1. Equivoci metodologici
Lâapologetica cattolica ha percorso sempre facili sentieri e continua a percorrerli; anche il nuovo, meglio ultimo Catechismo è sulla medesima linea. Anchâesso, pur meno categoricamente, si propone di consegnare al lettore âvere certezzeâ (n. 31).
Il mistero si può âconoscereâ
Il testo catechistico, come tutti i vecchi manuali di teologia, comincia con un capitolo introduttivo che riprende e ripropone quelli che una volta si chiamavano i preambula fidei. Si tratta di trovare o di stabilire un ponte che dal mondo dellâuomo approdi a quello di Dio. Senza questa premessa, qualsiasi discorso religioso o teologico diventa impossibile, quindi improponibile.
Dio non è un personaggio che si incontra tutti i giorni, nĂŠ dietro le âsiepiâ, nĂŠ in cima ai âmontiâ. Non è un protagonista della nostra storia, anche se, per il credente, ne ispira gli operatori.
Ciononostante il Catechismo è apodittico: âLâuomo è âcapaceâ di Dioâ. Ă la prima anche se sibillina affermazione (cap. I). Pur senza sapere chi egli è (e non lo saprĂ forse mai) lâessere ragionevole può giungere sino a lui âpartendo dal movimento e dal divenire, dalla contingenza, dallâordine e dalla bellezza del mondoâ (n. 32). Anche quando esamina se stesso, âla sua apertura alla veritĂ e alla bellezzaâ, âil suo senso del bene moraleâ, âla sua libertĂ e la voce della coscienzaâ, âla sua aspirazione allâinfinito e alla felicitĂ â, lâuomo può giungere alle stesse conclusioni (n. 33).
Sono le âvieâ classiche della conoscenza razionale di Dio (cfr. Summa Theologica I 2,3), messe in discussione o accantonate dalle nuove, recenti correnti teologiche, ma che ciononostante il testo cerca di rimettere in auge.
Il tema viene ribadito in piĂš modi: âDio, principio e fine di tutte le cose può essere conosciuto con certezza con il lume della ragione umanaâ (n. 36); âcon le sole sue forze e la sua luce naturaleâ; âcon la sola luce della ragioneâ (n. 37). Ritornano poi le espressioni attinte dalla Sapienza (13,1-9), ripetute da Paolo nella Lettera ai Romani (1, 21-25) e citate dal Vaticano I: e rebus creatis, per ea quae facta sunt, âdalle cose createâ, âin virtĂš delle cose (da lui) fatteâ (DS 3004) (nn. 32, 36).
Il Vaticano I era piĂš esplicito: stabiliva un rapporto tra la realtĂ creata e Dio âcome da effetto a causaâ (tamquam causam per effectus), in grado di portare ad una dimostrazione logica dellâesistenza divina (ideoque demonstrari etiam posse) (DS 3538).
Il Catechismo evita queste due espressioni, ciononostante afferma la stessa cosa quando asserisce che su tali basi âsi può pervenire ad una conoscenza vera e certaâ (n. 37) o che Dio âpuò essere conosciuto con certezzaâ (nn. 36, 47). Non si tratta di âproveâ sullo stesso piano âdelle scienze naturaliâ, ma sempre di âargomenti convergenti e convincenti che permettono di raggiungere vere certezzeâ (n. 31). Dovrebbe perciò ritenersi inescusabile chi non vi arriva, ma non è detto, è affermato caso mai in sordina.
Un discorso accademico
La storia del cammino dellâuomo sulla terra non sembra dare ragione alle affermazioni del Catechismo. Gli estensori perciò precisano che quanto essi dicono ha valore solo in linea di principio, meno o affatto sul piano pratico. Infatti ânelle condizioni storiche in cui lâuomo si trovaâ, âa causa delle tendenze malsane nate dal peccato originaleâ (n. 37), le sue attitudini si sono indebolite, addirittura confuse (cfr. n. 38). Oltre a ciò âlâignoranza o lâindifferenza religiosa, le preoccupazioni del mondo e delle ricchezze, il cattivo esempio, le correnti di pensiero ostili alla religioneâ (n. 29) creano gravi difficoltĂ , spesso insormontabili, alla conoscenza dellâEssere ultimo, priva dâerrori e accessibile a tutti (cfr. n. 38).
La conoscenza naturale di Dio, pur affermata e riaffermata solennemente, è alla fine solo teorica; di fatto occorre un aiuto straordinario dello stesso Creatore (ârivelazioneâ) per arrivarvi (n. 38). Ma le basi di un tale ragionamento non sembrano garantite.
Il Catechismo suppone uno stato di natura pura che è difficile dimostrare e che probabilmente non è mai esistito. Lâipotesi parte da unâinterpretazione storicistica del testo biblico (Gn 1-2) che non è piĂš comune tra gli studiosi. La supposizione che lâuomo attuale sia in una situazione di disagio morale, addirittura di colpa congenita che lo tiene lontano da Dio e dalla veritĂ , è del tutto gratuita. Il mito dellâetĂ dellâoro e dellâEden biblico sono eziologie, ossia proiezioni retrospettive che nascono dallâaspirazione fondamentale dellâuomo alla felicitĂ , allâequilibrio, alla pace.
La storia dimostra che lâuomo è nato nella caverna e ne sta uscendo fuori lentamente con le sue capacitĂ e forze fino a costruirsi il suo mondo e a stabilirvi la sua felice esistenza. LâEden deve ancora venire, non è storia passata, si può dire anticipando quanto verrĂ spiegato a proposito dei nn. 355-421.
Lâuomo nel suo stato naturale è sensibile, intelligente, volitivo, ma anche ottuso, egoista, perverso; lâequilibrio delle sue facoltĂ non è un dono di natura, ma una sua faticosa conquista. Il trionfo del bene sul male, sullâistintivitĂ , è al termine dellâevoluzione fisica e spirituale a cui è chiamato e a cui va incontro.
Lâessere ragionevole che si guarda attorno vede gli orrori e le meraviglie del creato, lâirrazionalitĂ coesistere con la perfezione. Le âcinque vieâ di san Tommaso sono unâastrazione filosofica, non una fotografia del reale che ognuno può scattare a piacimento.
La maggior parte degli interpreti della storia umana e cosmica propende per una soluzione dualistica del problema dellâessere. Essi pongono allâorigine del tutto un principio per ciò che di buono si registra e un altro per quanto di malvagio vi accade, perchĂŠ sembra assurdo che lâordine e il disordine possano provenire da unâunica sorgente. Il male fisico e morale, la ferocia, la crudeltĂ tra gli esseri inferiori, al pari della delinquenza tra gli uomini, creano gravi addebiti allâesistenza di un principio buono posto allâorigine di ogni cosa. La ragione non riesce a conciliare gli estremi della situazione cosmico-antropologica.
Se lâuomo si lascia guidare dalla sola ragione finisce nellâateismo o nel nichilismo. La ragione spiega poco o nulla delle contraddizioni che la grande storia presenta. I cataclismi naturali o causati da perturbatori di turno, le stragi, le oppressioni e soprattutto la sofferenza che non esenta nĂŠ colpevoli nĂŠ innocenti non trovano adeguate risposte, soprattutto non si vede come si possano conciliare con lâesistenza di un essere veramente preoccupato della felicitĂ dellâuomo.
Il Catechismo, citando un testo dellâHumani Generis di Pio XII, fa appello alla âlegge di naturaâ che fa sentire la sua voce nelle profonditĂ della coscienza e che in ultima analisi è il riflesso di una volontĂ superiore (n. 37), ma sono sempre suggestioni. Per il âcannibaleâ la legge di natura è divorare il proprio simile, come per lâuomo âcivilizzatoâ è ânaturaleâ defraudarlo. Ciò che risponde alle leggi di natura e ciò che è contrario è, il piĂš delle volte, frutto dellâeducazione, della cultura, della consuetudine piĂš che di un autentico incontro con la realtĂ ultima.
La fragilitĂ del linguaggio
Il Catechismo dĂ segno di essere al corrente dei risultati della moderna filosofia del linguaggio, ma lascia lâimpressione di non tenerne in eccessivo conto (nn. 39-43). Le capacitĂ conoscitive dellâuomo sembrano essersi al momento attuale ridotte. GiĂ il mondo fisico o fenomenico è di difficile osservazione e comprensione perchĂŠ si è microsezionato allâinfinitesimo.
Si può descrivere qualche oggetto che passa davanti agli occhi ma la sua âintelligenzaâ (lâintus legere, il âleggere dentroâ) non è accessibile perchĂŠ i riflessi esterni non ne lasciano trapelare la natura intima, la sua âsostanzaâ, âessenzaâ come dicevano i filosofi medievali.
Lâadaequatio intellectus ad rem, la âconformitĂ dellâintelligenza alla cosaâ, cioè la comunicazione della mente umana con le profonditĂ stesse dellâessere, è diventata un sogno.
In una concezione statica del reale in cui le cose come sono al momento attuale sono sempre state e sempre saranno, si poteva cullare lâillusione di un incontro âdefinitivoâ con la realtĂ ; ma in una concezione evolutiva dellâessere, in cui se non nel corso di una generazione, nel corso del tempo le cose si modificano, si trasformano, la conoscenza, giĂ di per sĂŠ superficiale, è solo relativa, vale cioè per un certo periodo e non oltre. Il provvisorio ha preso il posto dellâassoluto; lâarea dellâopinabile si va estendendo a discapito di quella del dogmatico.
Il linguaggio appare sempre piĂš un mezzo convenzionale di comunicazione. Si danno nomi, significati soprattutto o solo per poter parlare, per intendersi, per non ritrovarsi in unâeventuale Babele, nellâumana convivenza.
La comunicazione con le ipotetiche realtĂ spirituali, con gli esseri che non fanno parte del mondo visibile, in altre parole con Dio, non ha nemmeno le categorie idonee per essere affrontata. Il linguaggio religioso è oltremodo precario, soggettivo piĂš di quello comune perchĂŠ la realtĂ che cerca di cogliere o definire non è oggetto di una diretta conoscenza. Non è tra le âcoseâ che lâuomo può almeno vedere, toccare, anche se non riesce a comprendere. Il discorso su Dio è sempre ipotetico: tutto quello che si dice o si può dire è pura immaginazione.
Non câè alcuna possibilitĂ di verifica. Si può accettare o non accettare, non però in base a una consequenzialitĂ logica, ma solo a unâadesione fiduciosa.
La portata del linguaggio umano, in particolare di quello teologico, è illustrata da molteplici pubblicazioni; non occorre che venga ricordata piÚ a lungo in queste righe.
Il Catechismo sembra ridimensionare le sue affermazioni quando precisa che âle prove dellâesistenza di Dio possono disporre alla fede ed aiutare a constatare che questa non si oppone alla ragione umanaâ (n. 35). Era il punto da cui si poteva o doveva cominciare. Oppure dallâanaloga osservazione presente nel n. 42: âLe parole umane rimangono sempre al di qua del Mistero di Dioâ.
Se ciò è vero, che peso hanno ancora le asserzioni dellâintero capitolo primo?
2. âUn Dio che parlaâ
Lâessere ragionevole con le sue capacitĂ naturali può arrivare a conoscere Dio, ma di fatto per varie ragioni non vi arriva (cap. I). Tutte le esperienze religiose che ha compiuto e compie sâarrestano a metĂ strada. Ă la premessa, anche se indimostrata, per passare alla manifestazione spontanea e âliberaâ (ârivelazioneâ) di Dio allâuomo (cap. II).
Il circolo chiuso
Le carenze conoscitive dellâuomo sono cancellate gratuitamente da Dio che âviene incontroâ alla sua creatura prediletta âsvelando il suo Misteroâ, âil suo disegno di benevolenzaâ (n. 50).
Quindi in concreto per andare sicuri al termine bisogna passare non piĂš o non solo attraverso la ragione, ma attraverso la ârivelazioneâ, in pratica lâesperienza religiosa ebraico-cristiana o cristiano-cattolica semplicemente. E non attraverso le testimonianze storico-religiose dei rispettivi popoli, ma attraverso i âlibri sacriâ che i profeti, i legislatori, i sapienti israeliti o i predicatori cristiani hanno lasciato. In concreto Dio si manifesta attraverso il libro per eccellenza, la Bibbia, chiamata per questo la sua âParolaâ (nn. 101-130). E poichĂŠ la parola scritta è âletteraâ, se non morta senzâaltro muta, occorre chi la sappia leggere e interpretare nel giusto senso. A questo scopo câè, anche se non si sa bene da chi sia stato costituito, un gruppo di maestri autorizzati a deciderlo.
Tutto quello che di Dio si può conoscere o da Dio può essere stato detto, tutto il complesso di informazioni sul cosmo, sullâuomo, sullâesistenza presente e futura, sui comportamenti da assumere per piacere a lui, tutto è scritto nella Bibbia, contenuto nella tradizione della Chiesa ed è conosciuto con sicurezza irrefragabile dai dottori dâufficio che sono anche i giudici inappellabili di quanto è contenuto nel âdepositoâ della veritĂ o della fede (1Tm 6,20; 2Tm 1,12-14) (nn. 74-100). Un passaggio obbligato: per Iddio che tuttavia può trovare sempre qualche scappatoia, ma soprattutto per lâuomo che non ha altri percorsi se vuole confrontarsi con lui.
La rivelazione è una e unica. Non ci sono state e non ci saranno altre âvieâ per questo incontro privilegiato con Dio al di fuori di quella ebraico-cristiana (nn. 65-73). Per ritornare a Dio attraverso la sua âmanifestazioneâ bisogna passare attraverso le proposte, le spiegazioni, gli insegnamenti dei maestri di turno poichĂŠ lâaccesso alla âParolaâ è precluso al privato, al semplice credente. La trafila è chiara: per parlare con Dio, conoscere soprattutto il suo volere, non bisogna ricorrere a GesĂš Cristo o ai profeti ma occorre passare attraverso la âgerarchia cattolicaâ, lâunica con cui egli attualmente tratta. Lâextra ecclesiam nulla salus ha anche questo significato.
I tre articoli del cap. II del Catechismo girano attorno a questo âcerchioâ; lo esaminano, lo spiegano e quindi lo chiudono ermeticamente: o si è dentro o si è fuori. In pratica lo stesso testo catechistico è un anello, lâultimo, della catena. Esso raccoglie sinteticamente e piĂš ancora manualmente tutta la manifestazione di Dio ad extra, quello che egli ha voluto far sapere di sĂŠ, del suo progetto, della sua realizzazione, della sua conclusione nel tempo e nellâeternitĂ .
Il fedele, come anche il pastore dâanime, non deve perdersi dietro tante ricerche, frequentare archivi e biblioteche; tutto è a portata di mano: il meglio che i suoi âmaestriâ passati e presenti possono offrirgli.
Nonostante oggi non riscuotano tutto lâinteresse dovuto, tuttavia ancora âsopravvivonoâ i testi del Vaticano II, ma non sono cosĂŹ facili, chiari, comodi, anzi a volte sono âtendenziosiâ, possono confondere piĂš che illuminare. Il Catechismo porta luce anche su di essi, come su tutte le scuole teologiche presenti nel mondo cattolico.
La Chiesa è una, nel vivere, nel celebrare, ma soprattutto nel pensare e nel parlare. Il Catechismo le ridona quella compattezza che la âdemocraziaâ, che andava serpeggiando nelle chiese nazionali e nelle comunitĂ locali, sembrava compromettere. Il decreto pontificio che âpresenta e promulgaâ il testo (Fidei depositum) vuol togliere ogni dubbio sulla portata non soltanto pastorale ma dottrinale, per non dire dogmatica, dellâepitome.
Il Catechismo è un ritorno alla tradizione. Lâindice analitico rivela tutto il suo legame col passato, con i simboli della fede, i concili ecumenici, i concili e i sinodi, i documenti pontifici, i documenti ecclesiastici, il diritto canonico, la liturgia, gli scrittori ecclesiastici. E nessun nome che non sia in perfetta regola con lâortodossia. Tutte persone e documenti rispettabili, ma non sono forse i piĂš indicati se si mira a una traduzione della proposta cristiana agli uomini del 2000. Possono essere utili sul piano storico per comprendere lâesperienza cristiana del passato, ma non sul piano pastorale per impostare nel modo migliore quella del futuro.
Una tesi da dimostrare
Lâipotesi della manifestazione di Dio allâuomo (ârivelazioneâ) è meno evidente della conoscenza naturale di Dio da parte dellâuomo, ma non può essere in partenza dichiarata inammissibile. La pretesa che Dio si sia fatto conoscere solo a determinati protagonisti, alla luce delle nuove correnti teologiche che circolano al di fuori e allâinterno delle chiese cristiane, si va rivelando sempre piĂš insicura.
I profeti sâincontrano nella storia di tutti i popoli e hanno tutti pari diritto di ascolto. Se per i cristiani il profeta è GesĂš di Nazaret, ciò non può impedire che nel corso dei secoli, nellâimmensa latitudine e longitudine del globo, non siano sorti e non sorgano altri portaparola dellâAltissimo per i popoli e gli uomini che vivono loro accanto.
Iddio è sempre al di sopra dei settarismi dei suoi reali o sedicenti fiduciari. PerchÊ è Dio e non un uomo, egli dona tutto a tutti e a nessuno nega i suoi favori. I cr...