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Dal mito alla scienza sperimentale
Passeggiando col mio cane
Ogni giorno esco col mio cane (figura 1.1) a camminare per qualche chilometro nei prati. Si chiama Iago, è un malamute, cane della stessa taglia del pastore tedesco, e nel frattempo fa molti piĂš chilometri di me andando su e giĂš senza stancarsi. Sembra che ne potrebbe fare una quarantina al giorno attaccato a una slitta carica. Sta sempre col naso a terra a sentire odori di cui non intuisco neanche lâesistenza. Sente suoni che io non posso udire e vede le cose in modo diverso e a una velocitĂ piĂš alta di qualsiasi essere umano. Il suo udito percepisce suoni provenienti da distanze superiori a quattro volte rispetto a quelle da cui li avvertiamo noi e il campo di frequenze entro cui li percepisce è circa il doppio del nostro, riuscendo a captare gli ultrasuoni. Se guardasse la televisione sarebbe in grado di separare i singoli fotogrammi e non vedrebbe, come me, un fluido susseguirsi di eventi.1 In aggiunta lo spettro dei colori che vede è sostanzialmente limitato al giallo, al blu e alle loro sfumature.
Non parliamo poi dellâolfatto, senso a cui nel cane sono dedicati un numero di papille e una corteccia olfattiva enormemente piĂš grandi di quelli dellâuomo.
Siamo cosĂŹ diversi eppure ci âintendiamoâ. Per forza il mio cane è intelligente, vi potrei rispondere in qualitĂ di âpadroneâ, misurando maldestramente la sua intelligenza con la capacitĂ di adattarsi alla mia. CosĂŹ anche gli scienziati, per studiare le capacitĂ sensoriali e percettive dei cani, non dispongono di un metodo oggettivo e sono costretti a farne un paragone con le nostre. Guardano cioè allâoggetto della loro indagine con gli occhiali del soggetto indagatore. Essi ne sono però consapevoli e cercano di oggettivare le loro conclusioni attraverso lâapplicazione di un metodo scientifico di sperimentazioni ripetibili.
Il âpadroneâ comune non è ovviamente uno scienziato e la comprensione del suo cane è, per forza di cose, influenzata dalla limitatezza delle conoscenze e spesso dalla concezione che lâuomo, fatto secondo alcuni a somiglianza di Dio, non abbia la necessitĂ di capire, ma piuttosto si âdegniâ di farlo. In effetti, poichĂŠ viviamo in due mondi parzialmente diversi, con prioritĂ e riferimenti sensoriali differenti, dobbiamo stabilire fra noi un modo convenzionale dâinteragire. Esso è basato su espressioni vocali e gestuali che, con tempo e pazienza, diventano il nostro linguaggio comune. Se non facciamo cosĂŹ e ognuno vive nel suo ambito ristretto, la conseguenza inevitabile, sciagurata, consiste nella costrizione da parte dellâuomo e nella paura e talora nella reazione violenta da parte del cane.
Figura 1.1Il mio cane Iago.
Lâunica possibilitĂ seria è di creare unâinterazione vera e proficua, che consenta a entrambi di capirsi stabilendo regole chiare e non dovute soltanto a un istinto di sopraffazione reciproca e di paura. Bisogna, come per tutte le cose, saper mantenere un atteggiamento di serena apertura e di desiderio di conoscenza verso ciò che ci circonda, senza strani timori o pregiudizi, prima di cercar di conoscere e capire, senza fidarsi troppo di quello che ci dicono le nostre osservazioni spesso superficiali.
Mentre passeggio penso a come sarebbe se avessi diverse capacitĂ sensoriali. Potrei avvertire il rumore dellâerba che cresce, delle formiche che camminano fra lâerba, dei piccoli mammiferi nelle loro tane e via cosĂŹ. Certo, avrei una percezione piĂš completa della vita che scorre attorno a me parallelamente alla mia, sentendomi sĂŹ molto di piĂš parte di qualcosa di piĂš grande, ma probabilmente piuttosto confuso in una sorta di cacofonia. Forse sono proprio i nostri limiti sensoriali che ci permettono di vivere in modo âcoerenteâ, ma è giusto riconoscere che sono pur sempre limiti.
Mentre guardo Iago, mi viene in mente che, secondo unâopinione diffusa, per i cani ogni anno ne valga sette dei nostri e che vivano sempre nel presente. Penso che voglia dire che non fanno programmi per il futuro e forse che neanche ne conoscono il significato. Dâaltra parte anche noi possiamo solo vivere nel presente ricordando il passato e facendo previsioni e programmi per il futuro, di cui non abbiamo alcuna certezza.
Allora viene in mente di pensare a cosa è il presente e addirittura a cosa è il tempo. La curiositĂ di guardarti intorno è grande e sai che non sei certo il primo ad avere pensieri di questo genere e che non sei neanche âattrezzatoâ per addentrarti nei meandri filosofici di questo tema. Puoi solo limitarti ad alcune riflessioni da uomo qualunque e agli spunti che la tua formazione culturale può suggerirti. Per esempio, mi rendo conto che ho un mio tempo che è iniziato quando sono nato e che finirĂ con me. Esso si raccorda con un tempo storico che convenzionalmente colloca il mio in una sorta di tempo âuniversaleâ comunque scandito sullâuomo. Viene in mente una bella frase di Shakespeare nel Macbeth: âLa vita è solo unâombra che cammina; un povero attore che tronfio si dimena per unâora sulla scena e poi non se ne sa piĂš nulla: è una storia raccontata da un idiota, piena di clamore e di furia, che non significa nullaâ.2
Ma ho anche i miei âtempiâ nel fare le cose, cosĂŹ come ho il mio modo di impiegare il tempo e di organizzarlo.
Penso che questo sia un tempo soggettivo in quanto influenzato dalla nostra percezione. Per esempio, i momenti sereni e divertenti passano in un baleno, mentre quelli difficili sono lenti a trascorrere.
Inoltre siamo ancora abituati a pensare che vi sia un tempo oggettivo che scorre in modo autonomo e indipendente dal percepito. Eppure Einstein compĂŹ la sua rivoluzione con la teoria della relativitĂ piĂš di un secolo fa, ma alcune idee tardano molto, anche per la loro complessitĂ , a entrare nella mentalitĂ comune. O forse tutto è dovuto al fatto che Einstein non aveva Twitter, ormai per molti strumento unico per comunicare il âpensieroâ, sulla cui profonditĂ e consapevolezza è meglio non indagare. Ma, si sa, oggi la vita è convulsa e non câè tempo: prima si twitta e poi, forse, si pensa.
La curiositĂ mi spinge ad andare lontano, quando lâuomo pensava alla Terra come al centro dellâuniverso e ancora si sentiva parte della natura. Non mi resta che spigolare qua e lĂ , curiosando in un mondo almeno parzialmente sconosciuto, cercando di capire se non altro le cose piĂš assodate del pensiero scientifico e non solo.
Ai tempi del mito di Crono (Da Crono ad Aristotele)
Gli antichi greci raccontano che, agli inizi, niente esisteva del creato, ma solo il caos informe al di lĂ dello spazio e del tempo. Dâimprovviso comparve Gea, la Terra, madre della creazione. Dapprima generò Urano, il Cielo, che a sua volta irrorò la terra con una pioggia benefica e feconda, e poi Ponto, il Mare. Sposò quindi Urano e insieme governarono il creato ed ebbero dei figli. Crono (Chronos) fu uno di questi, ma con un destino particolare. Infatti, per timore di essere privato del dominio sullâuniverso, Urano lo fece sprofondare nelle viscere della Terra assieme ai fratelli. Crono, però, istigato dalla madre, lo affrontò e lo evirò. Si unĂŹ poi in matrimonio con la sorella Rea, per proseguire il processo della creazione. Da questa unione nacquero numerosi figli e il suo regno prosperò, finchĂŠ gli fu profetizzato che esso sarebbe finito a opera di uno di loro. Da questo momento Crono iniziò a divorare i nuovi nati, tenendoli prigionieri nelle sue viscere. Lâunico che si salvò fu Zeus, grazie a uno stratagemma di Rea. La storia continua, ma noi ci fermiamo qui per cercare di dare un significato a tutto ciò. Secondo Rindone3 lâevirazione del padre da parte di Crono sta a significare un âdepotenziamento del passato avvolgendolo nellâoblioâ e, divorando i figli, âdistrugge il futuro appena viene allâesistenzaâ.
Ricorrendo ancora alle parole di Rindone, proviamo a sintetizzare la visione dei greci:
Tutto scorre (panta rei), diceva Eraclito, e ogni cosa non è mai esattamente uguale a se stessa dellâistante precedente. Classica è la frase secondo la quale non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, cioè nella stessa acqua che scorre nel fiume. Ă giĂ la visione di una realtĂ dinamica, che cambia in continuazione cui lâuomo si deve adattare, o meglio, che deve subire. E, poichĂŠ è parte di questa realtĂ , anchâegli è sottoposto al continuo mutamento. Tutto ciò provoca un senso dâeffimero e dâincerto che disorienta. Ecco che lâuomo si rivolge al soprannaturale: una realtĂ stabile e immutabile, scevra dal cambiamento, popolata da dei ed eroi. Usando ancora le parole di Rindone: âRipetendo nei gesti della vita quotidiana il comportamento esemplare dellâeroe mitico, il primitivo sfugge cosĂŹ allâinsensata successione temporale e alla sua caotica casualitĂ , vivendo in un presente divino e ricco di sensoâ.
Sia la realtà trascendente ed eterna, che stabilisce una sorta di continuità fra la storia umana e quella divina, sia il tempo ciclico sono elementi che sinergicamente sembrano voler dare un senso e una stabilità a una realtà che altrimenti ne è priva.
CosĂŹ come il sole sorge e tramonta ogni giorno indefinitamente e le stagioni si ripetono, lâuomo compie infinite volte gli stessi gesti seguendo i ritmi della natura, di cui è ben conscio di far parte. Anche le generazioni si susseguono regolarmente e perfino la storia si ripete ciclicamente. Questo eterno ritorno delle cose allâinfinito e nel medesimo stato si contrappone al costante divenire poichĂŠ ogni evento si replica periodicamente. Il tempo è rappresentato come una ruota e tutto si ripete incessantemente, per alcuni in modo uguale, per altri con qualche variante. Non furono soltanto i greci (soprattutto gli stoici) a sostenere la circolaritĂ del tempo. Essa era presente in alcune religioni orientali e fu ripresa molto piĂš tardi anche dallo stesso Nietzsche (1844-1900).
In questo modo lâuomo cerca di annullare quella che oggi chiameremmo la non reversibilitĂ del tempo, cioè lâimpossibilitĂ per il tempo di tornare indietro. Se ci pensiamo, anche noi compiamo quotidianamente per gran parte gli stessi gesti e facciamo piĂš o meno le stesse cose. Scandiamo il tempo suddividendolo in ore, giorni, mesi e anni, e individuiamo alcune festivitĂ durante lâanno in una ârassicurante ripetitivitĂ â. Salutiamo il passato dellâanno vecchio e diamo il benvenuto al futuro dellâanno nuovo con una specie di rito propiziatorio. Ma soffermiamoci su qualche pensatore.
Aristotele può essere un buon punto di partenza per la discussione che vogliamo fare sul tempo, data la profonda influenza che il suo pensiero ha esercitato anche sulla cultura scientifica occidentale. Basta ricordare la locuzione Ipse dixit (oggi diremmo: âLâha detto luiâ) che, pur essendo inizialmente riferita a Pitagora dai pitagorici, come ricorda Cicerone, dal Medioevo chiama in causa Aristotele come la âsomma autoritĂ â. Infatti la riscoperta di Aristotele e del pensiero greco iniziò in Occidente attorno al XII secolo. Era sĂŹ presente nel mondo latino, ma finĂŹ per scomparire con la caduta dellâImpero romano dâOccidente (486 d.C.). I primi a impossessarsi di questo patrimonio furono gli arabi a partire dalla metĂ dellâVIII secolo, traducendolo nella loro lingua e fondendolo con la loro cultura. Nel frattempo questo popolo aveva fatto molti progressi in vari campi della scienza, tra cui la matematica e lâastronomia, mostrando grande interesse per la scienza pura.
Le ritraduzioni in latino iniziarono in Italia circa quattro secoli dopo e si estesero anche in Spagna.
Nei secoli successivi, la âfortunaâ della filosofia aristotelica (inizialmente combattuta dai pensatori cristiani) fu dovuta in modo particolare alla progressiva fusione con la teologia cristiana, tanto da prendere il sopravvento sulla visione mistica di Platone.
La fisica aristotelica sopravvisse ancora per secoli e contro di essa hanno dovuto âbattersiâ i maggiori protagonisti della rivoluzione del XVII secolo. Comunque continuò a essere insegnata forse anche dopo e costituĂŹ lâostacolo principale alla creazione della fisica attuale. Ă il problema che nasce ogniqualvolta, anzichĂŠ guardare alla conoscenza con mente aperta e disponibile a riconoscerne la dinamicitĂ , e quindi anche gli errori, la si accetta come un vero e proprio verbo o, se preferite, come una veritĂ rivelata.
In tal modo le nozioni acquisite non costituiscono un trampolino di lancio verso nuovi e migliori traguardi; diventano invece un vero e proprio preconcetto, magari rafforzato da ragioni politiche o religiose.
Il primo fra gli scienziati occidentali a opporsi fu probabilmente Galileo Galilei (1564-1642) con la scoperta dei crateri lunari, in contrasto con la definizione aristotelica della luna liscia e incorruttibile e di un mondo celeste perfetto. La schiera degli oppositori include poi Cartesio (1596-1650), Newton (1642-1727) e vari altri.
Ma, parafrasando il Manzoni, vediamo chi era costui.
Aristotele (384 o 383 a.C-322 a.C.), figlio di Nicomaco, medico personale del re di Macedonia, Aminta III, entrò a far parte a diciottâanni dellâAccademia platonica di Atene, dove rimase fino alla morte di Platone, suo maestro, avvenuta circa ventâanni dopo.
Molte furono le differenze fra il pensiero del maestro e quello dellâallievo. Questâultimo mantenne il suo senso critico, rielaborando attraverso le proprie convinzioni e capacitĂ le idee del maestro, e nel caso opponendovisi. Il maestro, per parte sua, rispettò in pieno la libertĂ di pensiero e lâautonomia culturale del discepolo. Certo, qui parliamo di grandi pensatori, niente a che fare con quei molti âquaquaraquĂ â, per dirla con Leonardo Sciascia, che intendono imporre le loro posizioni (chiamarlo pensiero è giĂ troppo) con la prepotenza di slogan vuoti e superficiali a un pubblico non sempre privo di colpa.
Platone definĂŹ il tempo âlâimmagine mobile dellâeternitĂ che procede secondo il numeroâ. Il tempo è misura del movimento del solo mondo materiale in cui hanno senso passato, presente e futuro. Pensa al movimento come al passare delle ore e dei giorni. Tutto ciò vive, però, nel mondo sensibile dove la conoscenza deriva unicamente dalla comprensione dei fenomeni sensibili, che sono soggettivi quando non contraddittori e fallaci. Perciò è il mondo dellâopinione (doxa) o anche dellâapparenza. La veritĂ risiede invece nella conoscenza dei concetti supremi non legati al tempo e al mondo materiale, ma allâeternitĂ , in cui il tempo non ha posto, e allâimmutabilitĂ del mondo delle idee: lâiperuranio. Questâaspetto è meglio chiarito dal mito della caverna in cui gli uomini, incatenati, confondono le ombre, che sono lâopinione o lâapparenza, con ...