Baudelaire
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Dal fango all'oro

Stefano Agosti

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Baudelaire

Dal fango all'oro

Stefano Agosti

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«Mi hai dato il tuo fango e io ne ho fatto oro» scrive Baudelaire nell'Ébauche d'un épilogue, un unico verso a custodire un'intera dichiarazione di poetica: la scoperta dell'oro della poesia nel cuore del prosaico – negli inferi dei bassifondi, fra i demoni celesti delle città –, l'immersione negli abissi dell'eros e dell'ebbrezza, in una noia fisica e metafisica che trova il suo atroce riscatto nella bellezza. Soprattutto, la ricerca del verso come parola alchemica, formula filosofale per le infinite metamorfosi della materia: metafore, sinestesie, comparaisons che tramutano lampade in sguardi sanguinanti, parole in fate dagli occhi di velluto, languidi baci in liquidi cieli disseminati di stelle.Grazie a un'eccezionale contiguità con il testo di Baudelaire, Stefano Agosti mostra come questa sostanza mutante – scaturita da una delle più potenti pulsioni emotive mai registrate dalla letteratura – si riversi in una struttura geometricamente ordinata, segnando l'ingresso della poesia lirica nella modernità.Leggere questo testo, che di Les Fleurs du Mal costituisce un indispensabile contrappunto critico, significa ripercorrere la nervatura portante del grande Canzoniere dell'era moderna: «l'istanza flagrante, dirompente, grondante del "moi"» che governa gli itinerari pseudobiografici del poeta, i momenti in cui il significante si solleva alle più pure manifestazioni di musicalità e in cui una violenza espressiva inedita si infiltra nei moduli di una suprema elaborazione formale. È un movimento nelle profondità di un'opera scritta da Baudelaire con tutto il suo cuore, tutto il suo odio, tutta la sua religione e la sua tenerezza, che nella lettura di Stefano Agosti giunge intatta al lettore contemporaneo.

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Information

PARTE PRIMA

Forme e figure

1. Un nuovo Canzoniere

Una rassegna sommaria e puramente indicativa dei luoghi (dei «topoi») che caratterizzano la poesia di Baudelaire, comporterebbe:
legemonia imperante della percezione; il presente nella sua «qualità essenziale di presente»;* lartificiale in opposizione al naturale come il presupposto stesso dellarte; «la bellezza particolare del male, o il bello nellorribile»;** il gusto dellinfinito e il fantasma della morte; lattrazione e la repulsione del corpo femminile; la dolcezza e il veleno; il fascino del macabro e la tensione della forma; la folla e «luomo della folla» (Poe); la «rue»; la prostituta e il suo «maquillage»; lestromissione della natura dallesistenza ordinaria del Soggetto cui subentra, nei suoi varî aspetti, la città come luogo esclusivo dellesperienza individuale; la scoperta della poesia nel cuore del prosaico, come quella della dissonanza nella costruzione del canto; lorgoglio e langoscia; lebbrezza e la noia; il fuoco e la cenere; labdicazione del concetto di fronte a una postulazione di identità; e così via.
Tali, in ordine sparso e, come si è detto, a puro titolo indicativo, i «luoghi» di quello che si definirà – o è già stato definito – il Canzoniere della nostra modernità (su alcuni dei quali interverremo nel corso della presente ricognizione).
Si tratta, comunque, di un Canzoniere sghembo dal rispetto della composizione, se esso comporta, delle sei sezioni di cui è costituito, una sezione, la prima (Spleen et Idéal), che risulta comprensiva di ben 85 poesie, il che equivale a circa due terzi dellintero corpus dellopera.
Cui si aggiungerà tutta una serie di assestamenti, dalla prima edizione del 1857 alla seconda del 1861, anche di grande importanza come linserimento in questultima della sezione Tableaux parisiens; assestamenti dovuti magari a cause esterne, come quella, ad esempio, che obbligò lAutore, dopo la condanna per offesa al pudore, a eliminare sei poesie dallinsieme. Le quali, unitamente ad altre composizioni, vengono pubblicate a Bruxelles nel 1866, sotto il titolo chiaramente allusivo di Épaves («Relitti»), integrate nelle Fleurs du Mal nelledizione del 1868 – e, quindi, postuma – curata da Charles Asselineau e da Théodore de Banville, e preceduta da una «notice» firmata da Gautier.
Il genere «canzoniere», a differenza di una pura e semplice «raccolta», da cui si distingue per una soggiacente struttura, diciamo, diegetica, vuoi, approssimativamente, dordine narrativo, può essere riconosciuto alle Fleurs du Mal anche perché sottoscritto dallAutore medesimo. Infatti, in una celebre lettera a Vigny (del 15 dicembre 1861), Baudelaire così parlò del suo libro: «Le seul éloge que je sollicite pour le livre est quon reconnaisse quil nest pas un pur album et quil a un commencement et une fin». Concetto che ribadisce al suo avvocato per la difesa durante il processo: «Le livre doit être jugé dans son ensemble, et alors il en ressort une terrible moralité».
Libro dunque «architetturale e premeditato», ove aggiunte e aggiustamenti obbediscono a un criterio compositivo prestabilito, come del resto dichiara ancora lo stesso Baudelaire nel seguito della citata lettera a Vigny: «Tous les poèmes nouveaux ont été faits pour être adaptés au cadre singulier que javais choisi».
E tuttavia questa preordinata struttura che designa il libro in quanto «canzoniere» non lo colloca affatto in uno spazio mentale protetto e separato, gestito dal Soggetto a partire da una certa distanza nei confronti dei proprî materiali. No. La struttura concettuale del libro risulta investita da una delle più potenti pulsioni emotive che registri la storia della letteratura, e di cui Baudelaire fornisce il documento impressionante in una altrettanto celebre lettera al notaio Ancelle (il tutore che gli era stato imposto) del 18 febbraio 1866: «Faut-il vous dire, à vous qui ne lavez pas plus deviné que les autres, que dans ce livre atroce, jai mis tout mon cœur, toute ma tendresse, toute ma religion (travestie), toute ma haine? Il est vrai que j’écrirai le contraire, que je jurerai mes grands Dieux que cest un livre dart pur, de singerie, de jonglerie; et je mentirai comme un arracheur de dents» (sottolineature nel testo).
Se il modello petrarchesco che presiede al genere si connota, nel capostipite, sul piano della forma per il suo carattere monolinguistico (Contini) e, sul piano dei contenuti, che le è correlato, per una omologa riduzione degli estremi nei riguardi di ogni tendenza (o tentazione) allespressività, il «Canzoniere» baudelairiano, fatta salva la struttura diegetica che lo sottende, ne stravolge radicalmente le forme. Per cui si potrà parlare, sì, di «Canzoniere delletà moderna», ma articolato su materiali non petrarcheschi bensì, piuttosto, «danteschi», se, come segnala ancora Contini, lesperienza di Dante comporta, da un lato, la massima escursione del lessico, dallaltro, listanza di un Soggetto esso stesso sottoposto a unincessante divaricazione patemica.
Con una precisazione tuttavia. Che il virtuale riferimento dantesco – ma attivo di fatto – sarà al Dante infernale o, al massimo, purgatoriale, e non al Dante paradisiaco. A meno che non si vogliano ascrivere a uneventuale esperienza «paradisiaca» le composizioni quasi interamente versate nella musicalità più pura, di cui sarebbe senzaltro emblema Harmonie du soir.
Che il modello o lesempio «infernale» – anche se preterintenzionale – sia soggiacente al nostro «Canzoniere», è quanto esibisce, e addirittura secondo modalità decisamente provocatorie, proprio la poesia di apertura rivolta «al lettore» (Au Lecteur): ove la violenza del concetto si associa alla «violenza» del lessico, spesso adibito per accumulo di sostantivi, in serie, appunto, dantesche, del tipo, ad esempio:
Più non si vanti Libia con sua rena;
ché se chelidri, iaculi e faree
produce, e cencri con anfisibena.
(Inf., xxiv, v. 85 sgg.)
Così, infatti, qui, in vari punti del testo (si veda al v. 1 e al v. 25), e in particolare alla strofa ottava:
Mais parmi les chacals, les panthères, les lices,
Les singes, les scorpions, les vautours, les serpents,
Les monstres glapissants, hurlants, grognants, rampants,
Dans la ménagerie infâme de nos vices:
violenza lessicale inerente – come in Dante – ai più disparati campi di estrazione degli elementi (per la maggior parte di livello basso), anche associati per contrasto semantico (è, già qui, la sperimentazione della dissonanza). Si va, infatti, dai vocaboli scientifici (v. 21 «helminthes») ai vocaboli di conio arcaico-popolare (v. 22 «ribote»), o di derivazione straniera («houka», nellultima strofa), cui si dovrà annettere il valore «tecnico» del verbo «manger» (quinta strofa), che, nellidioletto corrente della lingua della relazione erotica, designa il rapporto delloralità (espressa tramite, appunto, la bocca) con le parti sessuali del partner (la strofa è stata infatti eliminata nella prima pubblicazione sulla Revue des Deux Mondes del 1° giugno 1855, ove risulta sostituita da una riga di puntini).
E non si tiene conto, ovviamente, duna violenza dordine generale – concettuale e tematica – che impronta la poesia liminare, e che si manifesta nella presentazione delle molteplici e multiformi aberrazioni dellindividuo sociale e privato della modernità, classificate come vizi o peccati o degenerazioni, tutti di natura volontaria e, per ciò stesso, passibili della più implacabile esecrazione.
Si aggiunga una serie di figure emblematiche (o di fantasmi simbolici) fuori misura, da Ermete Trismegisto, manipolatore della mente e della volontà, e definito infatti come un «savant chimiste», al Diavolo vero e proprio i...

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