PARTE III
Educare, educarsi,
essere educati
11.
Il patto generazionale
di Francesco Berto
Forse è un poâ come dire che i bambini saranno meno a disagio se gli adulti potranno essere un poâ meno a disagio⌠Ad ognuno è richiesto di far trasparire, di rendere piĂš visibile la centratura sui bambini e sulle loro relazioni e quindi di rendere piĂš chiara la propria relazione con lâattivitĂ specifica e con lâattivitĂ svolta insieme.
Franca Olivetti Manoukian
11.1 IL TRIANGOLO EDUCATIVO
Osservare il triangolo educativo che si compone collegando i tre vertici segnati dallâalunno, dal mondo scolastico e infine dalla famiglia è sicuramente complesso poichĂŠ implica analizzare una molteplicitĂ di relazioni che si intrecciano.
Possiamo allora guardare questi tre vertici e il perimetro che li unisce.
La difficoltĂ del rapporto tra il mondo scolastico e i ragazzi con le loro famiglie è dovuta allâimportante cambiamento sociale di cui siamo tutti partecipi.
Gli insegnanti infatti stanno educando le nuove generazioni in un tessuto sociale complesso per la grande accelerazione che hanno i cambiamenti tecnologici, da cui derivano poi i mutamenti culturali, ma anche negli stili di vita delle famiglie e quindi dei giovani. In tale continuo mutare delle certezze è davvero difficile capire come dare un senso al futuro delle nuove generazioni.
Lâadolescente, soggetto per definizione mutevole, inquieta allora perchĂŠ, come adulti, a nostra volta non ci sentiamo insediati in posizioni certe.
Alle giĂ incerte trasformazioni dei ragazzi corrispondono nel mondo dei grandi tante insicurezze.
Tutto queste incertezze che sâincrociano fanno sentire ognuno fragile, incerto e timoroso.
E i ragazzi rischiano di smarrirsi, essere lasciati soli, non ancorarsi al sapere umano.
Sapere che è conoscenza teorica, ma anche conoscenza dellâimportanza dei legami tra le persone.
Sono molti gli insegnanti che si stanno chiedendo: âInsegnare oggi cosa vuol dire?â.
In passato lâinsegnante aveva una posizione di prestigio e questo lo consolidava nelle sue relazioni sia con gli alunni che con le loro famiglie.
La societĂ lo considerava infatti un professionista importante. Oggi invece le cose sono radicalmente cambiate. Maestri e professori osservano, con rammarico, il ruolo, molto svilito, che gli altri attribuiscono loro e si sentono squalificati sia dagli alunni che dai genitori. Tutti sappiamo quanto faccia male essere visti con poca considerazione.
Lo stesso però accade allâadolescente; infatti, per ogni ragazzo è molto importante come gli altri lo guardano, e troppo spesso lo si osserva come uno stravagante alieno.
Forse è un poâ dâinvidia per la sua giovinezza.
Forse ci sono anche giovani strani che non riusciamo proprio a capire.
Certamente però ci sono anche adolescenti belli, affascinanti, interessati a imparare, a conoscere e a discutere.
La scuola questo deve ricordarlo, altrimenti rischia di perdere quella che è la sua grande ricchezza: lâinsegnamento a chi è lĂŹ per imparare.
Insegnare è trasmettere le diverse discipline attraverso la figura dellâinsegnante. Le caratteristiche che affascinano i giovani sono proprio lâamore del docente per il sapere, la sua perizia nel sedurre con ciò che spiega, la sua abilitĂ di narratore, fabulatore, incantatore.
Se lâinsegnante se lo dimentica presta il fianco a chi chiede di tutto al mondo scolastico. E la scuola rischia di essere caricata di impegni che non le appartengono come curare o assistere.
Eppure basterebbe ricordare come la conoscenza sia una delle cose che âguarisconoâ di piĂš.
Lâappassionare i ragazzi alla scoperta del sapere permette loro di essere vivi e vitali. Sani.
Lâinsegnante allora stabilisce una relazione con lo studente attraverso un oggetto specifico che è la sua materia di studio. E se imparare fa cambiare e crescere, cioè cura gli allievi, questo è solo un effetto che osserviamo sempre con grande piacere. Ă infatti molto avvincente vedere le loro menti formarsi, i loro ragionamenti divenire complessi, le loro idee moltiplicarsi.
Alle volte, è però anche difficile entrare nel loro mondo interiore. Gli alunni non sempre si lasciano coinvolgere.
I docenti allora devono avere tanta passione per ciò che insegnano e dallâaltro lato devono trovare il modo per lasciar transitare quello che dicono.
Può tornare a questo punto valida lâidea di dare vita a gruppi di discussione nella classe quali momenti importanti per coinvolgere i ragazzi. Ma il vero punto cruciale del valore che in una scuola assume lâapprendere, sono le relazioni tra il gruppo degli insegnanti della classe.
Comâè quel gruppo?
Può essere capace di condividere la tensione verso la trasmissione del sapere, può essere impegnato a offrire solidarietà umana, può essere in grado di dare cioè il buon esempio, ma può anche essere molto conflittuale fino a dare il cattivo esempio.
Intervenire sulle difficoltĂ di apprendimento dei giovani significa allora fare tra colleghi, con chi perlomeno ne ha voglia, un percorso collettivo che permetta di discutere e confrontarsi.
Il tema da analizzare tra colleghi è proprio come capire, dare significato e interrogarsi sul modo di sentire di ogni studente.
Lâinsegnante può infatti trovare canali mentali aperti, ossia ragazzi disponibili che si lasciano coinvolgere e canali chiusi, ossia ragazzi che hanno delle dighe che non permettono a nessuno di entrare.
Quando si trovano queste barriere esse sono il frutto della storia di vita degli adolescenti.
Troviamo storie familiari ed educative che non hanno determinato la possibilitĂ per questi ragazzi di fidarsi e di affidarsi.
Il problema del rifiuto scolastico sta allora nellâaccettazione, da parte degli allievi, della dipendenza.
Sono gli adolescenti che, in apparenza, si atteggiano come piĂš autonomi quelli che invece hanno maggiormente bisogno dâimparare a dipendere. Sono cioè gli studenti che non si applicano, che non fanno mai i compiti, che non ascoltano nessuno, che sono arroganti e presuntuosi, quelli che hanno piĂš paura di lasciarsi andare.
Ma questi giovani hanno timore di affidarsi agli altri perchĂŠ hanno incontrato degli adulti che non hanno offerto loro, con continuitĂ e con sicurezza, una valida dipendenza.
Nessun adulto è stato dunque sufficientemente dâaiuto alla loro crescita negli anni precedenti.
Adesso si potrebbe provare facendoli studiare. Rammentiamo infatti che la dipendenza può essere allenata anche nello studio e non è quindi un effetto solo dei rapporti umani.
Leggere quello che ha detto un altro, fare spazio nella propria mente per le conoscenze altrui implicano infatti saper dipendere da quegli autori oltre che dallâinsegnante che li propone.
Pensiamo alla materia che ci è piaciuta di piÚ o di meno. Non è forse vero che ci piaceva o non ci piaceva il professore di quella disciplina?
Se i ragazzi non vogliono imparare allora è perchÊ hanno paura che qualcuno entri in loro.
Hanno paura di amare.
Hanno timore di ospitare chi è loro estraneo.
Allora osteggiano ogni relazione.
Come superare però lâostacolo?
Bisognerebbe trovare una giusta misura tra lâinsegnante che vuole continuare col suo programma disinteressandosi dei ragazzi che non lo seguono e il docente che invece passa lâora di lezione a parlare con gli studenti dei loro problemi dimenticandosi di far scuola.
Nessuno di questi due estremi corrisponde infatti a un modello dâinsegnamento valido.
Ma la misura tra istruire a oltranza e relazionarsi con eccessivo coinvolgimento è difficile da trovare.
Gli insegnanti allora, a loro volta, stanno maturando nuove competenze.
E, come degli adolescenti, stanno passando unââadolescenza professionaleâ fatta dalla scoperta di nuovi strumenti e nuove prospettive di lavoro.
Mentre fanno questa ricerca vivono però un periodo di dubbi in cui è necessario che oscillino tra le diverse posizioni e quindi devono accettare di non sapere già come regolarsi.
La vera risorsa in questo senso per affrontare la crescita dei ragazzi è lâessere in ricerca.
Significa disponibilitĂ a muoversi di fronte alle diverse situazioni.
Significa decidere sul campo.
Significa non assumere atteggiamenti inflessibili, rigidi, indiscutibili.
La risposta è allora flessibilitĂ , ricerca, accettazione dellâincertezza. Torna in mente il ragazzo con tutta la sua insicurezza su come arrivare a definirsi, a sentirsi se stesso, a differenziarsi.
Lâadolescenza è allora un periodo buio perchĂŠ si è in ricerca, ma è anche un periodo luminoso perchĂŠ porta a nuove scoperte.
Lâadolescenza è infatti un momento di rifondazioni di un progetto di vita.
E se penso agli insegnanti credo di poter immaginare che siano in unâepoca di rifondazione del senso del loro mestiere.
Lâimportante è che ne parlino tra di loro per trovare parole con le quali dialogare con gli alunni.
Penso infatti che gli adolescenti piĂš sono in difficoltĂ meno sanno parlare.
Agiscono allora con il loro corpo e sul loro corpo.
Basti pensare a quanta sofferenza può creare la trasformazione del corpo puberale con tutte le metamorfosi che porta con sÊ.
Quando è troppo difficile crescere compare magari lâanoressia o la bulimia.
Quando è troppo difficile non sapere chi si è, compaiono piercing esagerati e tatuaggi invasivi.
I ragazzi oggi sono anche confusi nel processo della differenziazione di genere. Non sanno come interpretare la loro identitĂ sessuale. Vivono un confuso modo di identificarsi con il maschile e il femminile.
E quando sono disorientati raccontano le loro inquietudini di essere omosessuali o di essere lesbiche.
Quindi i ragazzi hanno dei corpi che parlano delle loro sofferenze e che le mettono in evidenza.
Ma gli adolescenti ci narrano di se stessi anche con i loro comportamenti.
Pensiamo al fenomeno del bullismo. Consideriamo quindi lâadolescente che fa del male a un compagno senza avvertirne vergogna. Questa cattiveria gratuita si colloca nella loro impossibilitĂ dâimmedesimarsi nei panni dellâaltro.
I ragazzi, forse, stanno troppo davanti alla televisione che fa loro provare delle emozioni malgrado non siano percepite da chi è al di là dello schermo.
Le persone che stanno davanti al video sono eccitate o sconfortate senza che nessuno se ne accorga dallâaltra parte.
E questi giovani non si abituano a percepire la necessitĂ di proteggere lâaltro dalle loro angherie poichĂŠ questi altri sono percepiti come dietro a un video insensibile.
La realtà del bullismo è allora molto figlia di un oggetto chiamato televisione che in apparenza parla, ma che non ascolta essendo impossibilitata a immedesimarsi nel suo spettatore.
Pensiamo anche a tutti quei comportamenti di negazione del rispetto verso gli altri. Sono questi dei ragazzi che parlano sempre e che disturbano in modo provocante. Essi, attraverso il loro comportamento, cercano di essere nominati, visti, chiamati. Voluti. Ma non sanno e non possono chiedere aiuto perchĂŠ temono il rifiuto. Se i giovani paventano troppo il disconoscimento diventano anche ragazzi che vogliono negare totalmente la loro dipendenza dalle persone e che, per negare tale dipendenza, passano allâuso di sostanze e alla dipendenza da queste.
I ragazzi ci parlano cosĂŹ con il corpo, con i comportamenti e con gli abusi sempre e solo delle loro paure.
Sono questi ragazzi però anche dei figli spaventati.
Figli che hanno vissuto precocemente delle separazioni intrise di disconoscimento, disinteresse, rifiuto.
Ossia hanno avuto madri e padri molto occupati in qualcosâaltro e si sono sentiti lasciati soli.
Questi atteggiamenti dei genitori hanno portato i ragazzi a una grande paura di fidarsi. Ă come se dicessero: âSe non câè mai stato nessuno a prendermi per mano perchĂŠ devo affidarmi?â.
Ecco perchĂŠ molto spesso i ragazzi non si fidano dei loro professori, hanno paura della âfregaturaâ e mettono i docenti alla prova per vedere se effettivamente sapranno restare al loro posto.
Ciò che potrebbe allora fare la scuola è garantire la continuità nella presenza degli insegnanti.
La possibilità di creare un rapporto di fiducia è anche quella di essere professore di un ragazzo per molti anni. La possibilità viene infatti molto limitata se il docente cambia classe ogni anno.
I ragazzi per affidarsi devono avvertire allora di meno il pericolo dâallontanamento.
Ă questo un allontanamento del docente dalla scuola, un allontanamento dello studente dallâambiente scolastico, un allontanamento emotivo dellâadulto o dei compagni.
Bisogna allora creare dei dispositivi per non perderli di vista.
Ă con questo obiettivo che è utile stabilire unâalleanza con la famiglia.
Dobbiamo però avere in mente quanto è difficile oggi la funzione genitoriale perchÊ la famiglia non è piÚ quella di una volta.
I genitori non sanno piĂš come impersonare il loro ruolo.
Ci sono infatti dei cambiamenti epocali anche nella realtà strutturale delle famiglie (genitori separati, divorziati, famiglie ricomposte). Persino la famiglia tradizionale non è piÚ la stessa, basti pensare al padre affettivo e alla madre in carriera. Queste trasformazioni hanno creato delle gravi incertezze da cui sono emerse eccessive vicinanze e lontananze dai figli.
Parlare con madri e padri non è allora semplice.
Lâidea che i docenti possano occuparsi delle famiglie apre il triangolo educativo.
Esso rappresenta un nuovo spazio relazionale che diventa luogo di accoglienza per un nuovo patto tra insegnanti e genitori.
Affermando questo penso agli insegnanti che comprendono le realtĂ dei ragazzi e che raccolgono i fantasmi dei giovani che sono anche i fantasmi dei loro genitori. Nessuno sta in classe solo con i ragazzi, ma sta anche con i genitori di questi studenti. Sono mamme e papĂ che si materializzano negli atteggiamenti degli adolescenti. Bisogna decidere allora di voler vedere e di voler dialogare con i genitori degli studenti.
Certo esiste il ricevimento dei genitori, ma quella è unâaltra cosa. Lâinsegnante per poter pensare di parlare con i genitori di un alunno deve aver trasmesso a quello studente la fiducia verso di lui.
Ă la relazione di fiducia che permette di parlare con la famiglia. Non la minaccia di chiamarla in causa.
Sarebbe opportuno che al colloquio con i genitori partecipassero, alle volte, anche gli alunni.
Lâinsegnante non convoca la famiglia per giudicarla, ma per mettere insieme il triangolo.
Conosco la fatica di far venire al colloquio i genitori.
Câè però anche una fatica da parte del genitore che se sente di andare a âprendere le botteâ non viene.
Se si fa sentire al ragazzo che siamo alleati con lui è però piĂš semplice che anche i suoi familiari vogliano parlare con lâinsegnante del figlio. Lâincontro allora deve avvenire nel momento in cui lo studente si sente sicuro di far vedere la sua famiglia ai docenti. E la famiglia va dagli insegnanti quando ha una positiva rappresentazione di essi attraverso il figlio.
Creando climi fiduciosi si rassicura la famiglia che non viene a parlare con lâinsegnante per sentir dire male del figlio o, ancor peggio, per essere colpevolizzata dei comportamenti del ragazzo. Umanamente cerchiamo di evitare di farci del male e quindi anche i genitori rifuggono gli incontri che li mortificano.
Bisogna cercare allora che il clima del colloquio con madri e padri non sia mai attraversato dallâidea del giudizio o della colpa, ma sia ricolmo di unâattenzione che permette di porsi dei problemi. Innanzitutto il colloquio deve essere riparato.
Lo spazio dove allora avvie...