CAPITOLO 1
LA TECNOLOGIA E IL VALORE DEL PIACERE DELLA SCOPERTA
Da Napster alle guerre dello streaming
IN ATTESA DELLâERA DELLâABBONDANZA
Autunno 2018, mentre sfoglio le pagine del quotidiano locale dedicate alla mia cittĂ , mi imbatto nella notizia che annuncia lâimminente chiusura del piĂč vecchio negozio di dischi ancora attivo in centro â Chiude un altro pezzo storico della cittĂ , titola il giornale. Quel âpezzo storicoâ Ăš stato il mio principale fornitore di musica per anni, il luogo dove ho comprato i miei primi album quando ero ancora poco piĂč alto del suo bancone principale.
Dopo un lieve sospiro seguito da un âma daiâ a fil di voce, ho ripreso la lettura delle altre notizie dimenticandomi completamente di quel piccolo evento; quando perĂČ, qualche giorno dopo, sono passato davanti a quel negozio, vedendo tappezzate di cartone le vetrine mi Ăš venuto un groppo alla gola.
Devo essere totalmente sincero: in quella mia commozione câera una buona dose di ipocrisia. Nellâingresso del negozio di pochi metri quadrati al piano terra, sempre pronto ad accogliermi stracolmo di dischi stipati in scaffali ed espositori, non ci mettevo piede da molti anni, da tempo avevo âtraditoâ quel luogo; prima con negozi molto piĂč grandi, di altre cittĂ , che mi avevano dato lâillusione di una maggiore scelta, di un maggior âprestigioâ â quel piacere tutto provinciale di potersi vantare di aver acquistato qualcosa a Milano, Parigi o Berlino â e poi negli anni il totale distacco era avvenuto a causa di: vendita di CD per corrispondenza, file MP3 da scaricare da negozi online e ascoltati su iPod, servizi di streaming come Spotify.
Ma dâaltronde non Ăš cosĂŹ che oggi va il mondo? Avevo giĂ elaborato il lutto di vedere, sostituito con un rivenditore di capsule per macchine da caffĂš, il giornalaio vicino casa dei miei genitori, dove ogni domenica mattina nella mia infanzia compivo il rito dellâacquisto dei miei fumetti preferiti; era passata anche la leggera fitta al costato nel vedere sostituito da un negozio di pelletteria la libreria in cui ho comprato da adolescente lâopera omnia di sir Arthur Conan Doyle nellâedizione economica degli Oscar Mondadori. CosĂŹ, alla fine, anche il buon vecchio Telerecord con i dischi consigliati dal signor Luciano era finito per essere solo un ricordo per me.
Perché Ú proprio cosÏ, le tracce della cosiddetta disruption digitale le possiamo vedere non solo nei documenti di bilancio dei protagonisti delle industrie dei media, ma anche attraversando le strade e le piazze delle nostre città , piccole o grandi che siano. Negozi di dischi spariti, piccole librerie indipendenti scomparse, edicole desertificate.
Ma quando Ăš iniziato tutto? Facciamo un salto indietro di qualche anno.
La promessa del CD e la politica dei prezzi delle major
Nel 1999 lâindustria dei media prosperava come non mai, sul finire di quellâanno i numeri parlavano, per molti dei suoi settori, ancora di guadagni eccellenti.
La vendita dei giornali veleggiava in mare aperto, lontana dalle secche nelle quali si sarebbe trovata nemmeno un decennio dopo; gli incassi dei cinema nel principale mercato al mondo, il Nord America, toccavano quota 7,3 miliardi di dollari con un incremento sullâanno precedente del 9,7% (uno dei piĂč sostenuti dal 1977 a oggi)1.
Poi câera la musica registrata: il giro di affari aveva raggiunto i 25,2 miliardi di dollari secondo i dati della IFPI (International Federation of the Phonographic Industry), una pietra miliare che rappresenta il picco massimo, a tuttâoggi, mai raggiunto da questa industria.
Oltre il 90% di quei miliardi proveniva dalla vendita dei Compact Disc. Lanciati ufficialmente sul mercato nel 1982, avevano ormai sostituito quasi completamente i dischi in vinile; un vero affare per le grandi case discografiche, che avevano abbandonato senza alcun rimpianto il vecchio supporto, incrementando i margini di guadagno anche grazie al fatto di aver messo il prezzo ai consumatori dei CD a una cifra nettamente piĂč alta, nonostante fossero molto meno costosi da realizzare rispetto al disco a 33 giri.
Dâaltronde era praticamente impossibile sfuggire al fascino iridescente di quel dischetto di 12 centimetri di diametro in policarbonato da inserire in un lettore laser per tramutare in musica una serie di dati impressi su un sottilissimo foglio metallico. La sua promessa andava molto oltre quella di un suono riprodotto privo di rumori e fruscii, puro come mai ascoltato da orecchio umano: quello che le persone avevano tra le mani, allora, era un piccolo anticipo del terzo millennio, una finestra sul futuro come lâavevano immaginato da bambini guardando i programmi alla televisione che raccontavano come avrebbero vissuto, da adulti, nelle ipertecnologiche case del Duemila.
Di quel fascino le grandi case discografiche erano perfettamente consapevoli e, senza farsi il minimo scrupolo, hanno pensato bene di approfittarsene: negli Stati Uniti, unâinchiesta della Federal Trade Commission, nel 2001, ha obbligato le cinque major della musica di allora â Emi, Time-Warner (WEA), Sony, Bertelsmann (BMG) e Universal â a patteggiare una transazione. Le autoritĂ americane avevano accusato le principali case discografiche di aver venduto i CD con un sovrapprezzo scaricando sui consumatori statunitensi un costo addizionale, stimato in 480 milioni di dollari, a partire dal 19972.
Una pratica che i giganti dellâindustria musicale avevano perpetrato non soltanto negli USA, ma anche in Europa, tanto da spingere ad aprire unâinchiesta sulla loro attivitĂ ; non Ăš andata diversamente in Italia, visto che lâAntitrust nel 1997 ha comminato unâammenda per 7,69 miliardi di lire (quasi 4 milioni di euro) al gotha dellâindustria discografica italiana, anche questa volta con lâaccusa di aver fatto cartello e aumentato i prezzi dei CD3.
Non câĂš che dire, una bella dimostrazione che chi allora controllava il mercato non avesse affatto a cuore i propri clienti (cioĂš noi).
Il sogno di superare lâera della scarsitĂ
Il costo di un CD rappresentava un mezzo investimento per chi, come me, non aveva molti soldi in tasca: âsbagliareâ acquisto era mortificante, per questo era importante avere piĂč informazioni possibili su un disco, dalle riviste specializzate, dai programmi alla radio, dalle fanzine e dagli amici che condividevano con te i tuoi gusti musicali.
Ma poi non era affatto detto che quel disco, consigliatissimo, saresti riuscito a trovarlo nel rivenditore vicino casa. Il piĂč delle volte dovevi scegliere tra le cose che i negozi avevano a disposizione e, se vivevi in provincia, la gamma era spesso alquanto ristretta. Ă vero che alcuni negozianti sapevano consigliarti, tenevano titoli al di lĂ della loro âvendibilitĂ â, ma alla fine ti sentivi sempre allâinterno un confine estremamente limitato.
Ricordo che un giorno, in un grande negozio di musica, dopo aver preso un vecchio Blue Note di Wayne Shorter rimasterizzato e Mundo Civilizado di Arto Lindsay, continuavo a saltare da un settore dedicato a un genere musicale allâaltro. Poi mi devo essere fermato a guardare quella distesa di scaffalature in successione piene di vinili e CD con unâaria un poâ persa, tanto che la mia ragazza di allora guardandomi mi disse: âCerto che sarebbe bello averli tutti a disposizione e poterli ascoltare quando vogliamoâ. Lâidea che una cosa simile fosse minimamente possibile ci provocĂČ una piccola vertigine, come se ci avessero detto âsarebbe bello avere una macchina del tempo e viaggiare in qualsiasi epocaâ: una fantasia bella e irrealizzabile ma che il solo pensarla ti lascia a bocca aperta.
Ecco, alla fine, la promessa del Compact Disc non poteva andare molto oltre il fatto di essere, niente piĂč, che la versione aggiornata del disco a 78 giri. Si era passati da un giradischi con puntina in ferro a un lettore con un fascio di luce a infrarossi, perĂČ tutto ciĂČ che ruotava attorno poco era riuscito a cambiare, nella sostanza, la nostra esperienza, il nostro rapporto con lâindustria della musica rispetto al passato; la capacitĂ del CD di evocare un futuro prossimo ipermoderno portava a una visione tanto affascinante quanto ancora adolescenziale, come quella delle macchine volanti disegnate sulle copertine delle riviste di fantascienza; potevamo certo ancora perderci nellâammirarle, ma non era quello che veramente sognavamo.
Quello che desideravamo veramente era qualcosa che sapesse accogliere la nostra âinquietudineâ, la nostra sete perenne di conoscere cose nuove in modo diverso da come ci era stato imposto fino ad allora. Volevamo insomma abbandonare lâera della scarsitĂ ed entrare in quella dellâabbondanza. Non sapevamo ancora che quel desiderio stava per essere esaudito, con conseguenze inimmaginabili.
INTERNET ALLâATTACCO DEL MONOPOLIO DELLA SCOPERTA
Che cosa ci spinge ad acquistare un libro, un disco o un quotidiano, a guardare un film al cinema o su un canale televisivo a pagamento? Se non lâunica, sicuramente la principale ragione Ăš la nostra curiositĂ , la nostra voglia di scoperta che ci fa vivere un momento di serendipitĂ come un piccolo miracolo privato.
CâĂš un momento nel quale si crea una connessione e, di conseguenza, una sorta di patto tra noi e un determinato prodotto dellâindustria dei media che ci porta a investire un poâ di denaro e del nostro tempo, con la richiesta che, in cambio, la scintilla che si Ăš accesa ci illumini per un tempo piĂč lungo di un attimo e mantenga la sua piccola o grande promessa che ci ha appena fatto.
Ă un momento fondamentale nel motivarci allâacquisto, perchĂ© desideriamo da un lato ripeterlo allâinfinito continuando a scoprire cose e dallâaltro, assolutamente non meno importante, tornare a riviverlo. Quanto ci delizia rivedere film o serie televisive che abbiamo amato, ascoltare di nuovo, e ancora di nuovo, un brano musicale per rinnovare e ricordare il piacere che abbiamo provato la prima volta che lo abbiamo scoperto?
Il nostro piacere della scoperta â da rinnovare e rivivere continuamente â potrebbe essere definito come il carburante che alimenta tutta lâindustria dei media, dalle news allâeditoria libraria, dalla musica registrata e dal vivo allâintrattenimento televisivo e cinematografico.
Non Ăš quindi semplicemente unâidea astratta, un concetto generico, ma qualcosa di assolutamente concreto che ha un (grande) valore economico. Ma questa curiositĂ , questo nostro piacere della scoperta non dipende solo da noi, dipende soprattutto da chi controlla la catena di valore di queste industrie, a cominciare da chi decide quali artisti e contenuti produrre e quali no, quanto denaro investire nella loro promozione, quante copie stampare dei loro prodotti e quanto capillarmente, o meno, distribuirli nei punti vendita.
La sconfitta di Napster
Controllare questa catena di valore vuol dire per le major avere saldamente in mano il loro destino, per questo devono regimentare dentro un percorso preciso e determinato il piacere della scoperta dei consumatori; perché quando la voglia di scoperta trova altre strade, uscendo dai percorsi stabiliti, iniziano per loro i veri problemi.
Per esempio, per lâindustria della musica, le cassette audio con le quali le persone duplicavano i dischi rappresentavano un modo con cui i consumatori âdeviavanoâ dal percorso stabilito, cosĂŹ poi come i CD clonati e masterizzati: per i padroni della musica fastidiose perdite lungo i canali che avevano ancora saldamente in mano.
Almeno fino al 1999, quando arriva Napster e tutta unâindustria viene messa in discussione.
La piattaforma Internet realizzata da due teenager che avevano cominciato a frequentare la Northeastern University di Boston cambia completamente le carte in tavola perchĂ© capace di mettere a disposizione di milioni di persone, da âpari a pariâ4, milioni di tracce musicali, semplicemente installando un software nel computer di casa. Una parte fondamentale della catena di valore di quella industria, la distribuzione âfisicaâ, i negozi di dischi, viene saltata a piĂš pari.
Il tutto, per di piĂč, totalmente gratis. Tuttavia, il fatto che la musica che Napster permetteva di condividere fosse gratuita Ăš un aspetto sostanzialmente sopravvalutato per capire il successo immediato e travolgente della piattaforma e della fama conquistata dai suoi due fondatori (con tanto di celebrazione sulla copertina della rivista âTimeâ per uno di loro, Shawn Fanning). Come giustamente Ăš stato fatto notare:
Ecco: flessibile, efficiente, on demand, praticamente illimitata, âspacchettataâ (superando cioĂš il vecchio packaging del CD musicale) sono tutte caratteristiche da tenere bene a mente perchĂ© Ăš su queste che, principalmente, le grandi aziende tecnologiche faranno leva per portare le loro piattaforme a conquistare il mondo.
CâĂš quindi una lezione da tenere a mente: Internet aveva creato giĂ nel 1...