PARTE PRIMA
Forme e figure
1. Un nuovo Canzoniere
Una rassegna sommaria e puramente indicativa dei luoghi (dei «topoi») che caratterizzano la poesia di Baudelaire, comporterebbe:
lâegemonia imperante della percezione; il presente nella sua «qualitĂ essenziale di presente»; lâartificiale in opposizione al naturale come il presupposto stesso dellâarte; «la bellezza particolare del male, o il bello nellâorribile»; il gusto dellâinfinito e il fantasma della morte; lâattrazione e la repulsione del corpo femminile; la dolcezza e il veleno; il fascino del macabro e la tensione della forma; la folla e «lâuomo della folla» (Poe); la «rue»; la prostituta e il suo «maquillage»; lâestromissione della natura dallâesistenza ordinaria del Soggetto cui subentra, nei suoi varĂź aspetti, la cittĂ come luogo esclusivo dellâesperienza individuale; la scoperta della poesia nel cuore del prosaico, come quella della dissonanza nella costruzione del canto; lâorgoglio e lâangoscia; lâebbrezza e la noia; il fuoco e la cenere; lâabdicazione del concetto di fronte a una postulazione di identitĂ ; e cosĂŹ via.
Tali, in ordine sparso e, come si Ăš detto, a puro titolo indicativo, i «luoghi» di quello che si definirĂ â o Ăš giĂ stato definito â il Canzoniere della nostra modernitĂ (su alcuni dei quali interverremo nel corso della presente ricognizione).
Si tratta, comunque, di un Canzoniere sghembo dal rispetto della composizione, se esso comporta, delle sei sezioni di cui Ăš costituito, una sezione, la prima (Spleen et IdĂ©al), che risulta comprensiva di ben 85 poesie, il che equivale a circa due terzi dellâintero corpus dellâopera.
Cui si aggiungerĂ tutta una serie di assestamenti, dalla prima edizione del 1857 alla seconda del 1861, anche di grande importanza come lâinserimento in questâultima della sezione Tableaux parisiens; assestamenti dovuti magari a cause esterne, come quella, ad esempio, che obbligĂČ lâAutore, dopo la condanna per offesa al pudore, a eliminare sei poesie dallâinsieme. Le quali, unitamente ad altre composizioni, vengono pubblicate a Bruxelles nel 1866, sotto il titolo chiaramente allusivo di Ăpaves («Relitti»), integrate nelle Fleurs du Mal nellâedizione del 1868 â e, quindi, postuma â curata da Charles Asselineau e da ThĂ©odore de Banville, e preceduta da una «notice» firmata da Gautier.
Il genere «canzoniere», a differenza di una pura e semplice «raccolta», da cui si distingue per una soggiacente struttura, diciamo, diegetica, vuoi, approssimativamente, dâordine narrativo, puĂČ essere riconosciuto alle Fleurs du Mal anche perchĂ© sottoscritto dallâAutore medesimo. Infatti, in una celebre lettera a Vigny (del 15 dicembre 1861), Baudelaire cosĂŹ parlĂČ del suo libro: «Le seul Ă©loge que je sollicite pour le livre est quâon reconnaisse quâil nâest pas un pur album et quâil a un commencement et une fin». Concetto che ribadisce al suo avvocato per la difesa durante il processo: «Le livre doit ĂȘtre jugĂ© dans son ensemble, et alors il en ressort une terrible moralité».
Libro dunque «architetturale e premeditato», ove aggiunte e aggiustamenti obbediscono a un criterio compositivo prestabilito, come del resto dichiara ancora lo stesso Baudelaire nel seguito della citata lettera a Vigny: «Tous les poĂšmes nouveaux ont Ă©tĂ© faits pour ĂȘtre adaptĂ©s au cadre singulier que jâavais choisi».
E tuttavia questa preordinata struttura che designa il libro in quanto «canzoniere» non lo colloca affatto in uno spazio mentale protetto e separato, gestito dal Soggetto a partire da una certa distanza nei confronti dei proprĂź materiali. No. La struttura concettuale del libro risulta investita da una delle piĂč potenti pulsioni emotive che registri la storia della letteratura, e di cui Baudelaire fornisce il documento impressionante in una altrettanto celebre lettera al notaio Ancelle (il tutore che gli era stato imposto) del 18 febbraio 1866: «Faut-il vous dire, Ă vous qui ne lâavez pas plus devinĂ© que les autres, que dans ce livre atroce, jâai mis tout mon cĆur, toute ma tendresse, toute ma religion (travestie), toute ma haine? Il est vrai que jâĂ©crirai le contraire, que je jurerai mes grands Dieux que câest un livre dâart pur, de singerie, de jonglerie; et je mentirai comme un arracheur de dents» (sottolineature nel testo).
Se il modello petrarchesco che presiede al genere si connota, nel capostipite, sul piano della forma per il suo carattere monolinguistico (Contini) e, sul piano dei contenuti, che le Ăš correlato, per una omologa riduzione degli estremi nei riguardi di ogni tendenza (o tentazione) allâespressivitĂ , il «Canzoniere» baudelairiano, fatta salva la struttura diegetica che lo sottende, ne stravolge radicalmente le forme. Per cui si potrĂ parlare, sĂŹ, di «Canzoniere dellâetĂ moderna», ma articolato su materiali non petrarcheschi bensĂŹ, piuttosto, «danteschi», se, come segnala ancora Contini, lâesperienza di Dante comporta, da un lato, la massima escursione del lessico, dallâaltro, lâistanza di un Soggetto esso stesso sottoposto a unâincessante divaricazione patemica.
Con una precisazione tuttavia. Che il virtuale riferimento dantesco â ma attivo di fatto â sarĂ al Dante infernale o, al massimo, purgatoriale, e non al Dante paradisiaco. A meno che non si vogliano ascrivere a unâeventuale esperienza «paradisiaca» le composizioni quasi interamente versate nella musicalitĂ piĂč pura, di cui sarebbe senzâaltro emblema Harmonie du soir.
Che il modello o lâesempio «infernale» â anche se preterintenzionale â sia soggiacente al nostro «Canzoniere», Ăš quanto esibisce, e addirittura secondo modalitĂ decisamente provocatorie, proprio la poesia di apertura rivolta «al lettore» (Au Lecteur): ove la violenza del concetto si associa alla «violenza» del lessico, spesso adibito per accumulo di sostantivi, in serie, appunto, dantesche, del tipo, ad esempio:
PiĂč non si vanti Libia con sua rena;
ché se chelidri, iaculi e faree
produce, e cencri con anfisibena.
(Inf., xxiv, v. 85 sgg.)
CosĂŹ, infatti, qui, in vari punti del testo (si veda al v. 1 e al v. 25), e in particolare alla strofa ottava:
Mais parmi les chacals, les panthĂšres, les lices,
Les singes, les scorpions, les vautours, les serpents,
Les monstres glapissants, hurlants, grognants, rampants,
Dans la ménagerie infùme de nos vices:
violenza lessicale inerente â come in Dante â ai piĂč disparati campi di estrazione degli elementi (per la maggior parte di livello basso), anche associati per contrasto semantico (Ăš, giĂ qui, la sperimentazione della dissonanza). Si va, infatti, dai vocaboli scientifici (v. 21 «helminthes») ai vocaboli di conio arcaico-popolare (v. 22 «ribote»), o di derivazione straniera («houka», nellâultima strofa), cui si dovrĂ annettere il valore «tecnico» del verbo «manger» (quinta strofa), che, nellâidioletto corrente della lingua della relazione erotica, designa il rapporto dellâoralitĂ (espressa tramite, appunto, la bocca) con le parti sessuali del partner (la strofa Ăš stata infatti eliminata nella prima pubblicazione sulla Revue des Deux Mondes del 1° giugno 1855, ove risulta sostituita da una riga di puntini).
E non si tiene conto, ovviamente, dâuna violenza dâordine generale â concettuale e tematica â che impronta la poesia liminare, e che si manifesta nella presentazione delle molteplici e multiformi aberrazioni dellâindividuo sociale e privato della modernitĂ , classificate come vizi o peccati o degenerazioni, tutti di natura volontaria e, per ciĂČ stesso, passibili della piĂč implacabile esecrazione.
Si aggiunga una serie di figure emblematiche (o di fantasmi simbolici) fuori misura, da Ermete Trismegisto, manipolatore della mente e della volontà , e definito infatti come un «savant chimiste», al Diavolo vero e proprio i...