Trattato fondamentale di fotografia
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Trattato fondamentale di fotografia

Fotografia stenopeica - Pellicola - Digitale - Tecniche di ripresa - Ricettario bianconero - Fotografia raw - Photoshop - Tecniche ibride

Sergio Marcelli

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Fotografia stenopeica - Pellicola - Digitale - Tecniche di ripresa - Ricettario bianconero - Fotografia raw - Photoshop - Tecniche ibride

Sergio Marcelli

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Über dieses Buch

Sviluppato sul parallelo tra pellicola e digitale, il Trattato fondamentale di fotografia tratteggia con esempi significativi le diverse situazioni in cui un fotografo può trovarsi a operare. Le nozioni teoriche sono costantemente arricchite di citazioni e rimandi esterni, e sempre proposte in una prospettiva pratica e applicativa.Il volume si apre con una sezione sulle fasi di lavorazione dell'immagine, nella quale l'autore analizza in modo dettagliato l'intero iter, comparando le diverse tecniche che contraddistinguono i vari generi fotografici.Segue un'ampia sezione focalizzata sul bianconero in camera oscura dove, oltre ai procedimenti consueti, sono discusse numerose formule aggiornate, alcune delle quali decisamente ecologiche.Il digitale è invece suddiviso in due parti, la prima dedicata alla ripresa e al successivo "sviluppo" nel formato RAW, la seconda alle tecniche avanzate di Photoshop, con diversi esempi illustrati.A chiusura del volume sono infine proposti alcuni procedimenti ibridi, generalmente impiegati per la stampa. Oltre 280 illustrazioni corredano il testo, completando attraverso esempi visivi, grafici e tabelle, le spiegazioni prettamente tecniche.

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Information

Verlag
Hoepli
Jahr
2016
ISBN
9788820373382
Thema
Art
Parte seconda

6. Il bianco e nero

6.1 Nozioni fondamentali

Il trattamento di sviluppo si distingue in quattro fasi: sviluppo, arresto, fissaggio e lavaggio. Durante lo sviluppo l’immagine latente appare per azione di un agente riduttore, il rivelatore. La velocità con cui esso agisce è più rapida a temperature più elevate, in soluzioni più concentrate e in ambiente alcalino. Una diluizione maggiore prolunga la durata ma dà una grana più sottile con maggior dettaglio nelle ombre, di contro il bagno si esaurisce più rapidamente e si conserva meno. Ad accelerare il trattamento di sviluppo entra infine in gioco l’agitazione, il cui compito è quello di mantenere fresca la soluzione a contatto dell’emulsione.
Nelle formule per i negativi deve dare un contrasto minore rispetto alla stampa dove, viceversa, si cercano neri profondi. La conservazione varia da formula a formula a patto che i flaconi aperti a metà siano liberati dall’aria: generalmente è di sei mesi per le soluzioni iniziate e di due anni per quelle nuove. I rivelatori sono da gettare quando assumono un colore bruno, ad eccezione solo del Rodinal che pare restare efficace anche dopo decenni.
Durante l’attività, lo sviluppo riduce progressivamente le proprie capacità sino ad esaurirsi completamente. Per la stampa viene indicata la superficie di carta stampabile con un litro di soluzione, da gettare comunque a fine giornata. Alcuni sviluppi per negativo possono invece essere recuperati e impiegati più volte ma la conservazione è comunque breve e il tempo di sviluppo va debitamente allungato. Certi rivelatori parzialmente esauriti possono essere rigenerati con l’aggiunta di un integratore, altri vanno scartati dopo l’uso.
La temperatura ottimale è di 20 °C ma con i materiali attuali può oscillare tra i 18 e i 27 °C, superati i quali si rendono necessari procedimenti particolari che escludano il rigonfiamento della gelatina. La temperatura piÚ bassa fissa invece la soglia sotto cui i principali agenti rivelatori impiegati nelle formule non riescono a diventare attivi.
Digitaltruth.com pubblica online un database con i tempi di sviluppo di tutte le pellicole in mercato; questi sono anche forniti dai fabbricanti e fungono come valori di partenza a cui suggeriamo di attenersi almeno finchĂŠ non si sia acquisita una certa familiaritĂ  con lo sviluppo e, soprattutto, finchĂŠ non si sia certi di raggiungere risultati ripetibili.
In commercio esiste una ricca scelta di prodotti in soluzione concentrata; pronti per lo stoccaggio, vanno diluiti immediatamente prima dell’uso. Altri chimici sono invece venduti in sali solitamente divisi su più buste da diluire in acqua secondo l’ordine di numerazione, alla temperatura di 35-50 °C. Salvo rari caso per la preparazione dei bagni si può usare la comune acqua potabile, ma per gli sviluppi venduti in sali o più in generale per gli stoccaggi è meglio ripiegare sull’acqua distillata o su quella del rubinetto previamente bollita.
Tracce di sviluppo nel fissaggio tendono a produrre velo dicroico e macchie, ragion per cui si usa intervallare i due bagni con un lavaggio intermedio. L’arresto più semplice è un lavaggio d’acqua corrente per la durata di un minuto, ma di norma si preferisce sostituirlo con un bagno acidificato. L’acido acetico 80% può essere usato indistintamente sia per il negativo che per la stampa variando di volta in volta la concentrazione. La durata in entrambi i casi è di 30 sec e va gettato quando il pH si avvicina ai valori neutri (per questa ragione in commercio esistono soluzioni di stop contenenti un indicatore di acidità che cambia colore al salire del pH).
Nel fissaggio i sali d’argento non ridotti in argento metallico diventano solubili in acqua e sono facilmente asportabili mediante lavaggio, ma superato il tempo strettamente utile all’operazione, il bagno inizia ad intaccare l’argento dell’immagine e a penetrare in profondità nell’emulsione. A questo punto neppure un lavaggio prolungato riesce a rimuoverne le tracce residue che, con il tempo, andranno a formare macchie non più eliminabili. Se poi il bagno è esaurito l’azione rallenta sino ad inibirsi del tutto, mentre il rischio di inquinamento si fa maggiore.
Il più antico fissaggio ad essere usato ancora oggi (ma solo per la stampa) prende il nome di fissaggio neutro e contiene solo l’iposolfito di sodio. Meglio e più rapidamente di quest’ultimo agisce l’iposolfito di ammonio (o tiosolfato di ammonio) che nelle formule viene designato con il nome di fissaggio rapido. Seppure l’arresto acido sia sufficiente a mantenere pulito il fissaggio, da tempo si usa acidificare anche quest’ultimo. Ciò nonostante si è scoperto che un fissaggio acido rende più difficile il lavaggio, tanto che, a partire dagli anni Novanta, sono state pubblicate alcune formule di fissaggio alcalino che meglio si prestano alla conservazione dei negativi. Come per il fissaggio neutro a contatto di un acido si forma un precipitato di zolfo e perciò va preceduto sempre da un arresto in acqua.
Per il trattamento del negativo la durata va calcolata da emulsione a emulsione immergendo uno spezzone di film nella soluzione fresca: cronometrato il tempo necessario affinchÊ la pellicola diventi completamente trasparente, lo si triplica nel caso di un fissaggio neutro o alcalino, lo si quadruplica con un fissaggio acido1. Il bagno va poi scartato quando il tempo di chiarificazione raddoppia. Per le carte, invece, il tempo andrebbe determinato con un test, ma in genere si fa riferimento alle istruzioni di fabbrica; in questo caso per prudenza è consigliato però non arrivare ai limiti o meglio dividere il trattamento in due soluzioni di cui la seconda freschissima. Di solito un fissaggio rapido richiede dai 3 ai 5 minuti di trattamento, il doppio negli altri casi.
Se venduti come universali i fissaggi possono essere usati indistintamente sia per la stampa che per il negativo, ma cambiano le proporzioni di diluizione. In genere ha buone capacità di conservazione e va scartato quando lascia depositi gialli; può essere utilizzato più volte, verificandone di volta in volta l’efficacia. Unica eccezione il fissaggio neutro d’iposolfito puro, il quale va consumato in giornata.
Gli ultimi due prodotti che ci serviranno per completare le spiegazioni di questo capitolo sono l’hypo clearing angent della Kodak, un particolare composto di sali da sciogliere in acqua e da usare per facilitare il lavaggio, ed un emolliente che tolga le impurità dell’acqua a completamento del trattamento della negativa, l’imbibente.
Fig. 6.1 — La pubblicazione Kodak AK-3, scaricabile dal sito dell’azienda, spiega come progettare una camera oscura e propone alcune soluzioni provvisorie, adattando ad esempio lo spazio della cucina o del bagno.

6.2 La camera oscura

La camera oscura (fig. 6.1) è il locale attrezzato per lo sviluppo e la stampa del materiale su pellicola. All’interno si trovano un piano da lavoro (4), l’ingranditore (2) e un essiccatoio (3) per le negative (mentre per evitare un inutile accumulo di umidità le stampe vanno asciugate in un ambiente separato). Le pareti andrebbero dipinte di grigio chiaro con i soffitti bianchi e le prese della corrente sistemate lontano dalle bacinelle di sviluppo. Pavimento e pittura murale devono essere facilmente lavabili; le eventuali finestre vanno schermate con pannelli a prova di luce, sigillando bene gli eventuali spifferi. L’ingresso a labirinto (1), oltre a garantire il necessario ricambio d’aria, è utile se si deve entrare e uscire spesso dal laboratorio poiché trattiene la luce senza ostacolare l’accesso che dunque resta sempre aperto. L’acqua (5), seppure di grande utilità, non è strettamente necessaria.
Nella camera oscura la zona asciutta, dove è sistemato il tavolo con l’ingranditore per l’esposizione della carta, deve essere separata dal piano di sviluppo. Questo deve essere abbastanza ampio da contenere le bacinelle per lo sviluppo della carta, sino al formato 50 x 70 cm; per i formati superiori si usano apposite vasche in cui le stampe vanno immerse arrotolate (di questo tipo sono le sviluppatrici a tamburo per il trattamento automatizzato della carta, indispensabile per il colore). I materiali non sensibili ad alcune frequenze luminose, come la carta, possono essere manipolati con una apposita illuminazione di sicurezza giallo-verde o rossa, tenuta ad almeno un metro di distanza dal materiale fotosensibile, per la durata strettamente necessaria alla lavorazione. In ogni modo l’ambiente risulta piuttosto buio e ci si muove meglio per abitudine.
Form...

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