CI STAVI AMANDO PIĂ DI QUANTO NOI CI AMASSIMO
Ma tu conosci, Signore, ogni loro progetto di morte contro di me; non lasciare impunita la loro iniquitĂ e non cancellare il loro peccato dalla tua presenza.
Inciampino alla tua presenza; al momento del tuo sdegno agisci contro di essi!
(Ger 18,23)
Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?
(Rom. 8,31)
Questo povero grida e il Signore lo ascolta.
(Sal 34,7)
Quando, nel 2010, fui trasferito dalla mia prima parrocchia brasiliana di Dom Pedro a GrajaĂš, durante i vari eventi di commiato alcuni membri delle ComunitĂ Ecclesiali di Base mi salutarono con una frase: âAdesso capiamo che quando ci sgridavi tu ci stavi amando piĂš di quanto noi ci amassimoâ.
Questa frase mi ha segnato profondamente. La ripeto qui perchĂŠ, in un certo senso, riassume la ragione del mio ostinato amore verso la gente del Brasile e verso la Chiesa in generale.
Sono i sentimenti che alimentano questo capitolo finale, ambientato fuori dal Brasile, da cui partii nel maggio del 2017.
Dopo di allora, tutto è accaduto rapidamente: riassumo i fatti, per proporre poi una riflessione finale.
Un fatto è lâinaccettabile condotta del vescovo brasiliano dom Rubival. Egli ha deciso ogni cosa allâinsaputa dellâarcivescovo di Milano, suo diretto e necessario interlocutore. Il decreto della mia rimozione (agosto 2017) è stato reso noto da me personalmente a monsignor Mario Delpini che molto se ne stupĂŹ. âCarissimo don Marco, vengo a sapere per la prima volta delle decisioni prese da quanto tu mi scrivi. Ne sono molto sorpresoâ â mi scrisse in una sua email.
Un altro fatto fu il rifiuto categorico di dom Rubival a ricevere il Consiglio pastorale della Parrocchia di Alto Brasil, che con insistenza gli chiedeva udienza. Tuttavia per quellâestate 2017 era giĂ da tempo programmata una visita a GrajaĂş proprio di monsignor Delpini e cosĂŹ, invece che con il loro vescovo, i miei parrocchiani poterono parlare perlomeno con uno âvenuto dallâaltra parte del mondoâ. Lâincontro si tenne il 19 agosto 2017 ed è rimasto encomiabile nella memoria di tutto il Consiglio: almeno in questo caso si sentirono accolti e valorizzati da un pastore della Chiesa. I miei parrocchiani percepirono il desiderio di monsignor Delpini che io rientrassi in Italia per portare a Milano i frutti dellâesperienza brasiliana. Al tempo stesso, però, lui constatò di persona la necessitĂ di una mia permanenza nella Diocesi di GrajaĂş, per la delicatezza e la singolaritĂ del lavoro che stavamo svolgendo.
Qualche giorno dopo, inaspettatamente, anche dom Rubival ricevette il Consiglio pastorale. Purtroppo non vi fu dialogo nĂŠ chiarimento, bensĂŹ la semplice, intransigente affermazione dellâinsindacabile autoritĂ del vescovo. A margine dellâincontro, peraltro, egli affermò di non avere difficoltĂ verso un mio ritorno in Diocesi: la decisione, disse, spettava solo e unicamente a monsignor Delpini. Il quale, solo pochi giorni prima, aveva ventilato la possibilitĂ di farmi ritornare in Brasile.
Nel frattempo, a fine agosto, alcuni dei miei piĂš stretti collaboratori brasiliani, ovvero MĂ rcia, Raniere e Rafael, lâavvocato della CPT, sfuggirono nella regione di Bem Feito a un tentativo dâimboscata condotto da un faccendiere e dal suo pistoleiro. I due, alcuni giorni prima, erano andati minacciando per lâennesima volta i contadini locali, concludendo cosĂŹ le minacce: âNon serve a nulla la vostra resistenza tanto anche padre Marco non tornerĂ piĂš a GrajaĂşâ.
Come potevano questi personaggi loschi, totalmente estranei agli ambienti ecclesiali, sapere di me? Era evidente che altri interessi, altre dimensioni sâintrecciavano alla questione della mia permanenza in Brasile, inquinando la sua natura.
Monsignor Delpini intanto aveva ben altro a cui pensare: stava infatti succedendo al cardinal Angelo Scola alla testa della Diocesi di Milano. Ciò nonostante percepii il suo sforzo sincero di non abbandonarmi in balia degli eventi. Il 15 settembre mi ricevette, in unâudienza molto intensa e trasparente. Mi riferĂŹ tutto lâaffetto e la saudade manifestata verso di me dal Consiglio pastorale di Alto Brasil, da lui incontrato poco prima. Aggiunse che dom Rubival non aveva espresso giudizi specifici su di me: alcuni preti gli avevano chiesto di non farmi ritornare nella Diocesi di GrajaĂş. Quali preti? PerchĂŠ?
Monsignor Delpini non lo sapeva. Da un lato egli riconosceva necessario che io tornassi a lavorare con quella porzione del Popolo di Dio, dallâaltro mostrò tutta la sua giusta preoccupazione per le nuove condizioni in cui mi sarei trovato: le calunnie venute allo scoperto, la non trasparente posizione del vescovo di GrajaĂş e infine le ormai chiare interferenze politico-mafiose soggiacenti allâintera vicenda.
A parole dom Rubival continuava a dichiarare che la decisione su un mio ritorno in Brasile spettava al solo monsignor Delpini, ma i fatti parlavano di altro. Nella realtĂ egli sfuggiva a ogni mio tentativo di chiarimento, evitando di rispondere ai miei ripetuti messaggi inviatigli per posta elettronica e per WhatsApp.
Infine la situazione si chiarĂŹ con una lettera da lui inviata il 15 ottobre 2017 allâarcivescovo di Milano. Dopo aver dichiarato che tutti i miei incarichi e i miei servizi erano stati affidati ad altri, il vescovo cosĂŹ concludeva: âPortanto, nĂŁo hĂĄ necessidade da presença, nem dos trabalhos do Padre Marcos Bassani na Diocese de GrajaĂşâ (Pertanto, non abbiamo bisogno della presenza nĂŠ del contributo pastorale di padre Marco Bassani nella Diocesi di GrajaĂş).
Fu lo stesso monsignor Delpini a comunicarmi il contenuto di questa missiva nel corso di unâudienza privata, vissuta da entrambi con grande commozione e tristezza.
Concludo con alcune riflessioni. Ho trascorso quindici anni in terra brasiliana cercando di dare fede, ma anche speranza alla gente: la Chiesa è dalla loro parte perchÊ il Vangelo è dalla loro parte. Rassegnarsi di fronte alle ingiustizie, da qualunque parte provengano, è sbagliato.
Ora però una grave ingiustizia viene perpetrata, contro di loro prima ancora che contro di me. Unâintera comunitĂ diocesana rimane vittima di una logica distorta e inaccettabile. Allâinizio del 2018 fu presentata al vescovo dom Rubival una petizione con 1800 firme raccolte in tutta la Diocesi, ma fu da lui rifiutata come ogni altro tentativo precedente.
Che fare? Rassegnarsi, cedere, girarsi dallâaltra parte? Ă evangelico un simile comportamento?
Lo chiedo a me, prima che a voi. Un prete deve obbedire al vescovo e io ho rinunciato a rientrare in Brasile per continuare la lotta in altro modo. In questo senso ho obbedito, anche se qui la questione è piĂš complessa, perchĂŠ nella mia posizione di prete fidei donum mi trovo ad avere non un solo vescovo a cui obbedire ma due, uno dei quali, per quel che mi è dato capire, ha ingannato lâaltro.
Il caso supera però la mia semplice persona. Ad Alto Brasil e a Remanso da circa un anno e mezzo si è interrotto il grande movimento popolare che sostiene la ristrutturazione delle due Chiese; anche perchĂŠ, non si sa come, dal conto corrente della parrocchia sono spariti circa 80 mila reais, una somma frutto non di donazioni dallâestero, ma unicamente dellâimpegno e del sacrificio di tanta povera gente. A dom Pedro è stata chiusa la sede diocesana della Pastorale della terra. Coloro che hanno partecipato piĂš direttamente al rinnovamento diocesano hanno dovuto abbandonare il loro impegno. Qualcuno (per me è il dolore piĂš grande) è arrivato a lasciare la stessa Chiesa Cattolica.
In gioco câè una visione di Chiesa e un modo di fare Chiesa. Abbiamo oggi un Papa che dichiara apertamente: âVoglio una Chiesa povera per i poveriâ, e ancora: âIl discepolo missionario di GesĂš deve andare verso tutte le periferie umaneâ. A noi però è stato proibito da un vescovo e una parte del suo clero di vivere queste dimensioni evangeliche nei confronti dei poveri e degli oppressi.
In gioco ci sono anche interessi economici e pressioni politiche, è ovvio. La Chiesa è non solo il Corpo di Cristo ma anche una società umana e da sempre deve convivere con queste interferenze materiali. Conoscerle è il primo modo per opporsi a esse: anche a questo scopo è nato il libro che state concludendo.
Se non potete eliminare lâingiustizia, raccontatela a tutti. (Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace 2003)
Esistono poi interferenze per cosĂŹ dire interne: câè la malapianta del clericalismo, per il quale ciò che un vescovo decide è inoppugnabile, anche quando contrasta con il Vangelo.
Fino a quando una situazione come quella che ho vissuto io, in prima persona, dovrĂ essere trattata come normale divergenza tra uomini di Chiesa e non, invece, come espressione del peggior clericalismo, che contraddice radicalmente il Vangelo che annunciamo?
Vi lascio questa domanda, che indica un compito, una missione, per me e per la Chiesa intera.
Concludo nel segno della fede, e della speranza. La Chiesa possiede gli anticorpi per reagire ai propri mali e ai propri errori: la grazia di Dio spezza le catene e rialza chi è caduto. Mi rivolgo qui anzitutto ai miei amici brasiliani. Senza speranza, cosa diventeremmo? Vedere luce dove gli altri vedono buio è il compito dei profeti. Tutti lo possiamo diventare, Dio ci chiama tutti a diventarlo, anche e soprattutto nellâora della sofferenza.
Quel buio del male si può combattere: servono le armi, congiunte, della speranza e della giustizia. E se per affilare meglio quelle armi dovesse servire la persecuzione, ben venga anche la persecuzione.
Solo la Verità può renderci veramente liberi, tutti.