soprattutto gli accresceva la molestia il non si potere piĂș dubitare che gli Aragonesi e Piero deâ Medici, poi che in opere tali procedevano unitamente, non avessino contratta insieme strettissima congiunzione; i disegni deâ quali, come pericolosi alle cose sue, per interrompere, e per tirare a sĂ© tanto piĂș con questa occasione lâanimo del pontefice, lo incitĂČ quanto piĂș gli fu possibile alla conservazione della propria degnitĂ , ricordandogli che si proponesse innanzi agli occhi non tanto quello che di presente si trattava quanto quello che importava lâessere stata, ne primi dĂ del suo pontificato, disprezzata cosĂ apertamente daâ suoi medesimi vassalli la maestĂ dĂ tanto grado. Non credesse che la cupiditĂ di Verginio o lâimportanza delle castella, non che altra cagione avesse mosso Ferdinando, ma il volere, con ingiurie che da principio paressino pic-cole, tentare la sua pazienza e il suo animo: dopo le qua-li, se queste gli fussino comportate, ardirebbe di tentare alla giornata cose maggiori. Non essere lâambizione sua diversa da quella degli altri re napoletani, inimici perpetui della chiesa romana; per ciĂČ avere moltissime volte quegli re perseguitati con lâarmi i pontefici, occupato piĂș volte Roma. Non avere questo medesimo re mandato due volte contro a due pontefici gli eserciti, con la persona del figliuolo, insino alle mura romane? non avere quasi sempre esercitato inimicizie aperte coâ suoi antecessori? Irritarlo di presente contro a lui non solo lâesempio degli altri re, non solo la cupiditĂ sua naturale del dominare, ma di piĂș il desiderio della vendetta per la memoria delle offese ricevute da Calisto suo zio. Avvertisse diligentemente a queste cose, e considerasse che, tollerando con pazienza le prime ingiurie, onorato solamente con cerimonie e nomi vani, sarebbe effettualmente dispregiato da ciascuno e darebbe animo a piĂș pericolosi disegni; ma risentendosene, conserverebbe agevolmente la pristina maestĂ e grandezza, e la vera venerazione dovuta da tutto il mondo aâ pontefici romani. Aggiunse alle persuasioni offerte efficacissime ma piĂș efficaci fatti, perchĂ© gli prestĂČ prontissimamente quarantamila ducati, e condusse seco, a spese comuni ma perchĂ© stessino fermi dove paresse al pontefice, trecento uomini dâarme: e nondimeno, desideroso di fuggire la necessitĂ di entrare in nuovi travagli, confortĂČ Ferdinando che disponesse Verginio a mitigare con qualche onesto modo lâanimo del pontefice, accennandogli che altrimenti gravissimi scandoli da questo lieve principio nascere potrebbono. Ma piĂș liberamente e con maggiore efficacia ammunĂ molte volte Piero deâ Medici che, considerando quanto fusse stato opportuno a conservare la pace dâItalia che Lorenzo suo padre fusse proceduto come uomo di mezzo e amico comune tra Ferdinando e lui, volesse piĂș tosto seguitare lâesempio domestico, avendo massime a...