Lâinterpretazione
La Bibbia è un libro non solo di altri tempi, ma anche di un altro mondo, culturalmente lontano, diverso da quello in cui sono vissuti, vivono e vivranno i suoi eventuali lettori. Per poterla comprendere bisogna riportarsi al momento storico e persino ai luoghi in cui i singoli libri sono stati scritti. In altre parole, occorre ritornare alla situazione esistenziale dei suoi protagonisti e di coloro che hanno raccolto e tramandato le loro vicende; una conoscenza che non si può dare per scontata ma che si acquisisce solo dopo anni di diligente e faticoso lavoro. âEsegesiâ ed âermeneuticaâ sono due termini tecnici ricorrenti in tutte le lingue moderne che significano analisi, esame, spiegazione, interpretazione e valgono per i testi di qualsiasi letteratura. Le norme dellâesegesi biblica, una volta piuttosto approssimative, come in tutte le altre discipline, oggi sono diventate piĂš precise, si può aggiungere piĂš scientifiche, presso tutte le scuole.
Prima lettura
Non occorre certo essere degli specialisti per prendere in mano e cercare che cosa possa dire un testo biblico. Sia lâAntico sia il Nuovo Testamento si possono aprire sempre con grande profitto culturale, spirituale per chiunque. Se casomai qualche testo fosse difficile o scabroso si potrebbe sempre circoscrivere e passare a un altro piĂš facile. Se alcuni racconti si rivelano efferati, se qualche salmo sembra disorientare, se qualche annunzio profetico appare troppo sibillino, basta andare a quelli piĂš rasserenanti e chiari.
Non occorre essere dei competenti per leggere utilmente la Bibbia, basta avere il cuore e la mente aperti a recepire il suo messaggio. Tuttavia pagine difficili e anche indecifrabili si incontrano in quasi tutti i libri, sia dellâAntico sia del Nuovo Testamento.
E sono per esempio tali quelle relative alla giustizia divina, alle âescandescenzeâ di GesĂš, come quelle riguardanti le Sue presunte preoccupazioni organizzative del movimento che si era suscitato intorno alla Sua persona. Le risposte evasive che sono state spesso date in passato, al giorno dâoggi non sembrano piĂš reggersi. Il vostro parlare sia âsĂŹâ o ânoâ, direbbe anche in questo caso Matteo (5,37).
La volontĂ , per non dire lâostinazione, di fermarsi al tenore del testo (âcosĂŹ sta scritto, cosĂŹ va lettoâ), al letteralismo, oppure la preoccupazione di attenersi in primo luogo o esclusivamente al messaggio spirituale, rifiutando qualsiasi âindagineâ ritenuta solo âaccademicaâ, non ha giovato e non giova alla giusta comprensione del testo, il primo intento che dovrebbe proporsi chi si ponga a leggerlo.
Lâastensione dai facili pronunciamenti è sempre segno di maturitĂ ed è pure lâatteggiamento piĂš consono al tenore di un libro che in tutti i casi raccomanda di portare rispetto a quanti hanno il âtortoâ di professare opinioni diverse dalle proprie. Le guerre di religione sono in sĂŠ una contraddizione patente, ma sono esistite ed esistono tuttora e tali possono definirsi anche quelle che si sono scatenate intorno allâinterpretazione da dare alla Bibbia. I tempi sono cambiati ma le riserve, la diffidenza nei riguardi dei promotori del rinnovamento esegetico permangono ancora. La Bibbia è sempre il libro di tutti e per tutti. La differenza tra le varie letture ebraico-cristiane o cattolico-evangeliche è sempre secondaria e non vale la pena di rinunciare alla propria tranquillitĂ e pace interiore per far prevalere lâuna sullâaltra, con il rischio di perdere lâessenziale: lâincontro con Dio, con GesĂš Cristo, con il Vangelo.
Lâinterpretazione scientifica
Lâimpostazione esegetica tradizionale è segnata da alcune ben note lacune: innanzitutto da carenza di metodo, quindi da pregiudiziali teologiche, infine da taluni condizionamenti storici.
La carenza fondamentale è stata metodologica. Quando non si ha la giusta chiave per aprire le porte del castello non si può pretendere di entrarvi e quindi di aggirarsi nei suoi meandri. Per questa ragione la lettura della Bibbia è rimasta per secoli alla superficie del testo, ferma al suono materiale delle parole, a quello che il brano sembra a prima vista voler dire, piuttosto che a ciò che realmente dice. Se è scritto che JahvĂŠ passeggiava per i viali del giardino (Gn 3,8), che il serpente parlava (Gn 3,1) o lâasina di Balaam pronunciava oracoli (Num 23,7), oppure che lâangelo di JahvĂŠ nella notte dellâesodo oltrepassava le porte delle case ebraiche segnate dal sangue dellâagnello (Es 12,13) e, piĂš avanti, che lâarcangelo Gabriele si è presentato a una vergine di Nazareth (Lc 1,26) o che lo Spirito è sceso su GesĂš in forma di colomba (Lc 9,22), vuol dire che è questo ciò che è esattamente accaduto.
Se poi GesĂš è presentato da Paolo e Giovanni come âcapro espiatorioâ o âagnello pasqualeâ, che âè morto per i nostri peccatiâ o è âfiglio di Dioâ, è cosĂŹ che deve essere inteso, nel suo senso ovvio. Tuttavia il linguaggio figurato è antico quanto lâuomo, anche se non è stato preso in considerazione nei confronti dei libri biblici, come se non si addicesse al âparlare divinoâ.
La determinazione a fare appello al senso letterale ha fatto dimenticare che questo in realtĂ può trovarsi in modo âproprioâ o âimproprioâ (figurato, simbolico, allegorico). Una simile distinzione elementare non è stata tenuta in debito conto nel corso dei secoli (come si verifica tuttora in molti settori fondamentalisti ebraico-cristiani) e ha reso impossibile capire il tenore e quindi il contenuto di qualsiasi brano biblico.
Occorre sĂŹ attenersi innanzitutto alla âletteraâ, ma non al letteralismo. Il linguaggio metaforico, allegorico, simbolico è un modo di parlare corrente presso tutti i popoli al pari del linguaggio diretto o piano. Il senso traslato, infatti, è tale perchĂŠ è al di sopra o entro ciò che appare in superficie. In qualsiasi scritto, leggendo, occorre sempre badare al linguaggio o al genere letterario che si ha davanti.
La lettura tradizionale, oltre a rimanere ancorata al âprimoâ senso del libro, si è trovata condizionata da certe pregiudiziali teologiche dei suoi interpreti che li hanno indotti a sopravvalutarne la portata.
Se infatti la Bibbia è un libro che ha Dio per autore, non è mai esagerato attribuire alla sua parola un valore, un significato senza possibili restrizioni di contenuto. Come non si possono porre limiti alla onnipotenza e onnipresenza divina, non è nemmeno possibile, ammissibile, circoscrivere il peso dei suoi discorsi. Potuit, decuit ergo fecit (âera possibile, era conveniente, quindi lâha fattoâ), si è qualche volta ripetuto per favorire certe dommatizzazioni mariane; un assioma che implicitamente è stato adottato dagli esegeti del passato. Lâimportante non era avere delle regole metodologiche a supporto dei percorsi di ricerca che sfociavano in determinate conclusioni o affermazioni, ma avere una grande fede in Dio. Tutta la letteratura rabbinica, che nasce da âcommentiâ ai testi dellâAntico Testamento, cosĂŹ come quella degli autori neotestamentari (si pensi in particolare a Matteo, Paolo, Giovanni) è accomodatizia, cioè adattata alle situazioni che si vogliono illustrare, apologetica, devozionale. I âpadriâ infatti parlano dei âsensiâ delle Scritture. Alcuni â per esempio gli esponenti della scuola alessandrina â arrivano a ipotizzare un âsenso anagogicoâ (da anagoghè, elevazione), quello che va âal di sopraâ, che tenta cioè di avvicinarsi alla stessa realtĂ divina. Ă stato anche chiamato senso âmisticoâ, ma è sempre in qualche modo una forzatura, se non proprio una vera, voluta mistificazione.
Il metodo esegetico tradizionale si potrebbe definire âinduttivoâ, poichĂŠ parte da presupposti, postulati teorici indiscussi (lâispirazione) e da essi invita a trarne (dedurne) le conseguenze che sembrano dâobbligo ma alla fine sono solo supposizioni piĂš che vere spiegazioni. La comprensione del testo sacro non è stata poi agevolata dallâestrazione socio-culturale dei suoi interpreti: uomini di determinato rango (clero e alto laicato), di una formazione che pur senza alcun esplicito proposito li ha esortati a leggere la parola di Dio in funzione della loro collocazione nel quadro comunitario. Sono stati cosĂŹ quasi costretti a dare importanza alle pagine piĂš âvicineâ, almeno apparentemente piĂš âconsoneâ alla situazione esistente, e a lasciar passare in secondâordine, fino a dimenticare del tutto, quelle che la contraddicevano e, peggio, la condannavano. La posizione che occupavano li ha spinti a fermare lâattenzione sui temi che salvaguardavano lâapparato, piĂš che su quelli che lo mettevano in discussione.
Fin tanto che non si è verificata la svolta illuministica, non sono nate la societĂ moderna e la nuova impostazione della cultura, anche lâesegesi biblica è rimasta antiquata, legata alla tradizione piĂš che aperta al progresso scientifico.
Il metodo storico-critico-letterario
La Bibbia è un libro per tutti, ma non tutti sono in grado di leggerlo rettamente. Non basta una qualsiasi competenza per ritenersi capaci di comprendere un testo antico, di un arco culturale lontano dal proprio. Nemmeno un teologo, in quanto tale, può impancarsi a esegeta. Lâeunuco della regina Candace andava interrogandosi sul senso di Is 53 e non ne sarebbe venuto fuori se non gli fosse stato dato di incontrare il diacono Filippo (At 8,26). La spiegazione scientifica della Bibbia può considerarsi facoltativa, ma quando si tratta di formulare pronunciamenti dottrinali o di impartire direttive etiche in nome di Dio occorre assolutamente sapere ciò che un determinato testo dica. E, se non si è in grado di stabilirlo, bisogna astenersi da indebite conclusioni teologiche, tanto piĂš dallâimporle agli altri. Il profeta Geremia (7,4) attacca duramente quanti facevano appello alla âparola del Signoreâ per avallare le loro menzognere affermazioni. âIo non li mandavo ed essi correvano; non avevo parlato ed essi profetavanoâ (Gr 23,21). Ma non occorre tornare tanto indietro per confermare siffatte constatazioni: il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica (1993), come lâultima enciclica di Giovanni Paolo II (Ecclesia de Eucharistia, 2003), in cui i richiami biblici sembrano piĂš fortuiti che appropriati, ne dĂ unâampia conferma.
La Bibbia, si dice, narra unâesperienza di fede, che non può essere compresa dal ricercatore che ne fosse sprovvisto; ma è unâaffermazione che, per quanto vera, potrebbe rivelarsi pretestuosa. Non occorre essere marxisti per leggere Il capitale. Certo la sintonia ideologica fra chi ha scritto e chi legge è sempre una condizione di vantaggio per entrare nello spirito e nellâintento di un libro che ne illustra i contenuti, ma non per questo il libro è precluso a chi non crede. Se lââateoâ non riuscisse a scoprire il senso e la portata di un testo sacro o ne stravolgesse il significato sarebbe solo perchĂŠ non si è munito, nel leggerlo e soprattutto nellâinterpretarlo, dei necessari âstrumenti tecniciâ, non perchĂŠ non ha fede.
Un medico cristiano non è a questo titolo piÚ capace di un collega miscredente. Per la riuscita della sua professione non è al primo posto la fede ma la competenza, che non è sostituita nemmeno dalla santità della vita.
La fede è sempre preferibile allâincredulitĂ per comprendere un testo che ne tratta come la Bibbia, ma non è la condizione insostituibile quale è invece solo la conoscenza e il retto uso del metodo ermeneutico. Molti sacerdoti, pastori dâanime, guide comunitarie, sono senzâaltro uomini di grande fede ma non sono egualmente buoni esegeti. Pio X, pur sommo pontefice e per di piĂš proclamato santo, ha reso ciononostante un cattivo servizio alla scienza biblica, opponendosi strenuamente ai primi tentativi di ricerca scientifica che si facevano nella Chiesa.
Lâinterpretazione di un testo presuppone che si conoscano chi lâha scritto, il tempo in cui è vissuto, in modo da determinare e valutare rettamente il senso e il peso delle parole che adopera, dei riferimenti cui fa allusione o di cui parla esplicitamente, dei discorsi che pronuncia, delle proposte che avanza. La Divina Commedia non è comprensibile per chi non sia a conoscenza della personalitĂ dellâAlighieri, della sua poetica e della sua straordinaria cultura âscientificaâ, filosofica e teologica e dellâambiente fiorentino del Trecento.
Maometto proviene da un preciso contesto culturale (arabo-ebraico-cristiano) che ha determinato la sua svolta religiosa e ha dato una chiara impronta alla sua predicazione e quindi ai suoi scritti. Se si esce da un tale riferimento è impossibile comprendere il Corano.
Questo tentativo di ricollocare il libro nel suo contesto di origine dĂ al metodo esegetico la sua prima connotazione, quella di âstoricoâ. Si tratta di una riambientazione che va fatta con accuratezza, in base a riferimenti e documenti presenti nel territorio in cui è sorta la Bibbia o nei paesi circonvicini. Bisogna arrivare ad avere non tanto idee quanto conoscenze esatte sul mondo e sul tempo in cui sono sorti i vari libri biblici. La stessa attenzione va data alla letteratura contemporanea al libro sacro â in concreto ai testi cuneiformi, sumero-accadici, babilonesi, assiri, quindi egiziani, hittiti e fenici â per rendersi conto del livello e delle modalitĂ di pensiero che circolavano nella terra dâIsraele e nei dintorni; un mondo cui attualmente è possibile accedere grazie alla decifrazione delle lingue antiche avvenuta solo nel secolo XIX, ma che al loro tempo erano sicuramente note agli autori sacri.
Lâebraico è una lingua povera di vocaboli e di forme verbali, ma lâebreo non è povero di idee, di emozioni, di sentimenti o di progettualitĂ , solo che è costretto a far passare tutto il suo mondo interiore, in particolare la sua eccezionale esperienza di Dio, in un linguaggio che è sempre del tutto inadeguato. Tutte le parole dellâuomo sono convenzionali, ma quelle dellâuomo biblico lo sono piĂš delle altre. Non si tratta di divagare ma di andare alla radice dei termini, alle loro risonanze, alle possibili derivazioni e applicazioni per stabilire ...