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Filosofia contemporanea
Questioni e risposte nelle parole dei filosofi
Maurizio Pancaldi, Mario Trombino, Maurizio Villani
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Filosofia contemporanea
Questioni e risposte nelle parole dei filosofi
Maurizio Pancaldi, Mario Trombino, Maurizio Villani
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I filosofi del Novecento e dei nostri giorni senza interpretazioni e apparati, ma in presa diretta attraverso i loro scritti e le loro parole.Weber - Freud - Croce - Gentile - Peirce - James - Dewey - Blondel - Bergson - Maritain - Husserl - Frege - Russell - GĂśdel - PoincarĂŠ - Wittgenstein - Popper - Kuhn - Feyerabend - Heidegger - Jaspers - Sartre - Gadamer - Ricoeur - LukĂĄcs - Gramsci - Horkheimer - Adorno - Marcuse - Benjamin - Chomsky - Barthes - Foucault - Perelman - McLuhan - Arendt - Rawls - Irigaray - Jonas - Lecaldano - Barth - Bultmann - Rahner - Wiener - Turing - Von Neumann - Searle.
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Information
Thema
PhilosophyCapitolo
1
Scienze dellâuomo
NellâOttocento il positivismo sottrae alla filosofia lo studio del mondo
umano, la cui conoscenza passa dallâambito metafisico a quello della ragione
scientifica: nascono la psicologia sperimentale, la sociologia, lâantropologia
culturale. Tuttavia nella cultura tedesca, memore della lezione degli storicisti
e dei neokantiani, si afferma la tesi che il metodo delle scienze della natura
(finalizzato alla formulazione di leggi necessarie) sia inapplicabile alle
scienze storico-sociali, che indagano lâagire di soggetti liberi. La sociologia
comprendente di Weber è il risultato di questa consapevolezza critica.
Una svolta antropologica radicale si ha con la scoperta freudiana
dellâinconscio: lâio come soggetto razionale si dissolve ed è reinterpretato
allâinterno di dinamiche pulsionali, di natura prevalentemente erotica,
che sfuggono in gran parte al controllo della coscienza.
umano, la cui conoscenza passa dallâambito metafisico a quello della ragione
scientifica: nascono la psicologia sperimentale, la sociologia, lâantropologia
culturale. Tuttavia nella cultura tedesca, memore della lezione degli storicisti
e dei neokantiani, si afferma la tesi che il metodo delle scienze della natura
(finalizzato alla formulazione di leggi necessarie) sia inapplicabile alle
scienze storico-sociali, che indagano lâagire di soggetti liberi. La sociologia
comprendente di Weber è il risultato di questa consapevolezza critica.
Una svolta antropologica radicale si ha con la scoperta freudiana
dellâinconscio: lâio come soggetto razionale si dissolve ed è reinterpretato
allâinterno di dinamiche pulsionali, di natura prevalentemente erotica,
che sfuggono in gran parte al controllo della coscienza.
WEBER, Il metodo delle scienze storico-sociali
CONOSCERE SIGNIFICA VALUTARE, OPPURE CONOSCERE QUALCOSA E DARNE UNA VALUTAZIONE SONO DUE OPERAZIONI DELLO SPIRITO DA TENERE DISTINTE?
Tra le scienze dello spirito che allâinizio del Novecento furono oggetto di particolare attenzione ci fu la sociologia, anche per ragioni pratiche: stava nascendo la moderna societĂ di massa e lâobiettivo di governarne le dinamiche appariva sempre piĂš complesso, soprattutto perchĂŠ una molteplicitĂ di nuovi attori sociali stavano facendo il loro ingresso nella vita collettiva (nuove classi sociali, per esempio, ma anche partiti politici di massa, sindacati e cosĂŹ via). Occorrevano strumenti di analisi raffinati che consentissero di interpretare, e quindi comprendere i movimenti in atto. Weber ritenne che lâobiettivo della sociologia fosse identificare modelli teorici entro i quali inquadrare i fenomeni sociali e diede loro il nome di âtipi idealiâ. Escluse che compito della scienza fosse darne una valutazione in nome di qualche valore: si trattava invece di comprenderli, di elaborarne una descrizione teorica e di imparare a seguirne sia le dinamiche che le regole.
Lâetica e la politica, non la sociologia, sono la sede della valutazione.
Non la scienza. E la sociologia è una scienza (dello spirito).
[Il compito della sociologia comprendente]
Lâatteggiamento umano (ÂŤesternoÂť o ÂŤinternoÂť) mostra nel suo corso connessioni e regolaritĂ , al pari di ogni divenire. Ciò che però, almeno in senso pieno, è proprio soltanto dellâatteggiamento umano, sono connessioni e regolaritĂ il cui corso possa essere interpretato con lâintendere. Una ÂŤcomprensioneÂť dellâatteggiamento umano, conseguita mediante lâinterpretazione, comporta anzitutto una specifica ÂŤevidenzaÂť qualitativa, di grado assai differente. Che unâinterpretazione possegga tale evidenza in misura particolarmente elevata non prova di per sĂŠ ancora nulla intorno alla sua validitĂ empirica. Infatti un comportamento eguale nel suo corso esterno e nel suo risultato può poggiare su costellazioni di motivi quanto mai diverse tra loro, di cui la piĂš evidente per la comprensione non sempre è anche quella realmente in gioco. LâÂŤintendereÂť rivolto a una certa connessione deve piuttosto essere sempre controllato, per quanto è possibile, con i mezzi del resto consueti dellâimputazione causale, prima che unâinterpretazione anche assai evidente divenga una ÂŤspiegazione intelligibileÂť valida. La misura maggiore di evidenza è posseduta dallâinterpretazione razionale rispetto allo scopo. Per comportamento razionale rispetto allo scopo si deve intendere un comportamento che sia orientato esclusivamente in vista di mezzi concepiti (soggettivamente) come adeguati per scopi intesi (soggettivamente) in modo univoco. Non giĂ che soltanto lâagire razionale rispetto allo scopo sia per noi intelligibile: noi ÂŤintendiamoÂť anche il corso tipico degli affetti e le loro conseguenze tipiche per lâatteggiamento. [âŚ]
Lâevidenza specifica del comportamento razionale rispetto allo scopo non ha naturalmente come conseguenza che lâinterpretazione razionale debba essere considerata, in modo particolare, come fine della spiegazione sociologica⌠Il comportamento interpretabile razionalmente rappresenta piuttosto molto spesso il ÂŤtipo idealeÂť piĂš appropriato per lâanalisi sociologica di connessioni intelligibili. La sociologia, al pari della storia, procede anzitutto a unâinterpretazione ÂŤpragmaticaÂť, in base a connessioni razionalmente intelligibili dellâagire.
La sociologia elabora⌠concetti di tipi e cerca regole generali del divenire, in antitesi alla storia, la quale mira allâanalisi causale e allâimputazione di azioni, di formazioni, di personalitĂ individuali che rivestono unâimportanza culturale. Lâelaborazione concettuale della sociologia trae il suo materiale â in forma di modelli â essenzialmente, anche se non esclusivamente, dalle realtĂ dellâagire che sono rilevanti pure dal punto di vista della ricerca storica. Essa forma infatti i suoi concetti e va in cerca di regole soprattutto anche in base alla prospettiva che essi possono, per tale motivo, rivestire in vista dellâimputazione storico-causale dei fenomeni di importanza culturale. Come avviene nel caso di ogni scienza generalizzante, il carattere specifico delle sue astrazioni fa sĂŹ che i suoi concetti debbano essere relativamente vuoti di contenuto rispetto alla realtĂ concreta del processo storico. Ciò che essa può offrire in compenso è lâaccresciuta univocitĂ dei concetti; e questa viene conseguita in virtĂš del grado massimo di adeguazione di senso, al quale tende lâelaborazione concettuale della sociologia. Ciò vuol dire che la massima univocitĂ può essere raggiunta con particolare compiutezza nel caso â che abbiamo finora prevalentemente considerato â di concetti e di regole razionali (razionali rispetto al valore o razionali rispetto allo scopo). Ma la sociologia cerca di formulare in concetti teorici, e cioè adeguati nel loro senso, anche i fenomeni irrazionali (e cioè mistici, profetici, pneumatici, affettivi). In tutti i casi, sia di fenomeni razionali sia di fenomeni irrazionali, essa si distacca dalla realtĂ e serve alla conoscenza di questa in quanto, indicando la misura dellâavvicinamento di un fenomeno storico a uno o a piĂš di tali concetti, consente di comprenderlo in un ordine. Per esempio, il medesimo fenomeno storico può configurarsi in una parte dei suoi elementi come ÂŤfeudaleÂť, in unâaltra come ÂŤpatrimonialeÂť, in unâaltra ancora come ÂŤburocraticoÂť oppure come ÂŤcarismaticoÂť. AffinchĂŠ questi termini possano designare qualcosa di univoco la sociologia deve, da parte sua, formulare tipi ÂŤpuriÂť (cioè tipi ideali) di formazioni di quel genere, le quali mostrano in sĂŠ lâunitĂ coerente della piĂš completa adeguazione di senso, ma appunto perciò non si presentano, in questa forma idealmente pura, nella realtà ⌠Soltanto muovendo dal tipo puro (cioè dal tipo ÂŤidealeÂť) è possibile una casistica sociologica.
La capacitĂ di realizzare la distinzione tra il conoscere e il valutare, cioè tra lâadempimento del dovere scientifico di vedere la realtĂ dei fatti e lâadempimento del dovere pratico di difendere i propri ideali â questo è il principio al quale dobbiamo attenerci piĂš saldamente.
In ogni epoca câè e rimarrĂ sempre â questo è ciò che ci interessa â una differenza insormontabile tra unâargomentazione la quale si diriga al nostro sentimento e alla nostra capacitĂ di entusiasmarci per fini pratici concreti o per forme e contenuti culturali, oppure anche alla nostra coscienza â nel caso in cui sia in questione la validitĂ di norme etiche â e unâargomentazione la quale si rivolga invece alla nostra capacitĂ e al nostro bisogno di ordinare concettualmente la realtĂ empirica, in maniera da pretendere una validitĂ di veritĂ empirica. E questa proposizione rimane corretta nonostante che quei ÂŤvaloriÂť supremi che stanno a base dellâinteresse pratico siano e restino sempre di decisiva importanza, come si porrĂ ancora in luce, per la direzione che lâattivitĂ ordinatrice del pensiero assume ogni volta nel campo delle scienze della cultura.
NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA
Max Weber (Erfurt 1864 - Monaco 1920) ha scritto i due brani citati in due saggi pubblicati rispettivamente nel 1913 (Ăber einige Kategorien der verstehenden Soziologie) e nel volume, uscito postumo nel 1922, Wirtschaft und Gesellschaft.
I testi riportati sono tratti da: La metodologia delle scienze storico-sociali. Weber, in Lo storicismo contemporaneo, a cura di P. Rossi, Loescher, Torino 1969, pp. 129-131.
FREUD, Lâinconscio
POICHĂ LA COSCIENZA UMANA HA ZONE OSCURE, Ă BEN FONDATA LâIPOTESI DELLâESISTENZA DI UN INCONSCIO?
Nella storia della filosofia è spesso comparsa lâipotesi che nella psiche dellâuomo vi siano elementi che sfuggono alla coscienza in modo integrale o parziale. Per esempio Leibniz ha introdotto la nozione di âpiccole percezioniâ per indicare alcune percezioni intuitive, lâatto della mente con cui intuiamo qualcosa ma non siamo ben coscienti dei processi che ci hanno portato ad avere proprio quella determinata intuizione e non altre.
Anche nellâidealismo, per esempio in Schelling, compare una nozione di spirito non cosciente, a proposito della natura (alla quale apparteniamo) e Nietzsche, pochi anni prima di Freud, è andato alla ricerca delle radici nascoste (alla coscienza) delle convinzioni, dei valori, delle âveritĂ â in cui crediamo. Concezioni di questo tipo compaiono anche in Schopenhauer. La psicoanalisi nasce quando Freud elabora in modo compiuto lâipotesi che la maggior parte della vita cosciente dellâuomo dipenda da pulsioni che rimangono del tutto nascoste alla coscienza, e tuttavia ritiene che sia possibile indagare in questa sfera della psiche. La pratica psicoanalitica ha innanzitutto questo obiettivo: far riemergere dallâinconscio ciò che è al di lĂ della coscienza, acquisendo cosĂŹ la possibilitĂ di dare una piĂš completa interpretazione della psiche umana nel suo complesso.
Il diritto di ammettere lâesistenza di una psiche inconscia e di lavorare scientificamente in base a questa ipotesi ci viene contestato da piĂš parti. A nostra volta possiamo replicare che lâipotesi è necessaria e legittima, e che abbiamo parecchie prove dellâesistenza dellâinconscio.
Tale ipotesi è necessaria perchĂŠ i dati della coscienza sono molto lacunosi; nei sani non meno che nei malati si verificano spesso atti psichici che possono essere spiegati solo presupponendo altri atti che non sono invece testimoniati dalla coscienza. Atti del genere non sono solo le azioni mancate e i sogni delle persone sane, o tutto ciò che nei malati rientra nella denominazione di sintomo psichico e manifestazione ossessiva; la nostra piĂš personale esperienza quotidiana ci fa costatare lâesistenza tanto di idee improvvise di cui non conosciamo lâorigine quanto di risultati intellettuali la cui elaborazione ci è rimasta oscura.
Tutti questi atti coscienti restano slegati e incomprensibili se ci ostiniamo a pretendere che ogni atto psichico che compare in noi debba essere sperimentato dalla coscienza; mentre si organizzano in una connessione ostensibile se li interpoliamo con gli atti inconsci di cui abbiamo ammesso lâesistenza. Ma guadagnare in significato e in connessione è una ragione perfettamente legittima per andare al di lĂ dellâesperienza immediata. Se poi risulterĂ altresĂŹ che lâipotesi dellâinconscio ci consente di costruire un efficace procedimento con cui influenzare utilmente il decorso dei processi consci, tale successo costituirĂ unâinoppugnabile testimonianza della validitĂ di quel che abbiamo assunto. Stando cosĂŹ le cose, dobbiamo ritenere che, se si esige che tutto ciò che accade nella psiche debba per forza esser noto alla coscienza, si avanza in effetti una pretesa insostenibile.
Si può andare piĂš in lĂ , e corroborare la tesi dellâesistenza di uno stato psichico inconscio osservando come in ciascun momento la coscienza comprenda solo un contenuto assai limitato, talchĂŠ la massima parte di quello che chiamiamo sapere cosciente deve comunque trovarsi per lunghissimi periodi di tempo in uno stato di latenza, e cioè di inconsapevolezza psichica. Se si considerano tutti i nostri ricordi latenti, il fatto che sia contestata lâesistenza dellâinconscio diventa assolutamente incomprensibile.
Ma a questo proposito ci viene obiettato che tali ricordi latenti non vanno piĂš definiti come alcunchĂŠ di psichico, ma corrispondono invece ai residui di processi somatici dai quali può nuovamente venir fuori lo psichico. Sarebbe facile ribattere che al contrario il ricordo latente è lâinequivocabile sedimento di un processo psichico. Ma è piĂš importante rendersi conto che lâobiezione si basa sullâequiparazione â non dichiarata, e tuttavia assunta a priori â dello psichico con il cosciente. Questa equiparazione o è una petitio principii, la quale non ammette che venga posto il problema se tutto ciò che è psichico debba anche essere cosciente, oppure si tratta di una convenzione, di una faccenda terminologica. In questo secondo caso è ovviamente inoppugnabile, come ogni altra convenzione. Resta solo da domandarsi se essa sia davvero cosĂŹ opportuna da dover essere adottata per forza. Possiamo rispondere che lâequiparazione convenzionale dello psichico con il cosciente è assolutamente inopportuna. Lacera le continuitĂ psichiche, ci irretisce nelle insolubili difficoltĂ del parallelismo psicofisico, è soggetta allâobiezione di sopravvalutare la funzione della coscienza senza alcuna ragione plausibile, e ci costringe ad abbandonare prematuramente il terreno della ricerca psicologica senza essere in grado di portarci un risarcimento a partire da altri ambiti di indagine. [âŚ]
Ma la postulazione dellâinconscio è anche pienamente legittima giacchĂŠ, adottando tale ipotesi, non ci discostiamo di un passo dal nostro abituale modo di pensare [âŚ]. La coscienza trasmette a tutti noi soltanto la nozione dei nostri personali stati dâanimo; che anche altre persone abbiano una coscienza, è una conclusione analogica che, in base alle azioni e manifestazioni osservabili degli altri, ci permette di farci una ragione del loro comportamento. [âŚ]
Nella psicoanalisi non abbiamo altra scelta: dobbiamo dichiarare che i processi psichici in quanto tali sono inconsci e paragonare la loro percezione da parte della coscienza con la percezione del mondo esterno da parte degli organi di senso. Nutriamo addirittura la speranza che questo confronto giovi allo sviluppo delle nostre conoscenze. Lâipotesi psicoanalitica di unâattivitĂ psichica inconscia ci appare, da un lato, come un ulteriore sviluppo dellâanimismo primitivo che ci induceva a ravvisare per ogni dove immagini speculari della nostra stessa coscienza, e dâaltro lato come la prosecuzione della rettifica operata da Kant a proposito delle nostre vedute sulla percezione esterna. Come Kant ci ha messo in guardia contro il duplice errore di trascurare il condizionamento soggettivo della nostra percezione e di identificare questâultima con il suo oggetto inconoscibile, cosĂŹ la psicoanalisi ci avverte che non è lecito porre la percezione della coscienza al posto del processo psichico inconscio che ne è lâoggetto. Allo stesso modo della realtĂ fisica, anche la realtĂ psichica non è necessariamente tale quale ci appare. Saremo tuttavia lieti di apprendere che lâopera di rettifica della percezione interna presenta difficoltĂ minori di quella della percezione esterna, che lâoggetto interno è meno inconoscibile del mondo esterno.
NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA
Sigmund Freud (Freiberg in Moravia 1856 - Londra 1939) scrisse Lâinconscio nel 1915.
Il testo riportato è tratto da: S. Freud, Lâinconscio, in Opere, vol. VIII, a cura di C.L. Musatti, Boringhieri, Torino 1966, pp. 49-53.
FREUD, Compendio di psicoanalisi
SE LA PSICHE UMANA NON Ă INTERAMENTE SOTTO IL CONTROLLO DELLA COSCIENZA, Ă POSSIBILE SCOPRIRE QUAL Ă LA SUA STRUTTURA?
La risposta alla domanda che abbiamo posto sarebbe naturalmente negativa se non avessimo la possibilitĂ di studiare le manifestazioni dellâinconscio nella sfera della coscienza. Ă infatti del tutto escluso che lâio cosciente possa penetrare direttamente nella sfera dellâinconscio. Tutto quello che si può fare è interpretare i segni con cui esso âparlaâ, per esempio attravers...