Accendere il fuoco
Per raccontare una storia non bisogna credere di avere la verità in tasca, ma essere cantori del forse, del dubbio, del ma. Far in modo che i pensieri e le idee si accendano, prendano luce per rischiarare chi legge. Provo a rendere possibile questo compito lasciandomi guidare dai sensi. Entrando in contatto col nostro corpo sentiamo nascere risposte e domande, facciamo memoria che è risposta del perchÊ siamo cosÏ e del come viviamo gli eventi.
Quello che abbiamo udito
Abbiamo sviluppato molto il senso dellâudito nel bisogno di ascoltare la complessitĂ dei giorni che ci è toccato vivere. Ci siamo allenati ad accogliere il detto e il non detto delle notizie. Tutto si è trasformato in inclinazione verso lâaltro.
Ispirati da quello che ci dice lo Spirito
Lâascolto attento di tante informazioni e situazioni mi ha permesso di sintonizzarmi sulla banda larga della realtĂ . Sono diventato capace di vivere una duplice posizione, incarnata e impegnata e al tempo stesso slegata e libera. Affinare lâascolto mi ha dato la possibilitĂ di non poter smettere di camminare. Sicuro di ciò che mi mancava, capivo che ogni realtĂ in cui ci si viene a trovare è sempre provvisoria, e che la ricerca va avanti. Che ci deve essere dellâaltro. Lasciandomi abitare da ciò che ancora non è visibile ho colto che è lâattuale civiltĂ tecnologica ad aver reso possibile e diffusamente praticato uno scambio, un commercio di merci, persino di uomini-merce, la cui rapiditĂ e intensitĂ ne impedisce il controllo. Ă il mondo globalizzato, ridotto a uso e consumo omologato, a impedire autentiche relazioni fra gli uomini, ad allontanare lâuomo dalla natura, che sia suolo natio o terra promessa, avvicinabili solo lentamente, passo a passo, con confidenza amorevole e quotidiana. Ă lo sfruttamento intensivo del suolo, a desertificare, inquinare, squilibrare ogni ambiente terrestre, stipando innumerevoli esseri umani in immonde megalopoli, prive di umanitĂ e realtĂ 13.
Quando gli uomini sopravvivono esclusivamente âsupportatiâ da una tecnologia che domina incontrastata e incontenibile, osannata benchĂŠ altamente infettiva e parassitaria, la vita umana viene meno. Abbiamo bisogno che ciò che facciamo possa cambiare almeno un poâ il mondo, portando la nostra impronta personale, unica. Questo è il nostro mandato, il nostro contributo possibile alla creazione14. Ă la scintilla che ci fa simili al Padre, unico vero creatore. Noi non possiamo creare le cose dal nulla, ma possiamo dare una forma personale. Gli impegni vissuti bene non hanno piĂš bisogno di tempo libero ma piuttosto di tempo festivo. Un tempo pensato non solo per fare cose finalmente spensierate, ma anche e soprattutto per coltivare le relazioni e per rinforzare i legami.
Questo è ciò che penso e forse è ciò che pensi anche tu, che stai leggendo. Sento di suggerire a me stesso, a chi voglio bene, agli altri, di ripartire da ciò che ci sta dicendo la nostra interioritĂ , la nostra spiritualitĂ . Credo che, nel tempo che abbiamo vissuto, la componente intellettuale, la componente sensibile, che ci aiutano a âdare le formeâ, sentono il bisogno di farsi ispirare un poâ di piĂš da quello che lo Spirito ci dice di fronte a questi fatti, per non dare spazio a una deriva tecnocratica, a forme di razionalismo esasperato o a fredde forme economiche. Ci viene rimandata la necessitĂ di superare il produttivismo per tornare a generare. Generare richiede il prendersi cura, per poi lasciare andare ciò di cui ci si è preso cura. Il produttivismo, che determina la nostra incapacitĂ a stare fermi, spinge a moltiplicare indefinitamente le cose, ha a che fare con il consumo. Certo non con la salvezza, che invece ha a che fare con la pienezza della vita. Pienezza di vita che sta nella fragilitĂ . Dobbiamo assumere la fragilitĂ come condizione di opportunitĂ e come condizione permanente. Ă dalla cura della fragilitĂ che si genera la creativitĂ umana.
Per rigenerare lâumanitĂ
La fragilitĂ e il limite ci costituiscono. Non solo alla nascita e alla morte, ma durante tutta la vita ogni aspetto dellâesistenza è segnato e reso significativo da limiti. La natura, gli altri, la sofferenza, il dolore, la libertĂ sono abissali limiti per noi umani. Li esperiamo, ma senza comprendere appieno i loro perchĂŠ. Solo nella consapevolezza dei propri limiti lâuomo potrĂ attendere un soccorso da parte di Dio, trascendente ogni presunzione, ideologia o idolatria umana. Solo comprendendo la propria limitata finitezza, lâuomo potrĂ riconciliarsi con la natura, con gli altri esseri umani, con ogni realtĂ visibile o ignota. Fino a ieri eravamo abituati a fare i conti solo privatamente. E proprio per questo ne siamo rimasti facilmente travolti. Da qui il diffuso senso di angoscia, con il paradosso che non ci siamo mai sentiti cosĂŹ minacciati, anche se da un certo punto di vista non siamo mai stati cosĂŹ sicuri. Per cogliere il valore vero della precarietĂ occorre essere disposti a farsi toccare dalla realtĂ nella sua multiforme e contraddittoria complessitĂ . Dove niente è mai solo bello e solo brutto, solo buono o solo cattivo. La prossimitĂ alla condizione concreta della vita è unâurgenza che va assunta come via per rifondare la nostra umanitĂ .
La coscienza della precarietĂ condurrĂ su cammini volti a un nuovo equilibrio fra attivitĂ umane e natura, fra persone e persone, facendo capire che la tecnologicizzazione della vita non è un progresso felice e infinito, ma anche che non potrĂ essere, una mera decisione umana, dallâoggi al domani, persino se presa di comune accordo da tutti i centri di potere mondiali. La tentazione di superare di nuovo la fragilitĂ con la potenza è dietro lâangolo. La si legge nelle domande e nei pensieri: troveremo un altro vaccino e saremo a posto; risistemeremo i conti pubblici e saremo a posto, manteniamo la distanza e saremo a posto. Per caritĂ , sono cose importanti, i vaccini, i conti pubblici e la distanza. Ma non sono quelli che ci portano in una civiltĂ umana piĂš piena, piĂš bella, piĂš giusta. Quella è la strada di prima. E la strada di prima porta a dove siamo adesso, a ciò che abbiamo appena smesso di fare. Piuttosto occorre porsi in preghiera, in ascolto anche delle minime cose, dei piĂš invisibili esseri naturali, di ciò che eccede ogni nostro limite mortale e quindi meglio lo rende visibile, capace di dare orizzonte ai nostri cammini. Nellâascolto, nella misura, nel passo lento, nellâintelligenza non prevaricatrice, nellâamorevole cura per ogni realtĂ e persona, troveremo le risorse intangibili per rigenerare la vita e lâumanitĂ .
Riparare la vita con lâessenziale
La tecnologia è essenziale alla vita umana, lo sappiamo ogni giorno, ma diventa evidente in momenti come quelli che abbiamo vissuto: le mascherine, i respiratori, tutti i dispositivi necessari ad allestire una terapia intensiva. Essenziale è la ricerca scientifica che consente di preparare i vaccini, di fabbricare i farmaci. Sono i momenti come questi che affermano la veritĂ della necessitĂ di investire di piĂš nella ricerca, in quella che sta in ascolto dei bisogni essenziali. Non câè vita umana se non câè ricerca e senza ricerca non câè tecnologia che produce quegli artefatti utili a rendere quanto piĂš possibile buona la qualitĂ della vita. Molti sforzi scientifici sono diretti a rendere il piĂš artificiale possibile la vita, quasi a perseguire il sogno di poter recidere i legami con il mondo naturale sempre troppo imprevedibile.
Proprio perchĂŠ la tecnologia consente di costruire il mondo umano come altro dal mondo della natura, che noi troviamo giĂ , si rischia di dimenticare quello che noi siamo: materia vivente nel tessuto naturale della vita. Un segno dei tempi che deve far pensare è il fatto che lâessere umano è entrato nellâepoca della sua riproducibilitĂ tecnica. Conosciamo lo sforzo per fabbricare lâessere umano come un voler scambiare la vita ricevuta con un prodotto delle nostre mani. Per essere proprietari e cancellare ogni debito di gratitudine e ogni limite. Mai come oggi capiamo invece che la concretezza della nostra condizione umana è la vulnerabilitĂ e lâinterdipendenza. Noi siamo parte della natura. Pensare la vita nella sua complessitĂ e imprevedibilità è azione salutare del pensiero: obbliga allâumiltĂ , a uno sguardo piĂš misurato, a cercare un pensare che anzichĂŠ recidere i legami con la terra ci ricordi che noi siamo fatti della stessa cosa di cui è fatto il resto del mondo naturale:
Dio plasmò lâuomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e lâuomo divenne un essere vivente (Gen 2,7).
Il Signore prende contatto con ciascuno, e prende contatto attraverso la polvere, che è qualcosa di irrilevante e insignificante, ma nella povera polvere ritroviamo le tracce di Dio. Il Signore non ti tocca per farti cadere, nemmeno per darti fastidio, ma perchÊ sei la sua eredità , cioè un bene per gli altri (Is 43,1-7). Ogni volto, ogni uomo, anche il piÚ fragile, esiste grazie a Dio che si è sporcato le mani. E il fatto che Dio si è abbassato, per raccogliere la polvere della terra, significa che nessun uomo è straniero, fragile o maledetto.
Davvero succedono tutte le cose, ma queste non riescono ad essere piĂš forti e grandi del senso di appartenenza. Si ha la percezione che la vita si snoda dentro un costante accompagnamento. Rapportate a Dio queste realtĂ consegnano il senso di una trasformazione costante. Con Lui comunichi non solo quello che ti capita, ma nel momento in cui lo porti alla memoria hai la percezione di essere lavorato da quella realtĂ che ti abita e che con Lui condividi. Ă questo nostro essere parte di un mondo che non possiamo controllare alla radice di quella fragilitĂ che oggi un semplice e terribile virus ci ricorda. La nostra vulnerabilitĂ obbliga ad aver cura della vita. PerchĂŠ la vita ha bisogno di cura. Senza cura non câè vita. Câè una cura che procura quanto è necessario a nutrire la vita e a conservarla. Câè una cura per far fiorire le potenzialitĂ dellâessere, che si fa parte dellâesistere. Câè una cura che ripara le ferite, quelle del corpo o dellâanima, cosĂŹ che il quotidiano camminare nel tempo possa riprendere.
Ascoltare la forza della solidarietĂ
âChi può metta, chi non può prenda.â In questa semplice affermazione popolare, posta sul âpanaroâ nei vicoli di Napoli, câè il mistero della bellezza di chi siamo e di quello che possiamo essere. Il luogo in cui câè gusto è nelle cose quotidiane, vissute con lâapertura del dono, perchĂŠ il dono è da ricevere non da fare. Donare è la ricetta per dare infinito sapore alla vita, perchĂŠ permette di riconoscere la vita nascosta in ogni cosa. In casa, al lavoro, nel dolore, nelle relazioni⌠in tutto, perchĂŠ solo ciò che viene fatto con e per amore diventa vivo. CosĂŹ la vita di sempre diventa la vita per sempre. Ho trovato conforto in una serie di notizie che mi hanno dato gusto e fatto assaporare la vita per sempre.
Sapere che piĂš di settemila medici e moltissimi infermieri si sono offerti per prestare servizio negli ospedali di frontiera della Lombardia dove si combatteva ogni giorno per salvare vite rischiando la propria.
Sentire di tecnici e operari che hanno lavorato giorno e notte per ampliare i posti di terapia intensiva ed equipaggiarli di nuovi ventilatori polmonari.
Vedere gli ultrĂ dellâAtalanta, insieme agli alpini, donare tempo e passione per la realizzazione di un ospedale da campo a Bergamo.
Sapere di migliaia di giovani che hanno fatto la spesa per gli anziani che abitano nelle vicinanze per evitare loro di correre rischi.
Istituire da parte della diocesi di Bergamo un fondo di sostegno di cinque milioni per le famiglie in difficoltĂ .
Apprezzare i finanziamenti stanziati dalla Conferenza Episcopale Italiana che hanno innescato, in assenza di liturgia, il segno della caritĂ .
Vedere che anche il popolo meno disciplinato del mondo ha saputo rispettare regole che limitavano fortemente la vita di tutti perchĂŠ ha capito che si stava vivendo una tragedia immane.
Accogliere aiuti di strumenti e medici da paesi non sempre considerati amici o comunque vicini come Cina, Russia, Cuba, Albania, Polonia. Sono tutti fatti che danno consolazione.
I segni di solidarietà ci hanno fatto grandi discorsi che difficilmente ci era capitato di ascoltare con tanta forza di numero e di impegno. Sono i discorsi che ci aiutano a rispondere ai colpi inferti dalla sorte. Grazie a tutta questa gente comincio, e cominciamo, addirittura a pensare che, se sapremo fare tesoro di questa tremenda catastrofe che ci ha colpito, può anche darsi che la società che ne uscirà potrà essere meno superficiale e meno ingiusta di quella che in questi giorni rimpiangiamo.
Non tutto parla in positivo. Scandalo e polemiche a Las Vegas, dove decine di senzatetto sono stati sistemati temporaneamente âcome autoâ in un grande parcheggio allâaperto. Il rifugio della Catholic Charities è stato chiuso dopo che un clochard è risultato positivo al coronavirus e le autoritĂ non hanno trovato di meglio che il parcheggio del Cashman Center, paradiso dei casinò, complesso per convention e partite di baseball. Proprio qui siamo stati resi partecipi di una curiosa deriva dellâinventiva solidale umana: il distanziamento sociale a misura di senzatetto. A suscitare lâindignazione sono state le foto, pubblicate sui social. Il parcheggio era meticolosamente recintato con un reticolato che identifica lo spazio, rigorosamente nudo e crudo, dove, per concessione dello Stato, i senzatetto possono trovare alloggio. Un alloggio senza alloggio: per definizione il senzatetto non necessita di strutture, qualche metro quadro di asfalto definito da una riga bianca rappresenta, in fondo, il massimo cui un senzatetto può aspirare.
Se non si ha in sÊ un seme che sta germogliando di suo, ogni emergenza rischia di attivare il cinismo di sopravvivenza, la percezione che lo stato di pericolo in fondo legittimi ognuno a tagliare, a decidere chi si può scartare, a sentirsi parte di una tribÚ eletta in grado di alchimie improbabili. Come assimilare due metri quadri di asfalto a un riparo degno di un uomo.
Lo spazio che lâolfatto si è creato
Ci consegna un linguaggio invisibile, non occupa spazio, eppure riempie la realtĂ , non ha una forma ben precisa ma prende possesso velocemente dello spazio. Lâolfatto ci trasmette i diversi profumi della vita, le sensazioni si materializzano e diventano considerazioni, valutazioni.
Lâosservanza delle regole
Nel volgere di pochi giorni ci si è trovati avviluppati in una maglia di prescrizione di divieti come pesci in una rete. Tutti hanno provveduto a cancellare impegni. La mia agenda, giorno dopo giorno, ha lasciato spazio al bianco. Se in un primo momento ho pensato che qualche appuntamento si potesse spostare in avanti, col passare del tempo mi sono reso conto che i progetti non erano piĂš in mio potere. Ho chiesto il rimborso per i viaggi in treno. Ho provato a pensare come poter riorganizzare la ripresa nel rispetto delle regole. Ho continuato a cancellare facendo spazio allâidea che si sarebbe aperta una strada migliore, e come avrei potuto realizzare meglio quanto mi era richiesto. Poi gradualmente il tempo vuoto che si apriva lâho sentito unâoccasione per lasciar decantare gli impegni, e gli scritti, per migliorarli quando li avrei ripresi in mano. Questa è ricchezza per chi ha la possibilitĂ di vivere nel rispetto delle regole.
La regola viene facilmente sentita e vissuta come astratta e anche ostile alla libera espressione. Lâambito della legge e delle sue sanzioni è una strategia che difende la vita e insieme accresce il disagio e la sofferenza, ostacola la soddisfazione di bisogni primari e genera la desolazione quotidiana. Ă indubbio che in certe situazioni ci risulta piĂš facile evitare limiti e doveri, anche se tutto si trasforma in confusione. Ma troviamo quasi normale amare quella realtĂ indistinta piuttosto che le regole. Riusciamo a sentire trascurabile la trasgressione per una sosta vietata, fumare in unâarea vietata, non portare la mascherina in luoghi raccomandati. Ă inevitabile, quasi naturale odiare le regole.
Lâinsoddisfazione e la fatica nellâosservare le regole che col passare dei giorni montava a causa delle restrizioni mi ha ributtato dentro la mia Chiesa, che amo. Mi sono ritrovato con il pensiero che la Chiesa in quanto tale viene spesso associata a precetti e divieti. Il bagaglio di norme che consegna ai suoi fedeli ancora oggi staziona nelle menti delle persone di mezza etĂ e oltre. Ne è seguita tutta una disciplina del fai-da-te, quando non addirittura allontanamenti dalla Chiesa, proprio in relazione alla pesantezza che derivava da norme che alcuni fedeli non potevano o non volevano rispettare. Ma ho sentito anche tutta la ricchezza delle regole riandando nella Scrittura. Due passaggi chiari: âAscolta Israele, le leggi e le norme che oggi io proclamo ai vostri orecchi: imparatele e custoditele per metterle in praticaâ (Dt 5,1) per lâAntico Testamento; e per il Nuovo Testamento la sintesi di vita per il cristiano, ama Dio e ama il pro...