LA LUNGA STRADA DEL
ROCKâNâROLL
di Alessandro Cavazzuti
Con qualche puntata anche in Sud America e Giappone, Bob Dylan negli ultimi quindici anni ha fatto il giro del mondo piĂš di una volta e ha suonato oltre mille concerti. Per un uomo che ha detto âsolo su un palcoscenico riesco a essere me stessoâ è la scelta piĂš ovvia. Il musicista che tutti hanno amato attraverso dischi memorabili ha deciso che è liĚ, sul palco, che si gioca la sua scommessa artistica. Prendere o lasciare. E, come dicono i manifesti dei suoi show, quando lui arriva in cittĂ ânon osate perderveloâ...
Ăil 7 giugno 1988. Al Pavilion di Concord, California, è in programma un concerto di Bob Dylan, il primo di una lunga serie (quaranta date) che lo porterĂ a coprire buona parte degli Stati Uniti, toccando di sfuggita anche il Canada per terminare di nuovo in California. Girano voci che il tour proseguirĂ fino allâautunno, ma non câè niente di sicuro. Come da copione, quando si tratta di Dylan, nessuno sa esattamente cosa aspettarsi. Lui ha da sempre abituato il suo pubblico a improvvisi cambiamenti di rotta, geniali, discutibili o trascurabili che fossero. Stavolta però lâincertezza è piĂš palpabile e lâattesa piĂš spasmodica. Dylan inizia un nuovo tour ma, a differenza degli ultimi tre, non trapela alcuna anticipazione. Quali musicisti lo accompagneranno? Che formato avranno i concerti? Niente di niente, zero assoluto. Eppure ultimamente ci ha abituati bene. Due tour pubblicizzatissimi con gli Heartbreakers di Tom Petty, intervallati da uno breve, ma altrettanto sbandierato, coi Grateful Dead. Dal fronte delle registrazioni in studio arrivano poche e alquanto vaghe indicazioni. Lâultimo album è Down In The Groove, discutibile mix di cover e brani originali, registrato nella primavera del 1987, ma presente nei negozi solo da un mese. E sempre un mese prima, Dylan si è trovato con quattro famosi amici a Los Angeles per incidere quello che sarĂ il primo album dei Traveling Wilburys, supergruppo nato quasi per caso allâinizio dellâanno: anche riguardo a questo, le indiscrezioni che trapelano sono molto poche. E quando lâincertezza e il mistero crescono, fioriscono le illazioni e le voci. Ă un classico. âPromuoverĂ le canzoni di Down In The Groove, che non è che stia vendendo granchĂŠâ, âMa dai, sarĂ un tour di greatest hits, giĂ lâalbum nuovo va malino, se poi si mette a farlo anche dal vivoâ, âQualunque cosa suoni, avrĂ le solite coriste e una band numerosa, magari con innesti dai Dead o gli Heartbreakersâ. E via fantasticando. In fondo è una delle cose che piĂš piace ai fedelissimi di Dylan i quali, abituati alla sua proverbiale riservatezza e alla conseguente penuria di notizie, si divertono a elaborare le teorie piĂš improbabili sulle sue mosse future. Il che fa crescere lâattesa e la rende ancora piĂš eccitante. I fan ancora non lo sanno, ma stavolta Dylan li sta per sorprendere in grande stile. E non dovranno nemmeno aspettare molto, perchĂŠ li colpirĂ subito, a freddo, e le pallottole arriveranno da piĂš parti, senza lasciar loro il tempo di pensare.
Quando Dylan si presenta su quel palco a Concord nessuno riconosce il brano di apertura dagli accordi iniziali suonati dallo sconosciuto chitarrista al suo fianco. Câè chi scruta il palco chiedendosi perchĂŠ inizino a suonare prima che la band sia schierata al completo, chi si chiede chi sia quel chitarrista dalla fluente chioma bionda e cosa diavolo siano quei due semplici accordi che escono furiosi e scarni dalla sua chitarra. Che canzone è mai questa? Quello che non sanno, ma capiranno ovviamente molto presto, è che quei musicisti sul palco non aspettano nessun altro, sono solo loro che fanno lo show, un chitarrista, un bassista e un batterista, oltre â naturalmente â al loro frontman. Che canzone stiano suonando, lo capiranno solo quando Dylan avvicinerĂ la bocca al microfono e con voce secca e aggressiva attaccherĂ con âJohnnyâs in the basement, mixinâ up the medicineâ. Cosa? Subterranean Homesick Blues? GiĂ , proprio quella, la prima canzone di Bringing It All Back Home, del 1965. Mai eseguita dal vivo in 23 anni. âSomething is happening here but you donât know what it isâ: niente di piĂš vero. E questo è niente, il meglio deve ancora venire. Benvenuti al Never Ending Tour. Prima di tutto, una precisazione. Ă stato lo stesso Dylan a coniare il termine Never Ending Tour. Nel 1989, al giornalista Adrian Deevoy, il quale gli faceva notare che sembrava non esserci di fatto soluzione di continuitĂ tra gli ultimi tour, Dylan dice: âOh, sono tutti lo stesso tour, il Never Ending Tourâ. Avesse immaginato che con quellâuscita avrebbe marchiato a fuoco, suo malgrado, tutti i concerti futuri fino ai giorni nostri, probabilmente avrebbe risposto in modo diverso. GiĂ , perchĂŠ per i fan, il Never Ending Tour è sĂŹ cominciato quel giorno a Concord, ma continua tuttora, pur con attori, canzoni e stili diversi. Non per Dylan, però, che nelle note di copertina dellâalbum World Gone Wrong, nel 1993, invita a non farsi âabbindolare da questa cosa del NET. Câè stato in effetti un NET, ma è finito nel 1991, con la partenza del chitarrista G.E. Smith (ricordate il chitarrista dalla fluente chioma bionda? - nda). Ă finito da tempo, ma da allora ce ne sono stai molti altriâ. E di seguito snocciola una serie di divertenti quanto improbabili nomi per i tour seguenti. Al di lĂ delle etichette piĂš o meno ufficiali, i numeri parlano chiaro: in ventinove anni e mezzo, da quel concerto di Concord nel 1988 al 2017, i concerti di Dylan ammontano a oltre duemilaottocento, grosso modo una media di 100 lâanno. Poche pause, normalmente una manciata di settimane lâanno, giusto per ricaricare le pile in vista del prossimo tour o, molto piĂš raramente, per registrare un album, e poi di nuovo on the road, âheadinâ for another jointâ, che sia una grande arena o un locale poco importa. Come nella tradizione dei medicine show americani, Dylan e la sua band del momento portano il loro spettacolo ovunque: âVenite a vederci, suoniamo sempre da qualche parteâ, aveva detto Dylan, e in quella semplice frase câera un poâ lâessenza di tutto il NET, ma era anche un modo come un altro per demitizzare le sue apparizioni live, svuotandole del senso di evento di cui erano sempre state cariche. Se ti chiami Bob Dylan e in un certo posto vai a suonare una volta ogni cinque anni, non câè modo di fuggire alla celebrazione dellââeventoâ. Se invece ci suoni una volta lâanno, magari addirittura piĂš volte in un anno, diventa quasi unâabitudine per chi viene a sentirti e hai maggiori chance di essere considerato piĂš per quello che stai facendo che per il nome che porti. Alcuni passaggi di Chronicles, lâautobiografia di Dylan di recente pubblicazione, sono alquanto rivelatori in questo senso: âVolevo fare duecento concerti lâanno successivo (1988 - nda)... e sentivo il bisogno di programmare lo stesso numero di concerti, nelle stesse cittĂ , lâanno seguente e anche lâanno dopo. Pensai che mi ci sarebbero voluti tre anni per arrivare al punto dâinizio, per trovare il giusto pubblico, o perchĂŠ il giusto pubblico trovasse me. Avevo decisamente bisogno di un nuovo pubblico perchĂŠ quello che avevo allâepoca era grosso modo cresciuto coi miei dischi e non câera piĂš possibilitĂ che mi accettasse come un artista nuovo. Venivano per ammirare, non per partecipareâ.
1988
INTERSTATE 88
Giugno-ottobre 1988, 71 concerti
1989
SUMMER TOUR OF EUROPE
Maggio-giugno 1989, 21 concerti
US SUMMER TOUR
Luglio-settembre 1989, 51 concerti
US FALL TOUR
Ottobre-novembre 1989, 27 concerti
1990
THE FASTBREAK TOUR
Gennaio-febbraio 1990, 15 concerti
SPRING TOUR OF NORTH AMERICA
Maggio-giugno 1990, 16 concerti
THE SUMMER FESTIVAL TOUR OF EUROPE
Giugno-luglio 1990, 9 concerti
LATE SUMMER TOUR O...