SECONDA PARTE
DIRIGERE UN FILM
a Mike Hausman
I piĂš felici sono quelli che non hanno storie da raccontare.
Anthony Trollope,
He Knew He Was Right
PREFAZIONE
Questo libro si basa su un ciclo di lezioni che ho tenuto nellâautunno del 1987 alla scuola di cinematografia della Columbia University.
Si trattava, in particolare, di un corso di regia. Avevo appena finito di girare il mio secondo film, e come un pilota con duecento ore di volo alle spalle ero la cosa piĂš pericolosa che si potesse avere la sfortuna di incontrare. Pur essendo indubbiamente molto piĂš che un neofita, non avevo ancora abbastanza esperienza per rendermi conto di quanto fossi ancora ignorante.
Ciò vi serva da attenuante per un libro di regia scritto da un tizio che, al momento della sua stesura, della regia aveva in realtà una conoscenza piuttosto scarsa.
A mia discolpa, però, mi si lasci dire quanto segue: le lezioni della Columbia trattavano, e si sforzavano di spiegare, una teoria della regia cinematografica che avevo elaborato a partire dalla mia ben piÚ consistente esperienza come sceneggiatore.
Recentemente, ho letto la recensione di un libro che parla della storia di uno scrittore che andò a Hollywood cercando di far carriera come sceneggiatore. Ma il suo era un progetto del tutto velleitario, diceva lâautore della recensione: come poteva sperare di avere successo come sceneggiatore, quando era praticamente cieco!
Chi ha scritto quella recensione evidentemente non doveva sapere molto di come si scrive una sceneggiatura. Per scrivere un film non serve una buona vista, ma una buona immaginazione.
Câè un bellissimo libro che si intitola The Profession of the Stage Director [La professione del regista teatrale], di Georgi Tovstonogov, in cui lâautore dice che le cantonate piĂš grandi il regista le prende quando ha troppa fretta di trovare soluzioni visive o pittoriche.
Quellâosservazione mi è stata incredibilmente utile nel corso della mia carriera di regista teatrale; nonchĂŠ in seguito, nel mio lavoro di sceneggiatore. Comprendere qual è il vero significato di una scena e portare quello sul palcoscenico, dice Tovstonogov, significa fare il lavoro tanto dellâautore che dello spettatore. Se uno inizia subito a preoccuparsi di creare una scena che sia esteticamente gradevole, pittorica o descrittiva, in seguito cercherĂ a tutti i costi di inserire quella messa in scena nella progressione logica dellâopera teatrale. In piĂš, sforzandosi di includere quella messa in scena tanto bella, si finirĂ necessariamente per affezionarcisi, a scapito della qualitĂ della pièce.
Questo consiglio di Hemingway è un altro modo di esprimere lo stesso concetto: Scrivi la storia, elimina tutte le belle frasi e vedi se funziona ancora.
La mia esperienza di regista, e di drammaturgo, è questa: unâopera è tanto piĂš emozionante quanto piĂš lâautore riesce a resistere alla tentazione di metterci delle cose.
Un buono sceneggiatore può migliorare solo se impara a eliminare, a fare a meno di ciò che è ornamentale, descrittivo, narrativo, per non parlare di ciò che è sentito o significativo. Cosa resta? Resta la storia. E cosâè una storia? La storia è quella sequenza essenziale di avvenimenti che separano lâeroe dal conseguimento del suo scopo.
Ciò che conta, come diceva Aristotele, è ciò che accade allâeroe, non ciò che accade allo scrittore.
Non câè bisogno di avere una buona vista per scrivere una storia del genere. Piuttosto, bisogna essere capaci di pensare.
Scrivere sceneggiature è unâattivitĂ che si basa sulla logica. Consiste nel porsi assiduamente alcune domande fondamentali. Cosa cerca lâeroe? Cosâè che gli impedisce di ottenerlo? Cosa succede se non lâottiene?
Se si seguono le regole che risultano dallâapplicazione di questi quesiti, si otterrĂ una struttura logica, un profilo, a partire dal quale si costruirĂ poi lâopera il dramma. In unâopera teatrale, questo profilo viene poi consegnato allâaltra parte della psiche del drammaturgo: lâego del creatore della struttura lo passa allâid, che scriverĂ il dialogo.
Secondo me, succede qualcosa di analogo quando lo sceneggiatore che ha creato la struttura consegna il profilo drammatico del film nelle mani del regista.
Ho sempre visto, e vedo tuttora, il regista come unâestensione dionisiaca dello sceneggiatore, ovvero (cosa che peraltro dovrebbe sempre accadere) come colui che rifinisce il lavoro in modo tale da rendere invisibili le fatiche del lavoro tecnico.
Io sono approdato alla regia a partire dalla sceneggiatura, e per me il mestiere di regista era una felice estensione di quello di sceneggiatore; è questo che ho insegnato nel corso delle mie lezioni, ed è anche quello che ora vi propongo in questo libro.
RACCONTARE UNA STORIA
Le principali domande a cui un regista deve rispondere sono: ÂŤIn che punto va messa la cinepresa?Âť e: ÂŤCosa devo dire agli attori?Âť; e, subito dopo: ÂŤDi cosa parla questa scena?Âť Ci sono due modi di risolvere questi problemi. La maggior parte dei registi americani risolve il problema dicendo: ÂŤSeguiamo lâattoreÂť, come se il film fosse un resoconto di tutto ciò che fa il protagonista.
Ora, se il film deve essere un resoconto delle azioni del protagonista, câè da sperare che almeno sia interessante. Questo approccio, quindi, mette il regista nella condizione di dover girare il film in maniera ÂŤnuovaÂť, interessante; pertanto si chiederĂ in continuazione: ÂŤQual è il punto piĂš interessante dove mettere la cinepresa per girare questa scena dâamore? Qual è il modo piĂš interessante per filmarla cosĂŹ che sia chiaro tutto ciò che succede? Qual è un modo interessante in cui potrei far comportare lâattore nella scena in cui, ad esempio, lei gli chiede di sposarla?Âť
La maggior parte dei film americani è girata in questo modo, come se il film dovesse sempre essere un reportage di ciò che la gente fa nella vita reale. Ma câè anche un altro modo di fare i film, che poi è quello suggerito da EjzenĹĄtejn. Questo metodo non ha niente a che vedere con il procedimento di seguire il protagonista, ma è piuttosto una successione di immagini giustapposte in modo tale che il contrasto fra le immagini faccia andare avanti la storia nella mente dello spettatore. Ă sicuramente una sintesi piuttosto scarna della teoria del montaggio di EjzenĹĄtejn; ma è la prima cosa che so di come si gira un film, e forse anche lâunica.
Quello che dovete sempre fare è raccontare una storia mediante un montaggio di scene. Ovvero, attraverso una giustapposizione di immagini che fondamentalmente non siano in alcun modo enfatizzate. EjzenĹĄtejn dice che lâimmagine migliore è lâimmagine neutra, priva di enfasi. Lâinquadratura di una tazza da tè. Lâinquadratura di un cucchiaio. Di una forchetta. Di una porta. Lasciate che sia il montaggio a raccontare la storia. PerchĂŠ altrimenti non si ha azione drammatica, ma narrazione. Se vi lasciate andare alla narrazione, è come se steste dicendo: ÂŤNon indovinerete mai perchĂŠ quello che vi ho appena detto è essenziale per capire la storiaÂť. Ă irrilevante che il pubblico indovini perchĂŠ quella cosa è essenziale ai fini della storia. Quello che conta è soltanto raccontare la storia. Lasciate che il pubblico si stupisca.
Dopotutto, il cinema, molto piĂš del teatro, assomiglia al nostro modo quotidiano di raccontare le storie. Se fate attenzione al modo in cui la gente racconta una storia, vi accorgerete che tutti procedono in maniera cinematografica. Saltano da una cosa allâaltra e la storia procede per immagini giustapposte, ovvero, grazie a un montaggio.
Uno può dire: ÂŤEro lĂŹ fermo allâangolo. Câera un sacco di nebbia. A un certo punto vedo dei tipi che iniziano a correre come pazzi. Forse per via della luna piena. Allâimprovviso, arriva una macchina e quello che sta accanto a me fa...Âť
Se ci riflettete, è un elenco di inquadrature: 1) un uomo che sta fermo a un angolo di strada; 2) inquadratura della nebbia; 3) la luna piena in cielo; 4) un uomo che dice: In questo periodo alla gente gli dà sempre di volta il cervello; 5) una macchina che si avvicina.
Un buon film si fa cosÏ, mettendo insieme piÚ immagini. Ora, voi state seguendo la storia. Quello che vi chiedete è: che succederà adesso?
LâunitĂ minima è lâinquadratura. LâunitĂ massima è il film. E lâunitĂ di cui soprattutto si deve occupare il regista è la scena.
Ma prima di tutto vengono le inquadrature: è la somma delle inquadrature che manda avanti il film. Sono queste che fanno la scena. Ogni scena è, formalmente, un saggio. à un film piÚ piccolo. Potremmo dire che è una specie di documentario.
I registi dei documentari prendono materiale per lo piĂš sconnesso e lo giustappongono in modo da comunicare allo spettatore lâidea che vogliono esprimere. Riprendono un uccello che spezza un rametto. Poi riprendono un cerbiatto che alza la testa. Le due inquadrature non hanno nulla a che vedere lâuna con lâaltra. Sono state riprese a distanza di giorni, o anni, o chilometri. Ma lâautore giustappone le immagini in modo da dare lâidea di grande allerta. Le due inquadrature non sono connesse. Non sono un resoconto delle azioni del protagonista. Non si tratta di un reportage sul modo in cui il cervo reagisce allâuccello. Sono immagini essenzialmente neutre. Ma se sono accostate danno ugualmente allo spettatore lâidea di allerta in vista di un potenziale pericolo. Questo significa essere in grado di fare dei bei film.
Ora, i registi dovrebbero fare la stessa cosa. Dovremmo tutti cercare di fare come gli autori dei documentari. E in piĂš avremo questo vantaggio: possiamo noi stessi andare a mettere in scena â per poi filmarle â le immagini non enfatizzate che ci servono per la nostra storia. DopodichĂŠ possiamo montarle. In sala di montaggio, uno non fa altro che pensare: ÂŤQui ci starebbe benissimo unâimmagine di un...Âť Beâ, prima di girare il film avete tutto il tempo che volete: potete decidere quali sono le inquadrature che vi serviranno in seguito, e andarle a riprendere.
In questo paese, quasi nessuno sa scrivere una sceneggiatura. La maggior parte delle sceneggiature contiene materiale che non si può filmare.
ÂŤNick, un giovanotto sui trenta, con una spiccata vocazione per lâanticonformismoÂť. Non potete filmarlo. Come si fa? ÂŤJodie, una ragazza dal vistoso look alternativo, che sta seduta sulla stessa panchina da trenta oreÂť. Come la rendete una cosa del genere? Non si può. A meno di non ricorrere alla narrazione (visiva o verbale). Visiva: Jodie guarda lâorologio. Dissolvenza. Sono passate trenta ore. Verbale: ÂŤBeâ, va bene che sono una tipa alternativa, ma non è stato mica facile, restarmene seduta su questa panchina per trenta ore di filaÂť. Se vi accorgete di non poter rendere unâidea se non facendo ricorso alla narrazione, è praticamente sicuro che quellâidea non è essenziale per lo sviluppo della storia (ovvero, per il pubblico): gli spettatori non hanno bisogno di informazioni, ma di azione. A che servono dunque tante informazioni? Producono solo quellâorribile trascinarsi della narrazione che inquina quasi tutte le sceneggiature dei film americani.
La maggior parte delle sceneggiature viene scritta per il pubblico dei dirigenti delle case di produzione. Ma i produttori non sanno leggere le sceneggiature. Non ce nâè uno solo che sappia leggere una sceneggiatura. Una sceneggiatura dovrebbe essere una giustapposizione di inquadrature neutre che messe tutte insieme raccontano una storia. Leggere una sceneggiatura e ÂŤvedereÂť il film è una cosa che richiede o una buona cultura cinematografica, oppure una certa naĂŻvetĂŠ, due cose che di solito ai produttori mancano. Il lavoro del regista consiste nel costruirsi un elenco delle inquadrature, a partire dalla sceneggiatura. Il lavoro sul set non è nulla al confronto. Sul set non dovete fare altro che rimanere svegli, segu...