LE ALTRE ELETTE ALLâASSEMBLEA COSTITUENTE
Marchigiana. Adele Bei nel 1948 entrĂČ al Senato di diritto: come la legge prevedeva per tutti coloro che erano stati in carcere almeno cinque anni durante il fascismo (foto gentilmente concessa dalla nipote Anna Bei).
Adele Bei
1904 â 1976
Comunista
Contadina, militante, esule, partigiana, carcerata, confinata, sindacalista, costituente, parlamentare: la vita della marchigiana Adele Bei Ăš stata intensa e ha racchiuso le esperienze piĂč forti dei primi 60 anni del XX secolo.
Nasce il 4 maggio 1904 a Cantiano, piccolo centro in provincia di Pesaro (a ridosso dellâUmbria), da Davide e Angela Broccoli. La loro Ăš una famiglia priva di mezzi e molto numerosa: lei Ăš la terza di undici figli â sette maschi e quattro femmine â cresciuti dalla madre, mentre il padre fa il boscaiolo come tanti, in quella zona, e come faranno gli stessi fratelli di Adele. Che, a 12 anni, deve lasciare la scuola per fare la bracciante e aiutare la famiglia. Una vita dura, in cui lâingiustizia e le disparitĂ si sentono sulla pelle e danno forza alle idealitĂ socialiste condivise da tutti loro e rinsaldate, in Adele, dalla conoscenza di Domenico Ciufoli.
Boscaiolo e iscritto al Partito Socialista, nel 1921 al Congresso di Livorno il giovane Ciufoli Ăš accanto ad Amadeo Bordiga, Antonio Gramsci, Pietro Secchia e Umberto Terracini nella fondazione del PcdâI. Lâanno dopo, appena diciottenne, Adele Bei sposa Ciufoli ma la coppia, dopo la marcia su Roma e lâavvento di Mussolini, Ăš costretta a lasciare lâItalia. CosĂŹ nel 1923 i due vanno prima a Charleroi, in Belgio, dove nasce Angela (1924) e poi in Lussemburgo, Paese in cui viene alla luce Ferrero (1926). Domenico lavora in miniera ed Ăš assorbito dallâattivitĂ politica cui partecipa anche lei, allâinterno del Soccorso Rosso Internazionale, la rete costruita per aiutare gli oppositori del regime e le loro famiglie.
Nel 1928 si trasferiscono a Marsiglia, quindi a Parigi; Adele di lĂŹ a poco matura la convinzione di voler partecipare pienamente alla lotta antifascista e nel 1931 si iscrive al Partito Comunista dâItalia: sarĂ uno dei âfenicotteriâ, coloro che viaggiano sotto falso nome per portare in Italia informazioni e materiale di propaganda. Un ruolo pericolosissimo, quello del âcorriereâ, per il quale spesso si privilegiano le donne perchĂ© meno riconoscibili. Nel novembre del â33, perĂČ, mentre si trova a Roma, Adele Bei viene identificata e arrestata. Non dice una parola sui compagni e la loro organizzazione, nonostante botte, insulti, minacce e cinque mesi in una cella di isolamento. Di fronte al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che cerca di fare leva sul senso di colpa del suo essere madre, ribatte sprezzante: «Non preoccupatevi della mia famiglia, qualcuno provvederĂ ; pensate piuttosto ai milioni di bambini che soffrono la fame in Italia. Appunto perchĂ© sono madre, sento il dovere di lavorare per lâavvenire di queste creature; per questo mi trovo di fronte a voi». Parole coraggiose e pesanti come la scure della pena che si abbatte su di lei: Ăš condannata a 18 anni di reclusione nel carcere di Perugia, dove il suo esempio di intransigenza e dirittura morale conquista le altre detenute. Sono anni in cui studia e legge, di tutto: dai classici russi a testi di economia politica e storia, fino a Le vite di Plutarco. Nel frattempo i figli erano andati a vivere in Unione Sovietica, nel convitto di Ivanovo (a 300 chilometri da Mosca), dove si trovavano anche i figli delle coppie Longo-Noce, Togliatti-Montagnana e quelli di molti dirigenti comunisti stranieri. Il marito, che si muove tra Mosca e Parigi, alla fine del 1939 viene arrestato e poi, nel 1944, internato a Buchenwald: farĂ ritorno in Italia dopo la Liberazione nelle condizioni che possiamo immaginare.
Per Adele, dopo sette anni in carcere, nel giugno del â41 Ăš disposto il confino a Ventotene, dove ritrova la prima linea del partito (Terracini, Secchia, Mario Scoccimarro e altri) e Giuseppe Di Vittorio, con cui instaura un buon rapporto tanto che, una volta eletto segretario della Cgil, sarĂ lui a indicarla alla Consulta nazionale. Gli anni di segregazione nellâisola non sono facili per la mancanza di cibo â dimagrisce dieci chili â e per le condizioni generali: vivono e dormono in camerate con 25 letti, lâigiene Ăš approssimativa, lâacqua scarseggia. Con la caduta di Mussolini, anche i prigionieri di Ventotene sono liberi, âal canto dellâInternazionaleâ sbarcano a Formia, da dove Adele raggiunge Roma: Ăš il 18 agosto 1943. Contatta le brigate partigiane del Lazio e riprende la sua battaglia, se possibile con ancora maggior intensitĂ . Ă tra le protagoniste della Resistenza romana: organizza e coordina lâazione dei Gruppi di difesa della donna (Gdd) reclutando e motivando tante militanti di ogni ceto e orientamento nellâazione quotidiana contro i nazisti (alla fine del conflitto le verranno attribuiti il grado di capitano e la croce di guerra al valor militare). Centro logistico Ăš la casa della partigiana Carla Capponi: lĂŹ si tengono le riunioni, si definiscono le strategie, si decidono gli interventi, si individuano altre compagne da coinvolgere nella lotta. Pian piano nascono diverse sedi clandestine nei vari quartieri, il movimento cresce. Nellâaprile del 1944 scatta il drammatico assalto ai forni, con lâassassinio di Caterina Martinelli, uccisa da un tedesco con sua figlia in braccio e una pagnotta ancora in mano. Finalmente, il 4 giugno, gli Alleati arrivano in una Roma che Ăš lâombra di se stessa. Adele Bei non perde un minuto. CâĂš da ricostruire, e capire come trasfondere i valori della Resistenza nello Stato che verrĂ .
CâĂš il lavoro, che per lei Ăš la prioritĂ , e ci sono le donne che non possono certo tornare alla condizione preesistente sotto il regime fascista. Ă questo il doppio binario di riferimento, per la comunista marchigiana. Nellâautunno del â44 partecipa alla fondazione dellâUnione donne italiane (Udi), nel cui primo congresso sarĂ nominata dirigente. Nel 1945 entra a far parte della Consulta, unica fra le 13 rappresentanti a essere indicata da un organismo non politico. Nella stessa assemblea consultiva siede il marito Domenico Ciufoli, rientrato da Buchenwald, ma non Ăš â e non sarĂ â lâunione di una coppia che si ritrovata dopo anni di lotta e sofferenze. Il grande dolore per la morte del figlio Ferrero, che era tornato in Italia con la sorella dallâUnione Sovietica, li allontana e divide la famiglia, giĂ provata dalle pesanti vicissitudini.
Candidata alla Costituente dal Pci, Adele Bei viene eletta nel collegio di Ancona-Pesaro-Macerata-Ascoli Piceno con 7.549 voti. Le Ăš quindi conferito lâincarico di segretaria della Terza Commissione per lâesame dei disegni di legge. La sua voce si farĂ sentire nel corso del biennio, sia cofirmando emendamenti proposti dalle colleghe, sia nella seduta del 18 febbraio 1947: nellâambito della discussione sulle dichiarazioni del presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, prende la parola contro la soppressione del ministero dellâAssistenza post-bellica, sostenendo che lâemergenza non si Ăš certo esaurita e sottolineando quanto di buono e utile era stato fatto sino a quel momento: sul fronte delle colonie estive, delle cooperative per il lavoro di reduci e partigiani, delle scuole professionali, delle mense popolari. «Vogliamo assistere il popolo, perchĂ© vogliamo riportare la serenitĂ nella famiglia, e la serenitĂ non si porta solo a parole, ma si porta a fatti, si porta con lâassistenza fattiva», osserva con fermezza Bei.
Sempre nel â47, al primo Congresso nazionale della Cgil, la politica marchigiana â che nel sindacato Ăš responsabile della Commissione consultiva femminile â presenta la Carta della lavoratrice, dove viene enunciato il principio irrinunciabile che una lavoratrice gode degli stessi diritti di un lavoratore per ciĂČ che riguarda il tipo di contratto, il salario, lâassistenza. Una mossa quasi rivoluzionaria, allora, accompagnata dal monito ai colleghi riuniti a Firenze: «Tenete conto, compagni, che molte di queste donne sono state ieri una forza decisiva per la cacciata del tedesco invasore dellâItalia, saranno oggi la forza decisiva per la ricostruzione del nostro Paese». Lâanno dopo, Adele Bei lascia lâincarico allâinterno della Cgil e si dedica allâAssociazione donne della campagna (che fa capo allâUdi) della quale diventa presidente: nessuno puĂČ capire meglio di lei le ragioni delle contadine, il loro isolamento nelle case coloniche, la loro fatica. Si associano in 100mila.
Il lavoro, come si Ăš detto, Ăš centrale nella sua visione politico-sociale, per questo farĂ parte della commissione a esso dedicata al Senato, quando nel 1948 entra nella Camera Alta di diritto, come spetta a chi Ăš stato in carcere per almeno cinque anni sotto il fascismo. Sia in questa, sia nel corso delle successive due legislature in cui Ăš eletta a Montecitorio, Bei Ăš molto attiva sul territorio marchigiano che rappresenta: ascolta casalinghe, braccianti e operaie ricordando agli uomini del suo Partito che câĂš troppa disattenzione nei confronti delle donne, sempre trascurate nel dibattito pubblico. Saranno per queste ultime i suoi interventi in Parlamento, per esempio a sostegno della legge sul divieto di licenziamento di chi sta per sposarsi, o a favore delle provvidenze per le mondariso, sollecitando un intervento anche al Sud per le «raccoglitrici di olive, di castagne, di gelsomini, che lavorano per ore e ore giorno e notte per guadagnare poche lire in condizioni veramente disumane».
Sono le prove generali della grande battaglia che porterĂ avanti per le cosiddette tabacchine, cioĂš le addette alle piantagioni di tabacco per la selezione, lâimpacchettamento e lâessicazione delle foglie. Ritmi massacranti, a temperature proibitive e senza neanche lâinquadramento tra i lavoratori dellâindustria, che queste operaie invece rivendicano. Bei ci si dedicherĂ con tutte le sue forze, visitando stabilimenti in varie regioni, scrivendo articoli, concedendo interviste. Ă anche grazie a lei che le tabacchine otterranno, nel 1957, un aumento del salario e misure previdenziali simili a quelle degli altri lavoratori.
Con la chiusura della III legislatura (1958-1963), per Adele Bei finisce lâimpegno parlamentare, del quale va ricordata anche la proposta di riforma del sistema carcerario (sapeva di cosa parlava). Ma non finisce il suo attivismo. Come ricorda la nipote Anna Bei, conserva un ufficio allâAnpi di Roma e da lĂŹ si mobilita per mille iniziative. NĂ© manca di frequentare, naturalmente, la sezione del partito. La ferma solo la malattia, che la porta via il 15 ottobre 1976.
Anna, classe 1953, figlia di Giuseppe, il piĂč piccolo degli undici fratelli e sorelle Bei, ha ricordi vivi di sua zia. «La nostra Ăš sempre stata una famiglia unita, le sorelle maggiori hanno fatto da mamme ai fratellini perchĂ© la nonna morĂŹ presto. Il punto di riferimento era zia Adele con la quale poi mio padre e mia madre hanno abitato a Roma, a piazza Bologna, insieme a mia cugina Angela». Impossibile dimenticare «il piglio, la personalità ⊠anche fisicamente lei era una persona imponente». Il primo ricordo di Anna risale a quando «da bambina, zia Adele mi portĂČ per la prima volta alla sezione del partito, nel quartiere di Montesacro. Sentii cantare âbandiera rossaâ e tutte le canzoni militanti, che lei poi mi ha insegnato. Era orgogliosa di portare la nipotina con sé». Il racconto si sofferma sulla drammatica vicenda familiare: «Mio cugino Ferrero rientrĂČ in Italia con la sorella. Non stava bene, gli fu diagnosticata la tubercolosi ossea. La sua morte fu un grande dolore per gli zii e per la primogenita Angela che ne fu segnata profondamente».
Il rapporto tra Adele e la figlia sarĂ difficile. «Durante lâinfanzia e lâadolescenza trascorse in Unione Sovietica, lontana dai genitori, Angela era solitaria, appartata, triste. Quando Ăš tornata, si Ăš legata sempre piĂč al padre: condividevano la passione per lâarte, il cinema, il balletto cui lo zio si era dedicato una volta lasciata la politica. Lei sapeva le lingue, era traduttrice e giornalista, a Roma ha lavorato per lâagenzia di stampa âRia Novostiâ». Minori erano le affinitĂ con la madre, di cui peraltro non apprezzava il nuovo compagno. Anna, oggi insegnante in pensione, ricorda anche i racconti del carcere, di zia Adele: «à lĂŹ che ha letto, ha studiato, lei che aveva dovuto lasciare la scuola dopo la terza elementare. Mi diceva che per le detenute politiche â tra le quali Camilla Ravera â le condizioni erano durissime».
Quando Anna si Ăš iscritta al Pci (come anche Angela e vari altri membri della famiglia) e partecipava alle manifestazioni negli anni del Sessantotto, «zia Adele poi mi chiedeva comâera andata, se câera stata partecipazione⊠e mi raccomandava sempre: âattenti agli estremismi che possono dividere il partito. Noi abbiamo lottato tanto per restare compatti pur nelle differenzeâ.
Un altro messaggio forte riguardava lâunitĂ e lo spirito di collaborazione delle donne alla Costituente, presente anche tra comuniste e cattoliche: âin fondo, diceva zia Adele, ciĂČ che predicava il cristianesimo Ăš quello che vogliamo noi comunistiâ».
Toscana. Bianca Bianchi era una delle due socialiste dellâAssemblea Costituente (insieme a Lina Merlin).
Bianca Bianchi
1914 â 2000
Socialista
«Dal 1946, quando fui eletta deputato per la prima volta, mi chiedo ancora quale significato possa avere la presenza della donna nella vita politica, quale influenza possa esercitare nella logica del partito, fino a che punto le sia possibile sviluppare la libera iniziativa, le naturali qualitĂ di intuizioni e di essenzialitĂ , quanta responsabilitĂ possa conquistare al centro del sistema e quanti problemi scomodi possa sollevare senza essere emarginata. PoichĂ© gli uomini âmaschiâ controllano il potere, la âpoliticaâ. Alla donna che si avvicina al punto focale vengono chieste credenziali piĂč pesanti e i ruoli che le vengono affidati sono circoscritti a settori considerati âprepoliticiâ, quasi una continuazione del âquotidianoâ: la famiglia, la sanitĂ , i servizi sociali, lâassistenza agli anziani e cosĂŹ via. (âŠ) Non câĂš una politica per gli uomini e una per le donne perchĂ© i problemi umani non hanno sesso»: in queste parole taglienti e disincantate â oltre che estremamente attuali â câĂš lâessenza della socialista Bianca Bianchi, che qui (siamo nel 1988 e lâintervento Ăš scritto per i 40 anni della Costituzione) sembra tracciare un bilancio negativo anche della propria esperienza. Eppure la parlamentare toscana non Ăš stata certo inerte, nel corso di una vita allâinsegna della tenace affermazione delle proprie ragioni.
Nasce a Vicchio, in provincia di Firenze, il 31 luglio 1914 da Adolfo e Amante Capaggi. Il papĂ Ăš il fabbro del paese, la mamma casalinga, lei Ăš la secondogenita dopo Margherita. Le difficoltĂ economiche non mancano, nella vita quotidiana, ma la situazione precipita quando muore Adolfo. Bianca, a sette anni, perde chi la capisce, chi le insegna cosa vuol dire il socialismo e stare dalla parte dei poveri. Amante e le due sorelle si trasferiscono a Rufina, a casa dei nonni materni. Nonno Angiolo, contadino antifascista, entra subito in sintonia con la piĂč piccola, la stimola a studiare e grazie a lui Bianca si iscrive allâIstituto magistrale, a Firenze, e poi alla facoltĂ di Lettere e Filosofia, laureandosi nel 1939 (successivamente anche in Pedagogia). Il professor Ernesto Codignola la segue per la tesi, dedicata al pensiero religioso di Giovanni Gentile e pubblicata un anno dopo, a conferma delle spiccate doti della ragazza nellâuso della parola, virtĂč che piĂč tardi dimostrerĂ anche nellâoratoria.
Bianchi trova subito lavoro nella scuola, ma dopo un peregrinare tra Genova e Cremona, viene spostata in Bulgaria, dove insegna lingua italiana: in piena epoca fascista, con le leggi razziali in vigore, la sua pervicacia nello spiegare ai ragazzi gli elementi della cultura e della storia ebraica non le era stata perdonata. Lâesperienza oltreconfine dura un anno, Bianchi torna nel giugno del 1942 e, caduto Mussolini, dĂ il suo contributo alla Resistenza distribuendo volantini e trasportando armi.
Lâurgenza della partecipazione alla vita politica si manifesta con la fine della guerra, durante un comizio a Firenze (dove nel frattempo ha ripreso a insegnare, al Liceo classico Galilei). Come racconta lei stessa, in uno dei suoi scritti, nella primavera del â45 il democristiano Giancarlo Zoli stava parlando alla folla e anche lei era in ascolto: «Le cose che disse lâoratore mi spinsero verso orizzonti opposti. Non ero preparata. Ma quando lui finĂŹ e chiese se qualcuno voleva esprimere la sua opinione, io mi alzai e domandai la parola. Parlai con passione, entusiasmo: le sofferenze passate mi premevano dentro, lo chiamai âpompiereâ perchĂ© mi pareva volesse spegnere il fuoco della speranza e di rinnovamento. La gente aveva bisogno di idealitĂ . Voleva riconquistare la dignitĂ umana, era disposta ad assumersi responsabilitĂ faticose o almeno cosĂŹ credevo: sentivo di pormi gli stessi interrogativi di chi mi ascoltava, di parlare il linguaggio che avrebbero usato loro stessi». Risulta efficace e coinvolgente, Bianca Bianchi, tanto che le si avvicinano degli esponenti socialisti e la invitano ad andare alle loro riunioni. Il passo, da lĂŹ alla candidatura nel 1946 nel Partito Socialista Italiano di UnitĂ Proletaria (Psiup), Ăš breve dopo che la giovane riscuote il consenso dei cittadini in tanti comizi, in cittĂ e in provincia.
Presto, perĂČ, arriva il primo schiaffo: se nel congresso provinciale viene indicata come capolista, da Roma il partito contrasta la scelta e impone la forte personalitĂ di Sandro Pertini. Non solo: le presenteranno un foglio, racconterĂ lei tempo dopo, con le dimissioni âin biancoâ da deputata (che ovviamente, indignata, rifiuta di firmare). La risposta degli elettori, il 2 ...