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Viaggio alle origini del Rock

Carlo Massarini

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Absolute Beginners

Viaggio alle origini del Rock

Carlo Massarini

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Über dieses Buch

Attraverso le 280 schede riviste e implementate raccolte in questo libro, tratte dalla trasmissione quotidiana Absolute Beginners di Virgin Radio, sono voluto tornare indietro, alle radici del rock. Il senso di questo viaggio è la mappatura e il racconto di come è nata e come si è sviluppata la musica che ha cambiato le new generation di America e Inghilterra prima, e di tutto il mondo poi. Il libro si apre con il periodo fra gli anni '30 e la fine dei '50, quando in più zone del Sud degli Stati Uniti nascevano prima il blues, poi il boogie woogie e il rythm'n'blues e dove infine ? aggiungendo un pizzico di country bianco ? si sarebbe plasmato quello che i ragazzi avrebbero conosciuto come rock'n'roll. Ma le mutazioni erano appena cominciate: nella decade successiva, gli anni '60, periodo storicamente colmo di fermenti culturali e artistici, rivendicazioni socio-politiche, tematiche esistenziali e di una ricerca musicale senza confini, paragonabile a un vero big bang del rock, la musica sarebbe passata attraverso continue trasformazioni e fughe in avanti. Incontrerete brani e artisti storici, ma anche episodi molto meno conosciuti: tutti hanno però contribuito a creare la musica che conosciamo ora. E abbiamo segnalato quali sono quelli che la Rock and Roll Hall of Fame ha ufficialmente inserito nella sua lista dei 500 che hanno plasmato il rock. Gli originatori che hanno contribuito a costruire questa forma d'arte contemporanea sono stati raggruppati in cinque sezioni per raccontare contesti ed epoche differenti. Spesso diversi ma generalmente giovani, sfacciati, trasgressivi e visionari, hanno scritto pagine, o interi capitoli, di quella che prima di tutto è una storia di una rivoluzione nella musica, ma anche nella way of life, nella moda e nella cultura contemporanea. Race Records: la musica afroamericana, dal blues primitivo al boogie woogie. Le origini di tutto. L'era dell'oro del Rock'n'Roll: gli anni '50, bianchi e neri. Si canta, si balla e s'inventa la rock star. Folksinger: il folk si trasforma in canzone d'autore. The Beat: i primi anni '60, sulle due sponde dell'Atlantico. Classic Rock: il rock diventa adulto ed è destinato a entrare nella storia. Avete in mano una bussola per orientarvi in territori lontani, godetevi il viaggio.

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Information

Verlag
Hoepli
Jahr
2016
ISBN
9788820373870
Parte 1
DAL BLUES PRIMITIVO AL BOOGIE WOOGIE.
LE ORIGINI DI TUTTO

RACE RECORDS

Il lungo viaggio della musica afroamericana verso la redenzione
QUI È DOVE È NATO TUTTO. “QUI” NON È NÉ UN LUOGO GEOGRAFICO (CE NE SONO TANTI), NÉ UN ANNO PRECISO (IL BLUES, SE VOGLIAMO, È NATO NELLA NOTTE DEI TEMPI).
Qui” è un concetto metafisico, è una categoria dello spirito. È il blues dell’anima, prima che della vita. È il vero, assoluto, originatore. È la musica senza la quale solo Iddio sa cosa staremmo ascoltando oggi. Cominciamo con Robert Johnson perché è il primo esplicito riferimento di coloro che hanno fatto la storia del rock. Johnson incide tutta la sua musica nel 1936-1937; è chiaro che ci sono stati molti bluesman fondamentali prima, come ce ne saranno a seguire, prima che esploda il rock’n’roll quasi vent’anni dopo. Come è chiaro che il blues stesso subirà diverse mutazioni, prima e dopo la guerra, snodandosi in tanti filoni diversi.
La musica del delta del Mississippi (nelle cui piantagioni di cotone nascono il blues, i canti di lavoro, gli spiritual) diventa il country blues. Va al nord, Chicago in primis, si elettrifica, e si trasforma in blues elettrico. Quando prende ritmo diventa boogie-woogie e jump blues e rhythm and blues, ed è questo il filone che si fonde con il country per dare forma al rock’n’roll. L’altro grande luogo originatore sono le migliaia di chiese, dove quasi tutti gli artisti neri del periodo crescono, e imparano a cantare quella parola di Dio, il Godspell, Gospel, che rimarrà la base di quel cantare passionale, che porta alla redenzione, all’elevazione, a uno stato di trance in cui lasciare indietro guai e peccati di ogni genere.
È la musica della black nation, la colonna sonora della segregazione prima e delle lotte per i diritti civili poi in cui gli artisti avranno un ruolo determinante. È musica per la comunità, e all’inizio prospera in un mercato totalmente separato da quello bianco. Quei 78 giri degli anni ’20 al ’40 li chiamano Race Records, blues e jazz e gospel dai neri per i neri. Chiameranno queste chart prima Harlem Hit Parade, poi Race Records dal ’45 al ’49, poi Jerry Wexler convincerà l’industria a definirli Rhythm and Blues Records (dal ’69 Soul, Black dall’82, R’n’B dal ’90, ‘R’n’B/Hip Hop’ dal 1999).
Agli artisti di questo primo periodo abbiamo aggiunto anche la musica nera dei primi ’60, come quella della Tamla Motown, Stax, Atlantic, Motown e leggende come James Brown e Sam Cooke, tutti eredi di quei primi “originator”. Gli artisti che trovate in questo primo capitolo sono una selezione ristretta di un mondo molto più vasto, ma ci fanno capire come il rock’n’roll (di Presley, per dire) sia venuto a maturazione quando parecchi artisti di rhythm and blues l’avevano già creato, come ritmo, come sequenza di accordi, come ballabilità, come attitudine. Un giorno, quando le superstar inglesi riconosceranno le origini, molti di loro, che erano spariti o messi in un angolo, diventeranno a loro volta superstar (postume, come nel caso di Johnson, o vive e vegete, come i vari King, Muddy e il Lupo ululante). Tutto si riconnetterà, tutti i crediti saranno resi espliciti. E si accetterà universalmente che il rock originale sia molto più nero di quello che molti pensano. Amen.
1
SWEET HOME CHICAGO
ROBERT JOHNSON
1936 Tutti prendono una musica già conosciuta e poi la reinterpretano col proprio stile, è una delle regole non scritte del blues.
La cosa più sorprendente di Robert Johnson, e del mito che si è creato intorno a lui, è che questa figura misteriosa, che aveva una popolarità ai tempi ristrettissima, sia al centro di un genere musicale e di un’industria che sposta milioni, sia di persone sia di dollari.
Di Johnson non si sa quasi nulla, a parte i ventinove brani che incide, nel 1936 e nel 1937. Esistono solo due fotografie, un primo piano con sigaretta in bocca e un altro seduto, sempre chitarra in mano, col vestito della festa, doppiopetto a rever larghi e cappello. Ma chiedete a qualunque fan, anche poco informato, e vi dirà subito della leggenda che lo circonda, quella di aver fatto un patto col diavolo: l’anima in cambio di un’abilità sovrumana alla chitarra. E vi dirà che questo patto è stato siglato al crossroad, uno di quei centinaia di incroci dove le lunghe strade dell’infinito delta del Mississippi si intersecano. Quale sia l’incrocio giusto nessuno lo sa, ma per celebrare la mitologia, un bel cartello turistico è lì, a Clarksdale, all’incrocio fra la 61 e la 49, due delle autostrade più celebrate della storia.
Leggenda quindi è la parola giusta, e un numero cospicuo di riviste, libri, dvd e film hanno provato negli anni a cercare la soluzione. Molto difficile, proprio per la mancanza di indizi precisi sulla sua vita. Che inizia (forse) l’8 maggio del 1911, a Hazlehurst, Mississippi. Figlio illegittimo di Julia Dodds e Noah Johnson, crescerà con la madre, i suoi due mariti, e un’infinità di spostamenti. Il primo documento che abbiamo di Johnson è il certificato del primo matrimonio, nel 1929, con la sedicenne Virginia Travis, morta poi di parto. Abbiamo anche le testimonianze di alcuni bluesmen che ne incrociano il percorso: Son House, uno dei primi grandi del blues, lo conosce da ragazzo, dice che suona una buona armonica e una pessima chitarra. È lui che involontariamente dà il via alla leggenda del patto faustiano: quando due anni dopo lo rincontra, quella chitarra la suona da maestro. Come ha fatto? Quello che si sa è che il ragazzo sta sicuramente con orecchie e occhi ben aperti: frequenta musicisti locali, in particolare tal Isaiah Zimmerman, che gli insegna tecnica e trucchi, suonando la notte nei cimiteri, posti sicuramente tranquilli, dove nessuno ti disturba, anche se certamente questo aggiunge un altro elemento all’aura di mistero. Poi ci sono i race record, che cominciano a girare, e consentono a Johnson di conoscere e studiare altri musicisti: Lonnie Johnson, il cui stile arriva fino al jazz, tanto da permettergli di suonare con King Oliver, Louis Armstrong, Duke Ellington. Poi ci sono i due padri del delta blues, Charlie Patton (la cui spettacolarità con la chitarra e con il pubblico, sarà una grande influenza su tutta la generazione seguente) e Son House stesso, che molto insegnerà a Johnson sull’intensità vocale e delle performance. Oppure Hambone Willie Newbern, il primo a incidere un inno del delta, quella Roll and Tumble che nelle mani di Muddy Waters, Johnny Winter e altri diventerà un classico. Johnson ne usa la musica per la base del suo Travelling Riverside Blues (che nelle mani di Clapton diventerà una strofa di Crossroads), e questo è normale: tutti prendono una musica già conosciuta, o il testo o solo delle parti, e poi le reinterpretano col proprio stile, spesso cambiandole completamente; è una delle regole non scritte del blues.
Johnson quindi è un anello di congiunzione fra brani ancora precedenti e artisti e brani che verranno dopo: per dire, la sua Sweet Home Chicago è ripresa da Kokomo Arnold (KoKoMo Blues), che a sua volta l’ha presa da Scrapper Blackwell. Rimane una delle canzoni più famose sulla città, la terra promessa dei musicisti del delta che salgono al Nord in cerca di fortuna e opportunità, sia come musicisti che come lavoratori in genere. Anche se, nella sua idea, probabilmente è più un luogo ideale che la capitale del Michigan, tanto che nella canzone è descritta come in the land of California. Forse in metafora Johnson vuole intendere l’andare via dalla terra di origine e migrare con la sua donna verso luoghi “esotici”, che contengano in sé la promessa di un miglioramento della vita in generale.

In cerca di Robert Johnson

In molti hanno tentato si sollevare il velo di mistero che avvolge Robert Johnson, a partire dalle uniche due foto che ci tramandano il suo volto. Ma un’avventura alquanto straordinaria è quella di Steven Schein, come racconta un bellissimo articolo sul Vanity Fair americano dell’ottobre 2008. Schein lavora in un negozio di strumenti e trova su eBay una vecchia chitarra, che viene venduta insieme a una fotografia. Quella foto è il motivo per cui la compra ed è lì che parte un film a metà fra un documentario sul blues e un giallo. La foto seppiata ritrae due giovanotti, uno dei quali con un occhio sinistro più stretto dell’altro, le lunghe dita poggiate su una chitarra. Schein è appassionato di Delta blues e quel volto gli sembra familiare. Mette un programma automatico di rilancio e si porta a casa chitarra e foto per duemiladuecento dollari. Analizza la chitarra e pensa sia stata prodotta nel 1935. L’età coinciderebbe. Pensa che l’altro ragazzo nella foto sia Johnny Shines, chitarrista, amico e spesso partner musicale di Johnson. Schein comincia a investigare, seguendo notizie incerte, certificati mortuari, bloccato da una disputa legale fra gli eredi. Infine incontra lungo la strada il supposto figlio ed erede universale di Johnson, Claud Johnson, certificato tale dalla Suprema Corte americana sulla base della testimonianza di un’amica d’infanzia della madre di Claud, che conferma che la madre e il bluesman un giorno fecero all’amore in un bosco. Poi ci sarà anche il parere positivo di una esperta legale forense che analizza il volto. È la terza foto di Johnson? Probabilmente, ma non avendo certezze assolute, Schein non la può usare ufficialmente.
Claud Johnson con...

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