Parte II
Ugole, orecchie, violini
Capitolo 6
Aria sulla sesta remigante
Nellâimmaginario collettivo la primavera ha il profumo dei fiori e il suono dei cinguettii. Il garrito delle rondini, i âcirpâ dei passeri indaffarati tra le tegole dei tetti, i fischi striduli dei rondoni che sfrecciano alti nel cielo con la loro inconfondibile silhouette a falce e che con strette virate sfiorano i campanili, lâusignolo che, instancabile, canta anche di notte: è questa la colonna sonora della stagione della rinascita. Lâaria di primavera è una melodia a piĂš voci. Ma siamo proprio sicuri che ogni volta che gli uccelli aprono becco lo fanno sempre e solo per cantare?
Il linguaggio degli uccelli è molto piĂš articolato e complesso di cosĂŹ: ogni specie produce una varietĂ di suoni diversi, ognuno con uno scopo e un messaggio preciso. Suoni che noi genericamente indichiamo sempre come âcantoâ, ma che invece alle orecchie esperte di ornitologi e birdwatcher sono utilissimi per capire quante e quali specie si trovano nellâarea studiata, e soprattutto in che attivitĂ sono indaffarate e cosa si stanno dicendo. Possono essere trilli, ronzii, fischi, tambureggiamenti o suoni prodotti in altro modo, schioccando la lingua, battendo il becco o perfino incrociando delle particolari penne. E tutti hanno un significato e uno scopo specifico. La prima cosa da dire, però, è che nella maggior parte delle situazioni non si tratta di canto, ma di versi o richiami: anche questi sono segnali e hanno una funzione precisa.
Tra i versi rientrano i segnali di allarme, che ascoltiamo molto spesso, utilizzati per avvertire i conspecifici (e non solo) dellâarrivo di un pericolo ogni volta che un individuo si sente minacciato. Sono vocalizzazioni che vengono comprese trasversalmente da tutte le specie che vivono nello stesso ambiente, un poâ come lâSOS umano conosciuto a livello internazionale. Il chioccolio del merlo, una serie di sonori schiocchi, è tra questi. Ma se vi è capitato di camminare per i boschi, avrete sicuramente sentito la sentinella delle foreste decidue avvisare tutto il circondario della vostra presenza: con il suo schiamazzo, molto simile al classico verso di unâanatra ma piĂš secco e sordo, meno nasale, la ghiandaia (Garrulus glandarius) mette tutti sullâattenti. Forse avrete anche avuto occasione di vederla: sul suo piumaggio marrone rosato spiccano la parte finale della schiena bianca, la coda nera e le inconfondibili âspallineâ azzurre. Le sue penne copritrici, cioè quelle che ricoprono le penne delle ali, sono infatti azzurre con barre orizzontali nere e sottilissime strie bianche. Con un peso che si aggira sui 150-200 grammi e unâapertura alare di circa 55 centimetri, questo corvide comunissimo nei nostri boschi, come pure nei giardini pubblici piĂš grandi, è però anche unâadorabile imbrogliona. Intelligente e con una memoria formidabile, la ghiandaia è unâottima imitatrice e di questa sua capacitĂ si serve nelle occasioni piĂš disparate.
Fa parte dei disonesti nel mondo della comunicazione: simula i versi di molte altre specie di uccelli, e perfino la voce umana o di altri predatori come i gatti. Ă un uccello che â se vuole â miagola. E non lo fa per semplice diletto: i suoi sono segnali ingannevoli, spesso prodotti appositamente con lo scopo di confondere. PerchĂŠ lo fa? Principalmente per ghiottoneria o per necessitĂ . Come tanti altri uccelli, imita i versi dei predatori per incutere timore, come fanno i bambini che giocano a fare il leone o a imitare bestie feroci. E questo può scoraggiare altri conspecifici o predatori ad avvicinarsi al suo nido. Ă un meccanismo, quindi, di protezione. Oppure utilizza questâescamotage per assicurarsi una fonte alimentare. Che siano nocciole o faggiole, la ghiandaia può fingersi una poiana, emettere il verso di un astore, di un allocco, o di qualche altro predatore. In questo modo, mentre tutti gli altri uccelli del bosco corrono ai ripari, lei ha campo libero. Uno dei suoi piatti preferiti sono le uova di altri passeriformi. E per mangiarle utilizza a volte una tecnica davvero subdola: imita il canto di quella specie in modo che i genitori lascino momentaneamente il nido per cercare lâintruso nel loro territorio, lasciandole inconsapevolmente via libera. La ghiandaia è una vera maestra dellâinganno, del resto le sue capacitĂ vocali sono note fin dai tempi antichi: il suo stesso nome scientifico, Garrulus glandarius, in latino significa âchiacchierone, ciarlieroâ e âmangia-ghiandeâ. E non a torto il poeta inglese William Wordsworth (1770-1850) la chiamava âdissimulatriceâ.
Ma di uccelli che imitano i versi di altre specie per difendere il nido o avere il monopolio di una fonte alimentare è pieno il mondo. Lâimitazione è una tecnica molto efficace perchĂŠ, se è davvero buona, funziona sempre: i costi di ignorare un verso di allarme di unâaltra specie superano di gran lunga i costi di rispondere anche a quelli falsi. Decidere se ignorare lâallarme o reagire a esso può fare la differenza tra morire per mano di un predatore o perdere solo un pasto. I destinatari non si abituano mai ai segnali di allarme e reagiscono sempre con la fuga. Ă per questo che i segnali ingannevoli funzionano: la regola di âal lupo, al lupoâ nel mondo animale non vale. Meglio avere sempre salva la pelle.
Come abbiamo detto, poi, i versi di allarme sono universali e vengono compresi dagli animali che vivono negli stessi ambienti, e che quindi condividono gli stessi spazi e spesso gli stessi predatori. Per esempio, è stato dimostrato che gli scoiattoli rossi (Sciurus vulgaris) rizzano le orecchie quando sentono lâallarme lanciato dalle ghiandaie. Si mostrano piĂš vigili e si danno alla fuga: comprendono perfettamente cosa vuol dire quel messaggio codificato e lo distinguono rispetto ad altri suoni altrettanto forti, ma che non indicano un pericolo prossimo e imminente.
Ogni specie di uccello ha almeno un verso di allarme, ma le cince sono delle vere maestre: emettono suoni di allarme differenti a seconda del predatore in arrivo e Chris Templeton dellâUniversitĂ di Washington è stato il primo nel 2005 a decodificare il linguaggio della cincia americana (Poecile atricapillus): un rapace in volo viene segnalato con un leggero e acuto âsiiitâ, mentre un predatore fermo o appollaiato tra le fronde di un albero corrisponde a un âchickadii-dii-diiâ. E il numero di âdiiâ che si ripetono alla fine del verso indica le dimensioni del predatore e quindi il grado di minaccia: piĂš il predatore è piccolo, piĂš numerosi saranno i âdiiâ. Una civetta nana del Nord America (Glaucidium californicum) verrĂ indicata con quattro âdiiâ finali, mentre per il gufo della Virginia (Bubo virginianus) ne basteranno due: questo perchĂŠ i predatori piccoli e agili si muovono meglio nel folto della vegetazione e rappresentano una minaccia piĂš seria. Ma câè di piĂš, il âchickadiiâ è un verso ad ampio spettro che oltre a mettere in allerta i conspecifici, richiama la loro attenzione per attaccare in gruppo. Ă il caso del mobbing, un comportamento aggressivo e intimidatorio messo a punto da molte specie nei confronti di predatori o di chi invade il loro territorio. Gabbiani e cornacchie ne sono maestri: sulle isole, le colonie di gabbiani attaccano rapaci o aironi migratori che sono solo di passaggio e lo stesso fanno se qualche predatore tenta di avvicinarsi al nido. Allo stesso modo si comportano le cornacchie o le taccole: si avvalgono della forza del gruppo per scacciare e infastidire specie anche molto piĂš grandi, perfino aquile reali.
Ci sono poi versi che vengono chiamati âdi contattoâ e che corrispondono invece a un âio sono qui, tu tutto bene?â. Sono suoni brevi, rapidi, spesso sommessi, utilizzati da molti uccelli sociali o da gruppi familiari, anche nella ricerca del cibo. Molte specie sociali, poi, che volano o addirittura migrano in stormi, sono famose per i loro vocalizzi in volo: usano questi richiami per non perdersi di vista e stare compatte. Una specie tra tutte, le gru (Grus grus): il loro passaggio nei cieli italiani nelle notti di primavera o in autunno si fa sempre sentire. Famosi âcasinariâ sono i codibugnoli (Aegithalos caudatus): piccoli batuffoli piumosi dal peso di appena 7 grammi, con un minuscolo becco e la coda piĂš lunga del corpo, che vivono in gruppi familiari di 6-30 individui. Di solito è la coppia riproduttrice che si porta dietro i giovani delle covate precedenti, spesso con qualche cincia nel mezzo. E la loro presenza si palesa subito: il gruppo si tiene costantemente in contatto con degli acuti âsrih-srih-srihâ mentre vola tra gli alberi in cerca di cibo o riparo. I versi di contatto sono fondamentali anche per i genitori e la prole, soprattutto nel primo periodo successivo allâinvolo, cioè quando i giovani sono usciti dal nido e devono iniziare a cavarsela da soli. In questo momento molto delicato della vita da genitori, per esempio, gli adulti di cardinale rosso (Cardinalis cardinalis) â il passeriforme nordamericano completamente rosso che ha ispirato il videogioco Angry Birds â comunicano la loro posizione con dei sommessi âcipâ frammentati: in questo modo coordinano le manovre nella vegetazione, si scambiano le loro coordinate a vicenda ed evitano di farsi sentire dai predatori. Ă come se parlassero sottovoce, bisbigliando indicazioni per non essere localizzati.
La veritĂ , però, è che la comunicazione tra genitori e prole inizia ancora prima dellâinvolo e addirittura della nascita dei pulli: comincia quando le uova ancora si devono schiudere. Eh sĂŹ, poco prima di schiudersi le uova pigolano. Il pullo, ormai completamente sviluppato e pronto a rompere il guscio, avverte i genitori che sta per venire al mondo: se lo dovessimo traslare nei mammiferi, potrebbe essere una sorta di âguarda mamma che ti si sono rotte le acqueâ. Una volta venuti al mondo, i nidiacei â come tutti i pargoli â strillano parecchio. Chiamano i genitori e soprattutto la forza della loro voce, lâinsistenza del loro pigolare e lâampiezza del loro becco spalancato indicano ai genitori quanta fame hanno e di quanto cibo hanno bisogno, e danno preziose informazioni sul loro stato di salute. In questâultimo caso, a dire il vero, influisce molto anche il colore dellâinterno del becco: piĂš è giallo-arancio, bello carico, piĂš il pullo sta bene ed è in forma, mentre piĂš sarĂ pallido, meno il pullo sarĂ forte e vitale. Se le chiamate da âmamma, papĂ , ho fameâ â dette in inglese begging calls â sono fondamentali sia per i pulli che per il successo riproduttivo dei genitori, ci sono poi i tenerissimi incitamenti a uscire dal nido quando è il momento giusto, mentre le richieste di cibo continueranno anche fuori dal nido, finchĂŠ i giovani non saranno in grado di provvedere ai loro bisogni da soli.
Vi ho anticipato, però, che questo è un mondo fatto di onesti ma anche di grandissimi bugiardi e millantatori. E a mentire si comincia da piccoli, soprattutto se sei un cuculo comune (Cuculus canorus) o un altro parassita di cova, un gruppo che comprende quasi 90 specie di farabutti distribuite in tutto il mondo: circa 50 specie di cuculi; 20 di Viduidi, nellâAfrica subsahariana; 10 di Indicatoridi, particolari picchi ghiotti di miele che indicano la presenza di alveari selvatici; e 5 di vaccari, grossi passeriformi del Centro e Sud America.
Tutte queste specie sono parassiti di cova, cioè non costruiscono il proprio nido, ma depongono lâuovo in un nido altrui. Sono maghi dellâinganno: producono uova di dimensioni e colori praticamente identiche a quelle delle specie parassitate. Ma i veri caini sono i pulli che usciranno da quelle uova. La maggior parte di loro ucciderĂ i fratellastri in vario modo: lanciandoli giĂš dal nido o a beccate, mentre i genitori adottivi non sono presenti. Lâinganno piĂš grande risiede nel loro âpiantoâ: un solo pullo di cuculo comune è capace di imitare e simulare un pianto pari a quello di tutta la nidiata parassitata per farsi dare il cibo necessario: è un super-stimolo a cui i genitori adottivi rispondono con molta piĂš solerzia. Le begging calls sono quindi fondamentali per il piccolo parassita di cova per crescere sano e forte. Ma come fa a conoscere il linguaggio dei suoi genitori adottivi? Come fa a parlare la loro stessa lingua e a farsi accettare?
Per diverso tempo si è ipotizzato che almeno per alcune specie questo repertorio orale fosse programmato geneticamente e lâipotesi non era campata in aria. Per quanto riguarda il cuculo comune, infatti, questa specie si è talmente evoluta e coevoluta con i suoi ospiti, in una lunga corsa agli armamenti, che le femmine possono essere divise in tribĂš: ogni tribĂš è specializzata nel parassitare specie differenti, imitando alla perfezione la forma e il colore delle uova. Per questo ipotizzare che anche il âmamma, ho fameâ sia diventato ormai un carattere ereditario, selezionato nel tempo, non è unâassurditĂ . Gli studi in merito, però, sono molto discordanti. Secondo una prima ipotesi, i cuculi sarebbero eccellenti studen...