In difesa di Adam Smith, di Francesca Dal Degan
1. La âricchezzaâ di Adam Smith
«Sotto un certo punto di vista, gli ultimi duecento anni di economia sono stati poco piĂč che una vasta operazione di âmessa a puntoâ, nella quale gli economisti si sono dedicati a riempire i vuoti, correggere gli errori e affinare lâanalisi svolta nella Ricchezza delle nazioni»,{249} osservava Ronald Coase celebrando i due secoli trascorsi dalla pubblicazione del masterpiece di Adam Smith. Basta scorrere un manuale di economia per rendersi conto che i temi e perfino lâordine delle argomentazioni dello scozzese siano stati costantemente ricalcati, con pochi aggiustamenti, per descrivere lâintelaiatura di questa scienza. Eppure questo non significa che il messaggio di Smith non abbia suscitato dibattiti, posto problemi, aperto la riflessione sul funzionamento economico a esiti diversi. Ă ciĂČ che mostra la lettura che Carl Menger offre di Smith, confermando, cosĂŹ, che «la Ricchezza delle nazioni Ăš un capolavoro. Con i suoi temi correlati gli uni agli altri, le sue acute osservazioni della vita economica, e le sue idee cosĂŹ potenti e tanto chiaramente espresse e cosĂŹ ben spiegate, sa incantare il lettore. Ma proprio la ricchezza del libro fa sĂŹ che ciascuno di noi lo veda in una luce un poco diversa. Non Ăš come una tavola pitagorica o un libro di testo moderno che trasmette pochi messaggi i quali, una volta assorbiti, renderanno inutile una rilettura. La Ricchezza delle nazioni presenta tante idee fra le quali scegliere e tanti problemi da ponderare».{250}
Da un lato, cosĂŹ, Menger valorizza alcune dimensioni della riflessione smithiana che talora sono passate inosservate o che sono state oggetto di letture falsificanti, dallâaltro lato, critica aspetti teorici della Ricchezza delle nazioni che ancora oggi non hanno ricevuto una sistemazione definitiva. Rileggere Menger per rileggere Smith, dunque, non Ăš unâoperazione che possa lasciare immutato il modo di comprendere il messaggio scientifico dellâuno e dellâaltro. In particolare, Menger, in un dialogo ideale con Smith su temi quali lo scambio, i prezzi, il lavoro, il capitale, propone di essi una declinazione nel senso di quella prospettiva soggettivista che caratterizzerebbe, in contrasto con la visione smithiana e classica, la struttura portante del nuovo approccio allo studio dellâeconomia. Come sottolinea Pierluigi Barrotta: «Ú infatti presupposto dellâeconomia austriaca che lâesperienza soggettiva dellâindividuo rappresenti il solo legittimo fondamento della scienza economica».{251} Ma rileggere il pensiero di Smith attraverso le lenti critiche del soggettivismo Ăš operazione che suscita aperture e scollamenti inducendo a chiedersi con maggiore impellenza se sia effettivamente plausibile continuare a parlare dellâeconomista classico come sostenitore di un approccio oggettivista o se il fatto che la lettura âa la Mengerâ porti alla luce, in una dinamica e rara densitĂ semantica, concetti, articolazioni e tratti fondamentali della teoria smithiana non debba suggerirci di rivedere le nostre interpretazioni.
2. In difesa della veritĂ storica su Smith
Proprio a uno dei maggiori rappresentanti del marginalismo si deve la difesa di Smith dalle interpretazioni facili e riduzioniste che lo vorrebbero sostenitore del liberismo o teorico di una Invisible Hand intesa come sotterranea dinamica di automatica composizione di interessi egocentrici. CosĂŹ che, quasi con le stesse parole con le quali nella polemica con Gustav von Schmoller difendeva se stesso, Menger difenderĂ pure Smith:
Mi permetta, caro amico di difendermi contro lâaccusa di essere un seguace del manchesterismo o del âmisticismo dello spirito del popolo di Savignyâ. Entrambi i rimproveri sono completamente campati in aria. Se câĂš qualcosa che mi puĂČ conciliare con lâattivitĂ , per molti versi odiosa, di Schmoller nel campo della nostra scienza, questa Ăš la circostanza che egli, e invero con una dedizione che bisogna riconoscergli, a fianco di uomini degni di venerazione combatte gli abusi sociali e lotta per la sorte dei deboli e poveri, una lotta in cui per diversa che sia la direzione della mia ricerca, la mia simpatia sta tutta dalla parte di questi sforzi. Vorrei dedicare le mie povere forze alla ricerca di quelle leggi secondo le quali si struttura la vita economica dellâuomo; nulla quindi Ăš piĂč lontano dal mio orientamento che essere al servizio degli interessi del capitalismo [...] nessuna accusa Ăš piĂč infondata di essere io un seguace del manchesterismo o di quel misticismo che considera le istituzioni quasi come i prodotti di una saggezza superiore.{252}
Quasi negli stessi termini con cui prende le distanze dalle critiche che lo vorrebbero incline al âliberismoâ o a una sorta di ânaturalismo storicistaâ, Menger difende la sostanza del pensiero smithiano da una interpretazione che gli appare falsa e storicamente infondata, quella appunto che lo vorrebbe sostenitore di una caricaturale dottrina del Self-interest e del Laissez Faire. {253}
Lâidentificazione di Smith e dellâeconomia classica con il âpartito economico dellâindividualismo e del liberalismoâ nasce dalla confusione tra lâinsegnamento dei primi e il manchesterismo, una confusione che si basa appunto su un âfalso storicoâ, effetto di un âsacrilegio contro la veritĂ storicaâ, sottolinea Menger. Infatti il manchesterismo non ha nulla a che vedere con la prospettiva di Smith che, perorando la causa delle classi lavoratrici, osteggia la politica industriale del mercantilismo; che, pur sostenendo la libera iniziativa dellâindividuo, richiede lâintervento statale per eliminare le leggi a favore dei ricchi e dei potenti; che si schiera a favore degli alti salari e che spinge a considerare il profitto come una deduzione dallâintero prodotto del lavoro.
In senso ulteriore, si precisa che lâidea di intervento/non intervento dello Stato in economia non Ăš per nulla dirimente rispetto alla visione smithiana del funzionamento economico che, invece, deriva da unâattenta lettura delle relazioni causali tra fenomeni economici. Nellâambito di un approccio pragmatico allo studio dellâeconomia, la posizione di Smith si declina, infatti, talvolta nel senso del richiamo del necessario intervento della legge positiva per regolare le interazioni sociali e, piĂč spesso, nellâappello a valutare quanto inferiori sarebbero i benefici di questo intervento rispetto alla capacitĂ degli individui di contribuire alla costituzione di istituzioni e di pratiche sociali piĂč efficaci ed efficienti. Dunque, non Ăš lâidea del non intervento in economia a caratterizzare il pensiero di Smith, sottolinea Menger, ma la volontĂ di considerare le relazioni che, sulla base dellâanalisi storica, istituzionale e causale, risultano fondamentali per il costituirsi di un ordine politico e sociale orientato al bene comune e allâaumento del benessere delle classi lavoratrici.{254} Inoltre lo schematismo astratto anti-empirico dei singoli seguaci di Smith â ribadisce Menger â Ăš quantomai estraneo al metodo di ricerca del maestro ben consapevole dellâorigine storica delle istituzioni umane e, semmai, appunto colpevole di aver optato per un pragmatismo che, pur impedendo la piena comprensione degli ordini sociali giĂ esistenti e soprattutto di quelli sorti per via organica, si misura di volta in volta con la sfida di individuare le linee di una loro gestione ragionevole.
In sostanza, da un lato, chi associa Smith al âliberismoâ commetterebbe un imperdonabile errore di interpretazione storica trascurando aspetti centrali del suo pensiero e, dallâaltro lato, la debolezza teorica piĂč consistente di Smith sarebbe da attribuire al suo pragmatismo e allâinsufficiente riferimento alle produzioni organiche e inintenzionali degli ordini umani. Insomma, altro che teorico della Invisibile Hand o sostenitore della legge degli esiti inintenzionali delle azioni umane di mandevilliana memoria!{255}
Nella lettura di Menger, Smith non avrebbe attribuit...