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CittĂ . Il luogo della conoscenza e dei nuovi consumi
Il termine âurbanizzazioneâ è il neologismo che si affianca alla globalizzazione, è il fenomeno piĂš importante nel mondo del commercio e in particolare nella vendita e somministrazione dei prodotti food. In realtĂ non è un termine veramente nuovo ma assume nuovi significati. La storia dellâumanitĂ ha avuto altri momenti e processi di urbanizzazione â pensate alla rivoluzione industriale inglese e alla narrazione dickensiana della stessa â ma quella che stiamo vivendo sta trasformando, probabilmente come nel passato, tradizioni, stili di vita e relazioni delle persone. Per collegarci al nostro argomento, nella Londra del 1700 il gin si distillava clandestinamente nelle vasche da bagno. Oggi nelle cittĂ esistono i âGin tonic barâ specializzati nella somministrazione di gin e toniche premium. In Italia sono in commercio ormai decine di gin artigianali. Lâimpatto dellâurbanizzazione tocca sia lâaspetto delle dimensioni â la cittĂ come luogo di individualitĂ tra milioni di simili â sia quello della qualitĂ â la cittĂ come luogo di non relazione, di relazioni istantanee o competitive. Ma il fenomeno dellâurbanizzazione ha forse il suo impatto piĂš forte ed evidente nella concentrazione della ricchezza e nella sua spesa in consumi nella cittĂ , il luogo allo stesso tempo della rendita e della spesa. Il luogo dove non si produce nulla, piuttosto âsi intermedia e si serveâ, ma dove si consuma tutto il possibile. Il luogo piĂš adatto per sfruttare i vantaggi unici dellâeconomia della conoscenza e lâarma della finanziarizzazione. Dove la ricerca di soluzioni, esperienze, narrazioni, mobilitĂ e altri significati di consumo esplode in maniera forte.
Il âsensoâ di quello che si consuma appare molto piĂš complesso di quello della vecchia cittĂ e della contrapposizione con unâeconomia rurale, dove produrre nellâorto, cucinare e mangiare era la normalitĂ , dove il prodotto tipico, tanto per fare un esempio, era quello ânormaleâ, dove ancora gli chef erano cuochi o osti. Nella vecchia cittĂ il mercato era un mercato, non un concept commerciale di mercato creato ad hoc. La cittĂ agisce semplificando su due dimensioni di senso dei consumi, lo spazio e il tempo. Lo spazio non è solo il luogo dove ci troviamo (casa, ufficio, strada) ma il quartiere, il distretto del food, a cui siamo prossimi, la food-hall o il travel retail della stazione o dellâaeroporto nei quali stiamo transitando. Oggi i negozi si concepiscono prima di aprirli e le persone li scelgono piĂš che subirli. Il tempo non è come si crede solo veloce, âfastâ, ma dilatato â si mangia a ogni ora (e in ogni luogo) â o âlentoâ â perchĂŠ vogliamo rallentarlo per gustarci con calma qualunque cosa. Ma allâinterno di questo semplice frame di riferimento è lâindividualitĂ dellâuomo urbano che conta, la sua autodeterminazione nella scelta del dove, come e cosa mangiare. Approfondirò tutti questi temi ma anticipo che se il dove e il cosa sono concetti deterministici, nuovi/vecchi format di vendita, nuovi vecchi/cibi, il come è un concetto tipicamente urbano. Il tavolino, metafora rurale del mangiare in comune, scompare a favore del nulla, dello strapuntino per single, del bancone fronte preparazione del piatto, e se il tavolo ricompare, ha perduto la tovaglia, alla faccia dellâigiene. Sette dei primi dieci ristoranti stellati del mondo iniziano le prime portate del pasto facendovi usare solo le mani â forchette e coltelli, conquiste della civiltĂ , non servono piĂš â mentre la moneta elettronica, la carta di credito, per pagare il conto è indispensabile. Il food è diventato totalmente estetico e sensoriale: il âcomeâ si mangia e si beve è diventato oggetto di studio antropologico. Per converso, se vogliamo analizzare lâevoluzione del rurale, cioè di tutto quello che non è urbano, possiamo tranquillamente affermare che è uno dei mondi esperienziali che funzionano molto bene dal punto di vista food. Siamo nel mondo del âpittorescoâ e del âromanticoâ: lâagriturismo ne è probabilmente lâesempio migliore, la metafora della fuga dalla cittĂ . Scappo dalla cittĂ . La vita, lâamore e le vacche è un film comico americano del 1991 che aveva giĂ anticipato come sarebbero andate le cose. Di conseguenza diventano oggetto di culto la vecchia osteria di paese, il crotto alpino, il ristorante sulla spiaggia, lo spaccio di mozzarelle a Pompei, la piĂš antica fabbrica del cioccolato della Sicilia. Natura, arte, panorami mozzafiato: food-pittoresco! Purtroppo, e ne parleremo anche in provincia, sulle spiagge e nei crotti è arrivata lâinfluenza urbana, vista in tv o su internet: scompaiono anche lĂŹ le tovaglie, i piatti diventano quadrati, il vino è di tutto il mondo e sul mare mangi il sushi. La cultura del territorio si piega allâaspirazionalitĂ della cittĂ : molta imitazione poca innovazione.
La cittĂ , non si può negarlo, è anche un luogo di forti contrapposizioni interne: basata sulla ricchezza deve fare i conti con la moltitudine che la abita e da cui è attratta. Di fianco ai quartieri ricchi la cittĂ si allarga negli slums dei poveri. Ma ormai è normalitĂ anche nei centri storici della nostra cittĂ la presenza costante di senza tetto. Queste persone non consumano e non mangiano come gli altri ma sono comunque âun prodottoâ dellâurbanizzazione. E come spesso accade, invece che risolvere un problema lo si sfrutta per operazioni che uniscono la solidarietĂ al marketing: Il Refettorio di Massimo Bottura è un vero e proprio concept di ristorazione presente a Parigi, Londra, Milano, Rio De Janeiro, Bologna e Modena, in cui si combatte lo spreco alimentare riutilizzando materie prime e si offre un pasto ai poveri. Solo che le location sono bellissime (Place de la Madeleine a Parigi per esempio) i locali sono disegnati e arredati dai migliori architetti-designer-artisti e il ristorante diventa un palcoscenico dove cucinano chef famosi, come Ducasse e AllĂŠno allâinaugurazione a Parigi. Il magazine Le Monde, il 14 maggio 2018, ha suscitato lâira dello chef italiano e dei suoi fan perchĂŠ si è permesso di scrivere che il refettorio era pieno a metĂ : sembra che i bisognosi di Parigi non vadano in centro⌠e siano un poâ spaventati dalla cura dellâambiente. Bottura via Facebook ha ribattuto cosĂŹ: âCaro, avresti dovuto aggiungere che non è questione di numeri ma di comunicazione. Il giornalista di Le Monde non ha capito niente del progettoâ. Commedia dellâassurdo.
Food, cittĂ , povertĂ , un mondo di contraddizioni. Ma le cittĂ , proprio perchĂŠ centro dei consumi mondiali, movimentano, usano e sprecano tanto. Soffermiamoci sulle movimentazioni dei prodotti alimentari: avete mai pensato alla strada che ha fatto il mango o lâavocado che state mangiando? Si tratta di semplici vegetali ma non sono stati colti nel parco vicino casa: il maggiore produttore di avocado è il Messico, mentre il mango arriva dallâIndia. Il gambero rosso di Mazara che mangiate nel sushi viene pescato e viene abbattuto a bordo, quindi spedito. PerchĂŠ non è solo un fatto di trasporto, dalla Sicilia a Milano o Londra, ma di energia impiegata e consumata per conservarlo, trasformarlo o cucinarlo. Vi siete mai posti la domanda di quanto consuma un ristorante o una gelateria? Oppure un abbattitore o un forno per la pizza (elettrico o a legna non cambia nulla). La città è il luogo delle esperienze di consumo ma esiste un mondo prima di mangiare un prodotto pur semplice come un gelato. Dietro lâurban food câè lâindustria del food: in mezzo sta la trasformazione del prodotto e infine lâesperienzialitĂ del consumo. Ora vado a quantificare il fenomeno dellâurbanizzazione sia dal punto di vista degli âumaniâ sia della ricchezza.
Il mondo in cittĂ
Negli anni â60 solo un terzo della popolazione mondiale viveva in cittĂ . Nel 2050 la proporzione sarĂ invertita: giĂ oggi piĂš della metĂ della popolazione mondiale vive in cittĂ , con punte dellâ82% in Nord America, dellâ80% in America Latina e nei Caraibi e del 73% in Europa. In persone, tanto per darvi unâidea, la popolazione urbana è passata dai 746 milioni degli anni â50 ai 3.9 miliardi del 2014. La Banca Mondiale calcola che circa 60 milioni di persone si trasferiscono in cittĂ ogni anno: ciò vuol dire circa un milione di persone alla settimana.
La crescita demografica dei prossimi anni a livello mondiale sarà quasi totalmente assorbita dalle città , dove dobbiamo aspettarci di accogliere 1.1 miliardi di persone nei prossimi dodici anni! Lo spazio occupato dalle città sul globo terrestre è solo il 5% della superficie totale!
Per contro Africa e Asia rimangono per adesso nazioni rurali, dove solo il 40% e il 48% vive in città : i due continenti, insieme, ospitano il 90% della popolazione rurale mondiale. Però India, Cina, e Nigeria sono le nazioni in cui da oggi al 2050 crescerà maggiormente la popolazione urbana.
Scrivendo di metropoli, lâoscar va a Tokyo, la cittĂ piĂš grande del mondo con 38 milioni di abitanti, seguita da Delhi con 25 milioni (ma proiettata entro 5 anni a raggiungere i 36 milioni), Shanghai con 23 milioni, Mumbai e San Paolo, entrambe con circa 21 milioni di abitanti. Entro il 2030 al mondo ci saranno 41 megalopoli con piĂš di 10 milioni di abitanti.
Ma le cittĂ che cresceranno di piĂš in termini di abitanti sono quelle di medie dimensioni, quelle con meno di un milione di abitanti, tipo Milano, Napoli e Bari, per intenderci.
In Italia le cose vanno di pari passo: su 60 milioni di persone, 47 vivono in aree metropolitane, in condizioni certamente migliori di quelle che vivono in provincia. Ed eccoci a un secondo passaggio: la città non è solo il luogo dove vogliono abitare tutti ma anche (e ovviamente le cose sono collegate) quello della ricchezza e della rendita.
La ricchezza in cittĂ
Ripartiamo dallâItalia: la cittĂ di Milano va talmente forte da crescere a ritmi doppi rispetto a tutto il Paese.
Il PIL della Regione Lombardia è salito nel 2017 dellâ1,8% (e il capoluogo del lâ1,9%). Ma nei quattro anni 2014-2017 Milano cresce del 6,2%, quasi due volte il ritmo dellâItalia, e oggi risulta sopra il livello pre-crisi del 3,2%, contro un differenziale ancora negativo per Lombardia (-1,1%) e Italia (-4,5%). DipenderĂ tutto dallâExpo? Probabilmente anche sĂŹ, ma Milano riassume tutte le caratteristiche della cittĂ moderna occidentale: un ottimo livello di servizi alla persona, la presenza di due delle migliori UniversitĂ al mondo (Bocconi e Politecnico), lâeccellenza di due settori cool come la moda e il design, un sistema efficiente di trasporti. Metabolizzata la sconfitta dellâEma, si aspetta lâarrivo della sede europea della London Stock Exchange.
Milano vive un altro fenomeno tipico dellâurbanizzazione: il ritorno in cittĂ degli uffici delle principali aziende mondiali, quelle nuove però, come Google, Amazon, Microsoft e Samsung, che hanno preso tutte domicilio nei nuovi quartieri di Porta Nuova. Le 3.600 imprese estere presenti a Milano raggiungono un fatturato pari a 167,6 miliardi di euro â un terzo del valore di tutte le societĂ presenti in Italia â e danno lavoro a 280.000 persone.
Milano rappresenta un fenomeno che ha caratteristiche globali: il nuovo modello economico non è piĂš basato sullâindustria bensĂŹ sulla conoscenza, e il risultato è la diseguaglianza territoriale in vertiginoso aumento. Il capitale non investe piĂš sul lavoro ma sulla rendita: la finanza, i servizi, lâimmobiliare, il commercio. Lâeconomista Joan RosĂŠs, professore alla London School of Economics, racconta: âImmaginatevi un mondo con poche e piccolissime isole di prosperitĂ , immerse in un mare di povertĂ e stagnazione. Ci stiamo dirigendo proprio lĂŹâ. Joan RosĂŠs, insieme a Nikolaus Wolf, capo economico alla Humboldt University di Berlino, ha creato un algoritmo in grado di definire dove si sta accumulando la ricchezza.
Lâassurdità è che la povertĂ non è solo concentrata nel Sud del mondo e neanche dellâItalia: in realtà è dietro lâangolo di una cittĂ come Milano, dove si incontrano alcuni dei Comuni piĂš indigenti dâItalia. Dalle dichiarazioni dei redditi del 2017 si scopre che fra i dieci Comuni con la media reddituale piĂš bassa dâItalia ci sono i due municipi comaschi, Cavargna e Val Rezzo, la trentina Dambel e ben quattro comuni della Provincia Verbano Cusio Ossola, che separa il Piemonte dalla Svizzera: si tratta di Cavaglio-Spoccia, Gurro, Falmenta e Cursolo-Orasso.
Con lâaumento delle disuguaglianze si arriverĂ , se non alla fine, a un ridimensionamento di un concetto che solo pochi anni fa era vincente: quello dei distretti industriali, spazzati via dalla nuova tendenza dei capitali ad accentrarsi nelle cittĂ piĂš forti e a produrre allâestero dove conviene di piĂš.
Senza scomodare la Cina, dove le cittĂ sono affollate e ricche mentre la provincia è abbandonata e povera, il modello francese Parigi-centrico, quello inglese basato su Londra e la Spagna con il dualismo Madrid-Barcellona, sono esempi simili a quello di Milano. Chi non vive in cittĂ si sente tagliato fuori, non ha accesso a servizi e conoscenza, alimenta nostalgia e rancori. Tutto ciò rappresenta un buon bacino elettorale per il populismo. Il caso di Hillary Clinton che vince facile a New York e nella Silicon Valley, mentre Trump fa sue le regioni rurali e depresse dellâAmerica è ormai storia. CosĂŹ come il calcolo per cui concedendo sole quaranta sterline di contributo alle famiglie povere rurali inglesi si sarebbe evitata la Brexit.
Ci spiega bene il meccanismo delle Knowledge Economy legato alle cittĂ Andrea Filippetti del CNR, in unâintervista allâEspresso del maggio 2018: âLa conoscenza agisce come una forza in grado di deformare i territori circostanti e di attrarre altra conoscenza, capitale umano, imprenditorialitĂ , denaro. Questo processo si amplifica fino a creare le attuali capitali, come Londra, Parigi e Milano, oppure le recenti Varsavia e Praga, o la Silicon Valley [âŚ]. La conoscenza tende a creare distanze siderali tra centri e periferie delle nazioni. Se lâinformazione viaggia a costo zero in tutte le parti del globo, i processi di generazione e diffusione della conoscenza sono fortemente locali [âŚ]. Il mito di lavorare da una spiaggia sarda per una societĂ di Milano è pura utopia. Per ottenere, mantenere e fare bene quel lavoro bisogna esserci in cittĂ , stare spalla a spalla con informatici, designer, bancari. Se Londra è la capitale dellâInformation Technology applicata alla finanza, è perchĂŠ i due mondi comunicano: banalmente può succedere che la sera al bancone di un pub il colletto bianco di una banca racconti i suoi problemi di lavoro allâocchialuto nerd e cosĂŹ, insieme, trovino la soluzione da cui nasce il Fintech. Si chiama economia dellâagglomerazioneâ.
Segnatevi questo ulteriore neologismo. Invece, soffermiamoci sul luogo dove si incontrano i due protagonisti della nuova idea Fintech: un pub, non un ascensore di un grattacielo o le aule di unâuniversitĂ . Chi vive e lavora in cittĂ usa il food e i suoi luoghi come linguaggio di discussione e occasione di relazione. Cibarsi non è da economia della conoscenza, vivere esperienze food sĂŹ. Sempre a Milano, ha aperto Tenoha, format giapponese presente a Tokyo che integra negozio di design, ristorante e bar per aperitivi, sale di coworking comuni, insieme a uffici in affitto per start-up, aperti 24 ore su 24, con ogni tipo di servizio disponibile. Le cittĂ hanno bisogno di perseguire strategie molto simili a quelle di branding delle multinazionali per posizionarsi sul mercato globale della coscienza e del turismo: dalla attivitĂ di lobby siamo passati al marketing e al design dei servizi. Il sindaco in questa visione è anche un amministratore delegato, non solo un amministratore della cosa pubblica.
Bloomberg Associates è una societĂ di consulenza internazionale fondata dallâex sindaco di New York, che aiuta le cittĂ a posizionarsi, attrarre investimenti, ripensare i propri spazi, applicare le best practice internazionali. Nella lotta per essere una cittĂ di primo piano, Las Vegas e Detroit per rivitalizzare le loro cittĂ hanno deciso di investire 150 milioni di dollari nello sviluppo di negozi, ristoranti, intrattenimento, specialmente nei luoghi intorno ai loro municipi, e altri 150 milioni in prestiti a interessi zero a start-up. Cosa non si fa per essere una cittĂ trendy!
Câè gente, ci sono i soldi: ora si mangia!
Riassumendo: lâurbanizzazione è un processo inarrestabile che raggruppa in uno stesso luogo milioni di persone. Le cittĂ producono ricchezza basata sui servizi, lâeconomia della conoscenza risiede nelle cittĂ .
Conoscete un luogo migliore per investire e consumare nel mondo food?
Partiamo da una certezza: il mercato dei consumi fuori casa continua a crescere: lâItalia è il terzo Paese in Europa, dopo Spagna e Francia. Il rapporto tra consumi fuori casa e in casa è del 47,6% nel Regno Unito, del 53,6% in Spagna e addirittura del 59% in Irlanda. In Italia la quota si attesta al 35%, sei punti percentuali al di sopra della Francia. Le famiglie italiane nel 2017 hanno speso per mangiare fuori casa oltre 83 miliardi di euro, il 3% in piĂš dellâanno precedente. Ma se ci riferiamo alle cittĂ come Londra, Parigi, New York, la percentuale di consumi fuori casa schizza a oltre il 70% dei consumi totali. Le cittĂ ci impongono di mangiare sempre a pranzo fuori casa e ci divertono nel tentarci a mangiare fuori spesso anche a cena. Ma in mezzo câè lo snacking, il âpiluccareâ durante la giornata, la vogl...