Scambio, valore e capitale
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Scambio, valore e capitale

Scritti su Adam Smith

Carl Menger, Raimondo Cubeddu

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Scritti su Adam Smith

Carl Menger, Raimondo Cubeddu

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Questa raccolta comprende le parti dei PrincipĂź di economia politica, delle Ricerche sul metodo delle scienze sociali e gli altri scritti nei quali si sviluppa il confronto di Carl Menger con Adam Smith.Menger riteneva che gli errori di Smith fossero pari alla sua grandezza e, elaborando un "teoria generale dell'azione umana", dello scambio, del capitale e della nascita ed evoluzione delle istituzioni sociali fondata sulla teoria dei bisogni e dei valori soggettivi, si proponeva di trarre la scienza economica e la filosofia delle scienze sociali dall'impasse nella quale, a suo avviso, era finita.Si tratta di una critica radicale, che giunge fino al punto di fare di Smith un involontario precursore del socialismo e che vale la pena di ripensare, anche perchĂ© con essa Menger prende le distanze tanto dal laissez-faire, quanto dalla teoria della invisible hand, ponendo le premesse per quel distacco dall'economia politica classica che sarĂ  sviluppata dai successivi esponenti della Scuola Austriaca in una nuova e influente filosofia politica liberale.* * *Carl Menger (1840-1921) Ăš uno piĂč importanti economisti degli ultimi secoli, uno dei protagonisti della "rivoluzione marginalistica" e il riconosciuto padre di quella Scuola Austriaca i cui esponenti: Eugen von Böhm-Bawerk, Friedrich von Wieser, Ludwig von Mises e Friedrich A. von Hayek, hanno dato un contributo fondamentale alla scienza economica e alla filosofia politica e delle scienze sociali del Novecento.Raimondo Cubeddu Ăš professore ordinario di Filosofia politica al Dipartimento di CiviltĂ  e Forme del Sapere dell'UniversitĂ  di Pisa. Oltre che di esponenti della tradizione liberale (ma anche di Leo Strauss), si occupa da decenni della Scuola Austriaca.Francesca Dal Degan, Giuseppe Antonio Giunta e Jacopo Marchetti svolgono anche loro attivitĂ  di ricerca nell'UniversitĂ  di Pisa.

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Informations

Éditeur
IBL Libri
Année
2019
ISBN
9788864403878

In difesa di Adam Smith, di Francesca Dal Degan

1. La “ricchezza” di Adam Smith
«Sotto un certo punto di vista, gli ultimi duecento anni di economia sono stati poco piĂč che una vasta operazione di “messa a punto”, nella quale gli economisti si sono dedicati a riempire i vuoti, correggere gli errori e affinare l’analisi svolta nella Ricchezza delle nazioni»,{249} osservava Ronald Coase celebrando i due secoli trascorsi dalla pubblicazione del masterpiece di Adam Smith. Basta scorrere un manuale di economia per rendersi conto che i temi e perfino l’ordine delle argomentazioni dello scozzese siano stati costantemente ricalcati, con pochi aggiustamenti, per descrivere l’intelaiatura di questa scienza. Eppure questo non significa che il messaggio di Smith non abbia suscitato dibattiti, posto problemi, aperto la riflessione sul funzionamento economico a esiti diversi. È ciĂČ che mostra la lettura che Carl Menger offre di Smith, confermando, cosĂŹ, che «la Ricchezza delle nazioni Ăš un capolavoro. Con i suoi temi correlati gli uni agli altri, le sue acute osservazioni della vita economica, e le sue idee cosĂŹ potenti e tanto chiaramente espresse e cosĂŹ ben spiegate, sa incantare il lettore. Ma proprio la ricchezza del libro fa sĂŹ che ciascuno di noi lo veda in una luce un poco diversa. Non Ăš come una tavola pitagorica o un libro di testo moderno che trasmette pochi messaggi i quali, una volta assorbiti, renderanno inutile una rilettura. La Ricchezza delle nazioni presenta tante idee fra le quali scegliere e tanti problemi da ponderare».{250}
Da un lato, cosĂŹ, Menger valorizza alcune dimensioni della riflessione smithiana che talora sono passate inosservate o che sono state oggetto di letture falsificanti, dall’altro lato, critica aspetti teorici della Ricchezza delle nazioni che ancora oggi non hanno ricevuto una sistemazione definitiva. Rileggere Menger per rileggere Smith, dunque, non Ăš un’operazione che possa lasciare immutato il modo di comprendere il messaggio scientifico dell’uno e dell’altro. In particolare, Menger, in un dialogo ideale con Smith su temi quali lo scambio, i prezzi, il lavoro, il capitale, propone di essi una declinazione nel senso di quella prospettiva soggettivista che caratterizzerebbe, in contrasto con la visione smithiana e classica, la struttura portante del nuovo approccio allo studio dell’economia. Come sottolinea Pierluigi Barrotta: «Ú infatti presupposto dell’economia austriaca che l’esperienza soggettiva dell’individuo rappresenti il solo legittimo fondamento della scienza economica».{251} Ma rileggere il pensiero di Smith attraverso le lenti critiche del soggettivismo Ăš operazione che suscita aperture e scollamenti inducendo a chiedersi con maggiore impellenza se sia effettivamente plausibile continuare a parlare dell’economista classico come sostenitore di un approccio oggettivista o se il fatto che la lettura “a la Menger” porti alla luce, in una dinamica e rara densitĂ  semantica, concetti, articolazioni e tratti fondamentali della teoria smithiana non debba suggerirci di rivedere le nostre interpretazioni.
2. In difesa della veritĂ  storica su Smith
Proprio a uno dei maggiori rappresentanti del marginalismo si deve la difesa di Smith dalle interpretazioni facili e riduzioniste che lo vorrebbero sostenitore del liberismo o teorico di una Invisible Hand intesa come sotterranea dinamica di automatica composizione di interessi egocentrici. CosĂŹ che, quasi con le stesse parole con le quali nella polemica con Gustav von Schmoller difendeva se stesso, Menger difenderĂ  pure Smith:
Mi permetta, caro amico di difendermi contro l’accusa di essere un seguace del manchesterismo o del “misticismo dello spirito del popolo di Savigny”. Entrambi i rimproveri sono completamente campati in aria. Se c’ù qualcosa che mi puĂČ conciliare con l’attivitĂ , per molti versi odiosa, di Schmoller nel campo della nostra scienza, questa Ăš la circostanza che egli, e invero con una dedizione che bisogna riconoscergli, a fianco di uomini degni di venerazione combatte gli abusi sociali e lotta per la sorte dei deboli e poveri, una lotta in cui per diversa che sia la direzione della mia ricerca, la mia simpatia sta tutta dalla parte di questi sforzi. Vorrei dedicare le mie povere forze alla ricerca di quelle leggi secondo le quali si struttura la vita economica dell’uomo; nulla quindi Ăš piĂč lontano dal mio orientamento che essere al servizio degli interessi del capitalismo [...] nessuna accusa Ăš piĂč infondata di essere io un seguace del manchesterismo o di quel misticismo che considera le istituzioni quasi come i prodotti di una saggezza superiore.{252}
Quasi negli stessi termini con cui prende le distanze dalle critiche che lo vorrebbero incline al “liberismo” o a una sorta di “naturalismo storicista”, Menger difende la sostanza del pensiero smithiano da una interpretazione che gli appare falsa e storicamente infondata, quella appunto che lo vorrebbe sostenitore di una caricaturale dottrina del Self-interest e del Laissez Faire. {253}
L’identificazione di Smith e dell’economia classica con il “partito economico dell’individualismo e del liberalismo” nasce dalla confusione tra l’insegnamento dei primi e il manchesterismo, una confusione che si basa appunto su un “falso storico”, effetto di un “sacrilegio contro la verità storica”, sottolinea Menger. Infatti il manchesterismo non ha nulla a che vedere con la prospettiva di Smith che, perorando la causa delle classi lavoratrici, osteggia la politica industriale del mercantilismo; che, pur sostenendo la libera iniziativa dell’individuo, richiede l’intervento statale per eliminare le leggi a favore dei ricchi e dei potenti; che si schiera a favore degli alti salari e che spinge a considerare il profitto come una deduzione dall’intero prodotto del lavoro.
In senso ulteriore, si precisa che l’idea di intervento/non intervento dello Stato in economia non Ăš per nulla dirimente rispetto alla visione smithiana del funzionamento economico che, invece, deriva da un’attenta lettura delle relazioni causali tra fenomeni economici. Nell’ambito di un approccio pragmatico allo studio dell’economia, la posizione di Smith si declina, infatti, talvolta nel senso del richiamo del necessario intervento della legge positiva per regolare le interazioni sociali e, piĂč spesso, nell’appello a valutare quanto inferiori sarebbero i benefici di questo intervento rispetto alla capacitĂ  degli individui di contribuire alla costituzione di istituzioni e di pratiche sociali piĂč efficaci ed efficienti. Dunque, non Ăš l’idea del non intervento in economia a caratterizzare il pensiero di Smith, sottolinea Menger, ma la volontĂ  di considerare le relazioni che, sulla base dell’analisi storica, istituzionale e causale, risultano fondamentali per il costituirsi di un ordine politico e sociale orientato al bene comune e all’aumento del benessere delle classi lavoratrici.{254} Inoltre lo schematismo astratto anti-empirico dei singoli seguaci di Smith – ribadisce Menger – Ăš quantomai estraneo al metodo di ricerca del maestro ben consapevole dell’origine storica delle istituzioni umane e, semmai, appunto colpevole di aver optato per un pragmatismo che, pur impedendo la piena comprensione degli ordini sociali giĂ  esistenti e soprattutto di quelli sorti per via organica, si misura di volta in volta con la sfida di individuare le linee di una loro gestione ragionevole.
In sostanza, da un lato, chi associa Smith al “liberismo” commetterebbe un imperdonabile errore di interpretazione storica trascurando aspetti centrali del suo pensiero e, dall’altro lato, la debolezza teorica piĂč consistente di Smith sarebbe da attribuire al suo pragmatismo e all’insufficiente riferimento alle produzioni organiche e inintenzionali degli ordini umani. Insomma, altro che teorico della Invisibile Hand o sostenitore della legge degli esiti inintenzionali delle azioni umane di mandevilliana memoria!{255}
Nella lettura di Menger, Smith non avrebbe attribuit...

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