Capitolo 1
Lâalimentazione
Uno dei fenomeni piĂš notevoli dei nostri tempi è lâallarmante epidemia di obesitĂ e diabete (diabesity) che ha colpito quasi tutto il mondo. Nel 2005 alcuni ricercatori hanno addirittura previsto che questa epidemia potrebbe ridurre lâaspettativa di vita degli americani. Lâallarme va preso con cautela e forse, invece di predire una riduzione dellâaspettativa di vita, è piĂš prudente anticipare una maggiore instabilitĂ nel sistema, soprattutto a scapito delle classi sociali piĂš basse. Lâanalogia tra lâepidemia di obesitĂ e quella dovuta al fumo di sigaretta â che ha causato non solo milioni di tumori ai polmoni ma anche milioni di malattie cardiovascolari e polmonari â merita di essere approfondita in tutte le sue dimensioni.
Il mondo sta facendo molta fatica a liberarsi dal consumo di tabacco, a livello politico e individuale, e la grande diffusione di malattie legate al fumo, iniziata nei primi decenni del secolo scorso nei Paesi ricchi, non si è ancora arrestata e si sta anzi allargando a quelli emergenti. Dobbiamo evitare che quanto avvenuto con il fumo si ripeta con obesità e diabete, magari come conseguenza di quella grande razionalizzazione nella produzione e distribuzione del cibo che si è manifestata in concomitanza con la crisi economica mondiale.
Le due facce della malnutrizione
Stiamo attraversando il primo periodo nella storia dellâumanitĂ in cui ci sono piĂš persone sovrappeso che denutrite. Allo stesso tempo, tuttavia, la denutrizione non è stata interamente sconfitta. Gli anni novanta sono stati un periodo felice per la lotta alla fame (con una sensibile riduzione del numero di persone denutrite), a differenza degli anni duemila, decennio in cui si è assistito a un rallentamento dei successi. Secondo la Food and Agriculture Organization (FAO) complessivamente vi sono allâincirca 820 milioni di individui denutriti nel mondo, con un aumento dal 2015 (http://tinyurl.com/qv647nt; per il periodo precedente si veda Hawkes et al., 2009), la grande maggioranza dei quali nei Paesi a basso reddito. Un problema ancora piĂš diffuso è rappresentato dalla carenza di micronutrienti come le vitamine o il folato, fenomeno che affligge almeno 3 miliardi di abitanti nei Paesi piĂš poveri.
Tuttavia lâaltra faccia della malnutrizione sono i circa 1,9 miliardi di persone sovrappeso, di cui almeno 650 milioni sono obese (e il numero sta rapidamente aumentando). Lâobesità è strettamente associata al rischio di diabete (fenomeno designato dal neologismo diabesity): il numero di diabetici è destinato a crescere, da circa 108 milioni nel 1980 a 422 milioni nel 2014 e a valori ancora superiori nel 2030, salvo straordinari ma improbabili successi nella prevenzione (Hawkes et al., 2009); e molti di questi sono in Paesi a basso reddito. Ecco perchĂŠ si parla di double burden, il âdoppio caricoâ della malnutrizione nei Paesi a basso reddito (preferiamo usare questa definizione al posto di quella piĂš comune di âPaesi in via di sviluppoâ perchĂŠ il grado di sviluppo è difficile da definire ed estremamente variabile).
Mentre le cause della denutrizione possono essere facilmente individuate nella povertĂ strutturale di molte aree geografiche e di molte famiglie, le cause dellâobesitĂ e del diabete in larga misura ci sfuggono. Alcuni fatti sono chiari: nel Regno Unito il consumo di zuccheri raffinati e di grassi è aumentato da cinque a dieci volte negli ultimi due secoli, mentre si è radicalmente ridotto il consumo di cereali ricchi di fibre. Tuttavia non è detto che questo genere di cambiamenti sia lâunica causa dellâepidemia di obesitĂ .
Uno dei maggiori limiti nelle misure preventive sta nellâaddossare la responsabilitĂ ai singoli individui, alla loro ingordigia o alla loro pigrizia (alcune delle caratteristiche stigmatizzate nel personaggio di Homer Simpson, in poltrona davanti alla tv con una birra in una mano e una ciambella nellâaltra). Questo aspetto è certamente reale e importante, ma sono ancora poco esplorati i determinanti piĂš remoti dellâobesitĂ : per esempio lââambiente costruitoâ, ossia la velocitĂ e la natura dellâurbanizzazione. Questa procede in modo molto piĂš spedito nei Paesi poveri che in quelli ricchi, ha effetti particolarmente importanti per le famiglie a basso reddito, e si accompagna a cambiamenti â come lâaccesso a cibi economici e di bassa qualitĂ , o la riduzione dellâesercizio fisico â che influiscono sullâobesitĂ .
Senza arrivare al caso emblematico di Nauru, in tutto il mondo molti milioni di famiglie hanno sostituito unâeconomia familiare basata sul lavoro manuale e sullâautoconsumo legato alla terra con forme di vita urbanizzate e dipendenti dallâacquisto di cibi a basso prezzo.
La relazione tra gli sviluppi dellâindustria alimentare globale, con le sue scelte strategiche, e le conseguenze sulla salute è tuttora poco esplorata. Un numero speciale di âPloS Medicineâ uscito nel 2012 ha richiamato lâattenzione sul fatto che câè ancora pochissima ricerca sulle strategie dellâindustria alimentare e su come esse condizionano la salute di milioni, se non miliardi, di persone. Gli autori dellâeditoriale ricordano che gli effetti del tabacco sono stati riconosciuti tardi e sono stati lungamente negati dallâindustria; solo ora, a piĂš di mezzo secolo dalla dimostrazione del legame con il cancro, sono state avviate incisive politiche di prevenzione nei Paesi sviluppati.
Lâindustria alimentare segue strategie non molto diverse da quelle usate in passato da quella del tabacco, come i massicci investimenti in pubblicitĂ , spesso mirata a sottogruppi della popolazione, o la corruzione dei ricercatori (fenomeno di cui conosciamo probabilmente solo la punta dellâiceberg). La mortalitĂ per cancro del polmone negli Stati Uniti tra il 1960 e il 2010 è allâincirca raddoppiata (da 24 a 48 morti ogni 100.000 per anno); la frequenza di obesitĂ (IMC [indice di massa corporea] > 30) negli stessi anni è passata dal 13 al 22,5 per cento, un tasso di crescita che non accenna a diminuire (valori che si sommano a una frequenza di sovrappeso di circa il 30 per cento, stabile). E per di piĂš si tratta di percentuali: lâimpatto numerico globale è molto piĂš marcato rispetto al dato riferito al cancro del polmone (senza voler sottovalutare lâimportanza del tabacco).
Cambiamenti macroscopici si sono verificati e ancora si stanno verificando nella produzione e nella distribuzione del cibo. La liberalizzazione dei commerci ha facilitato la cosiddetta integrazione verticale dei TFP (transnational food processors): lâindustria alimentare è infatti in grado di coprire tutti i segmenti, dalla raccolta fino alla distribuzione, in un sistema integrato di tipo altamente industrializzato, con enormi vantaggi contrattuali e una riduzione dei costi a tutti i livelli. Negli Stati Uniti il grado di concentrazione (la quota di mercato coperta dalle prime quattro imprese del settore) per il commercio alimentare al dettaglio è passato dal 24 per cento nel 1997 al 46 per cento nel 2003. In Inghilterra, Paese in cui vivo, nel 2018 le cinque principali imprese di commercio di cibo al dettaglio coprivano il 70 per cento del mercato (http://tinyurl.com/vbzgn9z). Ormai è possibile fare la spesa quasi solo da Tesco, Sainsburyâs e in pochi altri grandi supermercati. Il taglio dei costi è cominciato dal personale: secondo la lezione di Ryanair, i costi si abbattono facendo fare il lavoro al cliente, e in questâottica i cassieri sono stati sostituiti da casse self-service.
Accanto ai TFP, lâaltra grande novitĂ degli ultimi decenni sono gli investimenti diretti allâestero (IDE, o FDI, foreign direct investment), cioè il fatto che imprese transnazionali (che rispondono agli azionisti, non ai clienti) investono finanziariamente nel cibo, considerato un bene di consumo come un altro. Lâinvestimento rende molto di piĂš se il cibo non è semplicemente un prodotto della terra, coltivato e trasportato al consumatore, ma se è trasformato: anzi, quanto piĂš è trasformato, come lo sono le bevande gassate e i cibi confezionati, tanto piĂš la resa economica è alta. Forse il âsegretoâ dellâepidemia di obesitĂ sta proprio in questo punto. Nei supermercati inglesi o americani â lâItalia almeno da questo punto di vista rappresenta unâanomalia positiva â la scelta è diversificata perchĂŠ i cibi sono presentati in sempre nuove versioni (come fossero modelli di automobili) per stimolare la richiesta e aumentare il guadagno degli investitori. Tesco e Sainsburyâs competono sul rapporto tra prezzo e attrattivitĂ esercitato dai nuovi âmodelliâ di cibi confezionati; le diffuse pubblicitĂ di tipi sempre nuovi di hamburger â in particolare negli Stati Uniti e nel Regno Unito â sono un altro esempio. Lâoperazione di diversificazione può essere svolta solo dalle grandi catene, e i piccoli negozi di generi alimentari si stanno riducendo, almeno a Londra, a boutiques di prodotti genuini ma molto cari, accessibili solo alla media borghesia.
Quanto detto riguardo alla vendita al dettaglio vale anche per la ristorazione: street food, snack bar (per la maggior parte legati a grandi catene) ecc. sono sempre piĂš diffusi, in particolare nellâEuropa dellâEst, in Asia e in America Latina. In Vietnam, Cina e Indonesia la stima di crescita è rispettivamente dellâ11, del 10 e dellâ8 per cento lâanno. Secondo alcune ricerche, lâassunzione di calorie da cibi distribuiti da catene di fast food negli Stati Uniti è passata dal 10 per cento del 1977 al 21 per cento del 1996 (Moodie et al., 2103; Hawkes et al., 2009). Ma secondo altri la quota è inferiore, intorno allâ11 per cento negli adulti. Un aspetto collaterale ma non trascurabile è che quasi tutti i cibi preconfezionati sono impacchettati in cellophane o in plastica e contribuiscono alla produzione di materiale inquinante difficile da smaltire.
Che cosa ci riserva il futuro? Sempre piĂš cibi industriali e (mal)trattati. Le politiche di âaggiustamento strutturaleâ (structural adjustment programs) e la liberalizzazione dei commerci non potranno che incrementare la forza e la diffusione dei grandi TFP. Se il WTO si oppone al contenimento della vendita di sigarette, è difficile che arretri di fronte alle critiche allâindustria alimentare; si consideri che a livello globale le transazioni legate al cibo sono lâ11 per cento del totale, una percentuale superiore a quella dei carburanti. Sulle resistenze a politiche di contenimento della diffusione del junk food torneremo nellâultimo capitolo.
Il fenomeno della globalizzazione dellâindustria alimentare è stato particolarmente intenso in alcune aree strutturalmente piĂš deboli. Le isole del Pacifico hanno rappresentato un laboratorio naturale delle politiche di smercio di cibi preconfezionati da parte degli Stati Uniti e dellâAustralia, in particolare per quanto riguarda la carne in scatola (spesso ricavata dalle parti meno nobili di montoni e tacchini). E nelle stesse isole la globalizzazione ha anche causato una drastica riduzione del consumo di pesce fresco, a favore del consumo di pesce in scatola, in seguito alla vendita delle concessioni di pesca ai giapponesi.
Un potente motore dello sviluppo dellâindustria alimentare transnazionale â come in tutti gli altri settori industriali â è la pubblicitĂ . La spesa pubblicitaria globale per il cibo è passata da 216 miliardi di dollari nel 1980 a 512 nel 2004, e negli Stati Uniti lâindustria alimentare spende in pubblicitĂ piĂš di qualunque altra industria (Moodie et al., 2103; Hawkes et al., 2009). Gran parte di questa pubblicitĂ , diffusissima sui canali televisivi americani, promuove prodotti altamente calorici e grassi: pizze grondanti formaggio, hamburger con tripli strati di carne ecc. Nel 2013, nel periodo natalizio, nella metropolitana di Londra Sainsburyâs pubblicizzava lâintero pranzo di Natale (tacchino incluso) in un solo hamburger a 1,99 sterline.
Tra le aziende piĂš aggressive nelle campagne promozionali câè la Frito-Lay, che in Thailandia ha piĂš che duplicato i suoi investimenti in pubblicitĂ tra il 1999 e il 2003: nello stesso periodo nel Paese il consumo di snack da parte dei bambini è cresciuto del 30 per cento. La Frito-Lay (una divisione di Pepsi-Cola) va ricordata anche per un episodio di conflitto di interessi. Un gruppo di ricercatori ha infatti pubblicato di recente una rassegna che nega le prove di cancerogenicitĂ dellâacrilamide, una sostanza che si produce nella frittura (per esempio delle patatine). Al di lĂ della valutazione delle prove in sĂŠ, colpiscono alcuni fatti: la ricerca è stata sponsorizzata dalla Frito-Lay e il senior author dellâarticolo ha lavorato per anni in unâagenzia pubblica di ricerca sul cancro (la IARC, International Agency for Research on Cancer) prima di passare allâindustria privata, per la quale è ora impegnato nel ridimensionamento sistematico delle prove di cancerogenicitĂ raccolte dalla stessa agenzia per cui lavorava in precedenza. Sui conflitti di interessi torneremo nei capitoli 7 e 8.
Ho accennato al fatto che la crisi economica, ma anche le soluzioni âliberisteâ che sono state proposte, come le politiche di aggiustamento strutturale, possono comportare deterioramenti rapidi dello stato di salute in certe aree del mondo. Per quanto possa apparire sorprendente, una delle piĂš prestigiose riviste mediche internazionali, il âNew England Journal of Medicineâ (NEJM), nel 2005 ha pubblicato un articolo che ipotizzava un potenziale declino dellâaspettativa di vita negli Stati Uniti nel XXI secolo (Olschansky et al., 2005). Il principale motore di questo declino sarebbe proprio lâobesitĂ , con il suo carico associato di malattie cardiovascolari e diabete. La crescita dellâaspettativa di vita â costante dal 1850 in poi nei Paesi ad alto reddito â ha subito una decelerazione negli ultimi tre decenni, in particolare negli Stati Uniti, e perfino unâinversione nei bianchi poveri (su questo torneremo oltre). La probabilitĂ di morire precocemente può essere fino a quattro volte piĂš alta per le persone di 18-30 anni fortemente obese, ossia con IMC > 40; e una diagnosi di diabete in giovane etĂ può ridurre lâaspettativa di vita di ben 13 anni (Olshansky et al., 2005). Complessivamente lâobesitĂ marcata (IMC > 40) riduce lâaspettativa di vita di un periodo compreso tra 5 e 20 anni.
Secondo le stime degli autori dellâarticolo del âNEJMâ, se lâepidemia di obesitĂ non subirĂ presto unâinversione di marcia, lâaspettativa globale di vita degli americani potrebbe ridursi per la prima volta dal 1850. Un rallentamento dellâaspettativa di vita peraltro è giĂ stato osservato in Giappone, a Okinawa, come conseguenza dellâobesitĂ e delle malattie cardiovascolari. Questâultima osservazione ha tuttavia radici piĂš complesse legate al basso peso alla nascita di unâintera generazione. Su questo punto torneremo nel capitolo dedicato allâepigenetica.
Capitolo 2
Il cambiamento climatico
Questo capitolo parla di quanto sappiamo oggi sul cambiamento climatico, delle incertezze che accompagnano le nostre conoscenze e delle conseguenze che il cambiamento climatico può avere sulla salute attraverso diversi meccanismi. Il cambiamento del clima sembrava inimmaginabile pochi decenni fa, e rappresenta un evidente esempio della portata globale dellâinfluenza dellâuomo sul nostro pianeta. Le conseguenze principali sullo stato di salute si verificheranno con tutta probabilitĂ attraverso la scarsitĂ dâacqua (di buona qualitĂ ) e attraverso i mutamenti nella distribuzione di malattie trasmissibili come la malaria.
Il quinto rapporto dellâIPCC: gli effetti sulla salute
Il capitolo sulla salute (Working Group 2) del quinto rapporto dellâIPCC contiene molti dati che portano ulteriori prove a favore dellâimportanza e della rapiditĂ del cambiamento climatico. Per esempio, 13 dei 14 anni piĂš caldi da quando si è cominciato a registrare i livelli di temperatura sono nel XXI secolo. Il rapporto, come molte altre fonti autorevoli, richiama lâattenzione sulle conseguenze piĂš drammatiche che si riscontreranno nei prossimi anni.
La prima è sicuramente lâinsufficiente disponibilitĂ di risorse idriche di buona qualitĂ per tutti. BenchĂŠ non vi siano prove che a livello globale sia cambiata la velocitĂ con cui si esauriscono le acque di superficie e di profonditĂ , si prevede che nelle aree subtropicali aride questo capiterĂ tra pochi anni. Sul lungo periodo una grave carenza dâacqua è prevista per almeno tre fenomeni concomitanti: la domanda crescente, i cambiamenti nelle precipitazioni e la fusione dei ghiacciai. Si stima che, rispetto alla disponibilitĂ attuale, ogni aumento di 1 grado della temperatura provocherĂ un calo del 20 per cento nelle fonti idriche rinnovabili per un ulteriore 7 per cento della popolazione. Inoltre lâaumento della temperatura farĂ crescere i sedimenti nelle sorgenti, la siccitĂ provocherĂ una ridotta diluizione dei contaminanti chimici e le inondazioni porteranno a un collasso ciclico dei sistemi di smaltimento dei rifiuti.
Se non saranno istituite misure di mitigazione e adattamento, entro il 2100 milioni e milioni di persone patiranno le conseguenze di alluvioni, mentre le erosioni costiere provocheranno una perdita di terreni coltivabili. Secondo il rapporto, gli effetti del cambiamento climatico sulla produzione di cibo dipendono da complesse interazioni tra livelli di CO2, azoto e ozono, temperatura, disponibilitĂ dâacqua ed eventi climatici estremi, tutti fenomeni la cui ampiezza è difficile da prevedere. Sebbene si siano osservati anche effetti positivi sulla produttivitĂ agricola dovuti al cambiamento climatico, finora questi sono stati superati da quelli negativi, soprattutto nel caso della coltivazione del mais.
Si stima che nel complesso i raccolti potranno ridursi fino al 2 per cento per decennio in questo secolo, mentre fino al 2050 la domanda aumenterĂ del 14 per cento per decennio. La produzione di alimenti risente molto dei forti sbalzi climatici e se gli aumenti di temperatura saranno estremi (piĂš di 4 gradi), i danni in questo settore â che ora si limitano alle aree temperate â saranno percepiti a tutte le latitudini. Il cambiamento climatico è un âmoltiplicatore di problemiâ (threat-multiplier) per i gruppi sociali piĂš poveri, anche a causa dellâaumento dei prezzi del cibo. Ă verosimile che questo non sarĂ un problema solo nei Paesi a basso reddito, come è oggi, ma che si creeranno nuove sacche di povertĂ nei Paesi ad alto reddito, in cui i livelli di disuguaglianza sono in aumento.
Le conseguenze del cambiamento climatico saranno diverse nei diversi continenti. In Europa lâIPCC stima ÂŤaltamente probabileÂť un aumento delle persone colpite da alluvioni nei bacini fluviali e lungo le coste, con conseguenti ingenti perdite economiche. Vi sarĂ al contempo una riduzione della disponibilitĂ idrica insieme a un aumento della domanda. E in altri continenti potranno esserci importanti conseguenze sulle malattie trasmesse da vettori, come hanno suggerito diversi rapporti a partire da un articolo di âScienceâ sulla diffusione della malaria ad altitudini elevate in Etiopia e Colombia (Siraj et al., 2014).
Per quanto riguarda le misure preventive e protettive, è abbastanza ovvio che le strategie di âmitigazioneâ â cioè di abbattimento dei livelli di CO2 â potranno dare risultati solo sul lungo o lunghissimo periodo, mentre misure di âadattamentoâ fisico e biologico alla situazione data possono aspirare ad avere effetti piĂš rapidi. Tu...