PARTE PRIMA | | Origine e principi della facilitazione |
Ci ritroviamo immersi in unâepoca
piena di paure. Ma io credo
che lâuomo possa ritrovare se stesso.
La famiglia e la scuola costituiranno
i due formidabili baluardi
di una nuova rivoluzione
Giovanni Bollea, neuropsichiatra infantile
Una nuova frontiera:
lâinsegnante
facilitatore
Non è una ricerca di perfezione astratta
Quando in questi anni ai nostri corsi formativi abbiamo incontrato gruppi di insegnanti ci siamo sempre chiesti: âMa hanno davvero voglia di imparare cose nuove, oppure hanno solo un gran bisogno di rigenerarsi, di recuperare fiducia e ricaricare le batterie?â. Il dubbio ci ha costantemente accompagnato. Ancora oggi, in occasione di un âcorso di insegnante facilitatoreâ il dilemma resta attuale e aperto. Crediamo tuttavia che per un insegnante avere delle buone metodologie sia fondamentale, al pari però di trovare un proprio bandolo tutto personale (profondo) per gestire le proprie energie e risorse, senza troppe âemorragieâ emotive. Cosa che invece sembra sia molto frequente.
A detta di molti, gli insegnanti sono in crisi. E questo libro non offre i perchĂŠ della crisi, non è infatti il risultato di indagini e misurazioni, bensĂŹ vuole essere una proposta di cultura e metodo per illustrare buone pratiche possibili. A differenza però di altri lavori editoriali, questa proposta di metodo e cultura ci piace pensarla aderente e dentro le situazioni, le piĂš concrete, le piĂš spinose, evitando al massimo lâautoreferenzialitĂ della metodologia, che sulla carta ha sempre una parola buona, una via dâuscita. Mentre sappiamo molto bene che è invece la complessitĂ , la crudezza, la complicanza delle situazioni reali a elevarsi a unico e intricato banco di prova. Proviamo dunque lungo tutto il libro a muoverci tra realtĂ e teoria, tra mappe e concretezza, proprio come quando in aula, come formatori di insegnanti, conduciamo corsi sullâargomento.
La facilitazione e lâapprodo
a un piano di metodo
Ma quali sono le tematiche della facilitazione? E facilitazione vorrĂ forse dire che insegnare è facile? Oppure, che in ogni classe, anche la piĂš dura, è possibile volersi bene, fare lezione fluentemente? Possiamo dire che la âFacilitazioneâ con la âFâ maiuscola si fa largo giĂ in epoche non sospette, vedi nel primo e nel secondo dopoguerra in Usa e in Europa, nella clinica psicologica e nella cosiddetta pedagogia attiva. Ma è con lâesplosione del fenomeno del bullismo, a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila, che cresce una domanda implicita di facilitazione, che assume nomi diversi, al centro comunque di una richiesta di aiuto diffusa.
Il cosiddetto âmal di scuolaâ, cosĂŹ proverbiale e stereotipato tra gli studenti, si fa largo sempre piĂš anche tra gli insegnanti. Le classi sono formate da gruppi difficili, compositi, dove sempre piĂš spesso i freni si allentano e nascono situazioni aggressive e anche veri e propri abusi. Come non ricordare qualche mese fa quella maestra elementare, che per dividere due bambini di dieci anni che si stavano azzuffando, ci ha rimesso la milza? E non bastano le situazioni incresciose nel gruppo-classe o direttamente nei confronti di alcuni studenti, va aggiunto lâincremento di situazioni difficili con i genitori, tra cui ad esempio anche casi di botte al preside perchĂŠ vieta lâuso del cellulare in classe, o anche le diffuse aggressioni verbali provenienti da genitori durante i colloqui sul rendimento dei loro figli.
Va quindi aggiunto che la facilitazione non è buonismo, non è semplificazione, non è un insieme di regole obbligate e pedisseque. Non è il prodotto di una visione positivista delle relazioni e delle istituzioni, scuola compresa, in cui debbano regnare asettiche sensazioni pacifiche e conciliatrici o anche rapporti ordinati, sempre moderati e moderabili. Non è neanche una forma di autocontrollo fisso o la condanna a norme rispettose sempre e comunque dellâaltro e del contesto. Ma cosâè allora?
La facilitazione è intervento diretto
e trasformativo
La facilitazione si occupa di entrare nellâagone complicato e disfunzionale, agendo dentro la complessitĂ dei comportamenti, nel basso, perchĂŠ considera il groviglio divergente e dissonante il luogo fondamentale della moderazione e della ricomposizione relazionale e produttiva.
Lo sappiamo, il termine stesso induce a considerazioni dubbie. Del termine facilitazione, il nostro invito al lettore è di abbandonare il mero piano lessicale che lo vede come sostantivo e verbo ordinario ed elementare: âti mando una mail cosĂŹ ti facilito il compitoâ, âla facilitazione dei tuoi acquistiâ, âla spesa è facilitata basta un clicâ. CosĂŹ come di tralasciare la parte dei sinonimi e contrari: facilitazione/complicazione, agevolazione/impedimento, appoggio/impaccio, vantaggio/intralcio, concessione/ostacolo.
Proponiamo invece lâapprodo a un piano di metodo, dove il termine può acquistare una valenza sociale ed educativa, di nuovo sapere complesso. PerchĂŠ? PerchĂŠ tiene conto che ogni persona, relazione, organizzazione abbia aspetti funzionali buoni e aspetti disfunzionali non buoni. PerchĂŠ tiene conto che qualsiasi aggregazione (famiglia, gruppo, lavoro) presenti necessitĂ produttive e finalistiche al pari di necessitĂ relazionali e socializzatrici. PerchĂŠ tiene conto che in qualitĂ di mammiferi ultrasociali noi della specie âsapiensâ ci attraiamo e ci respingiamo, in unâannosa e spesso incomprensibile altalena fatta di competizione e cooperazione, senza apparenti logiche fisse. O almeno poco pronosticabili. Lasciando quindi il piano lessicale per un piano di metodo, la facilitazione acquista nuovi connotati.
La facilitazione è metodo
ed educazione
Ă un corredo di strumenti migliorativi intenzionali che aiutano le aggregazioni a non slittare nelle routine conflittuali, bensĂŹ a divenire piĂš rispettose e a crescere reciprocamente. Tali strumenti sono situazionali, ovvero studiati per essere adeguati e aderenti a situazioni e persone, per uno stile che integra fattori e attori, ne rispetta ruoli e gerarchie, pur sollecitando evoluzioni inclusive e cooperativistiche e ben sapendo che i richiami competitivi sono frequenti e diffusi.
Nel corso del libro vedremo come sia importante lââintegrazioneâ, mettere cioè insieme cose e persone, fattori e attitudini, comunemente intesi solo come distinti e separati. Lâintegrazione è voler avvicinare, allestire nuovi insiemi, pur conoscendo molto bene quali siano le forze che tendono a scindere, separare, escludere. Ma dicevamo dellâintegrazione: per esempio di come gli aspetti emotivi in una classe si possano provare a convogliare verso il fare didattico e viceversa. Di come i tratti e i comportamenti di singoli studenti possano giocare con quelli del gruppo, per un aiuto o un contenimento. Di come i comportamenti negativi non sempre siano fini a se stessi, ma possano preservare risorse e opportunitĂ . Quindi, la facilitazione diviene importante proprio perchĂŠ la classe è il luogo dellâintegrazione, dove con un poâ di metodo, si possono regolare con maggiore fluiditĂ i contrasti, le passivitĂ , le simpatie e le antipatie. Non dentro un quadro di perfezione, ma di sufficiente fluenza, mettendo in conto però che tutto è in divenire, è mobile, è dinamico: la classe, il singolo studente, le regole scolastiche, il proprio vissuto interno dellâinsegnante. Questo lo chiamiamo âcasinoâ1, come un piano di continuo e progressivo movimento, una crosta di bradisismo permanente, dove tutto si muove.
Saper agire âdentro il casinoâ
Ci sono metodi di insegnamento ma anche di organizzazione che agiscono âsopra il casinoâ, sono solitamente metodi normativi e regolatori, che partono dallâalto, tipici dei modelli monodirettivi, che si accentrano su regole e capi, azzerando ogni forma di espressione e divergenza, allâinsegna della ânormazioneâ e/o della âmanipolazioneâ. Ci sono altri metodi che contemplano âtalvolta il casinoâ, considerandolo come fattore occasionale ed episodico, un incidente circoscritto, al quale tamponare con tanta cognizione riparatrice (troppa), per passare dalla vertenza alla ânegoziazioneâ; siamo giĂ in uno stile a nostro avviso preferibile. Quello che questo libro intende sviluppare è perlopiĂš la strumentazione per stare âdentro il casinoâ, quale condizione contemporanea diffusa, perchĂŠ crediamo che standoci allâinterno in maniera vigile, attiva, e per di piĂš attrezzati, si possa riuscire a trasformarlo. Questo approccio si chiama âfacilitazioneâ perchĂŠ parte dal fatto che il âcasinoâ esiste, e che spesso si prende gioco delle regole, anche di quelle migliori. Ma su questo aspetto avremo modo di tornarci.
Fig. 1 â Modelli e strategie da parte dellâinsegnante
Qualche anno fa abbiamo tenuto un percorso formativo abbastanza corposo in un istituto professionale toscano, una di quelle scuole italiane dove lâabbandono scolastico è significativo e dove un insegnante su cinque chiedeva aiuto, sotto varie forme. Dal report di una delle insegnanti partecipanti leggiamo:
Il bullismo e le sue diverse forme di aggressivitĂ vengono âsbattuti in prima paginaâ ma raramente si ha la pazienza di indagare sulle loro premesse, sui comportamenti antisociali diffusi e, ancor meno, di prendersene cura. I docenti coinvolti nel corso si sono chiesti cosa possa fare lâinsegnante nei contesti difficili. Come uscire dal circolo vizioso della autocommiserazione di fronte alla demotivazione, alla maleducazione, alle azioni di disturbo degli studenti? Una risposta è arrivata: possiamo diventare âinsegnanti facilitatoriâ, ovvero insegnanti che mettono al centro la persona dello studente, che sanno sostare con lui nella negativitĂ , nel disagio, nellâincertezza e orientarlo verso comportamenti costruttivi. Il corso ha rappresentato come âuna reazione nuovaâ alle difficoltĂ che gli insegnanti sono chiamati ad affrontare.
Unâaltra insegnante partecipante:
Gli insegnanti si annoiano e soffrono del proprio autocommiserarsi e del deprecare i tempi e le generazioni funeste che è dato loro di sopportare. Il corso ha rappresentato un brusco e salutare passaggio al âda farsiâ. Personalmente ho tratto soddisfazione dallâuscire dalla solitudine professionale, dalla condivisione non tanto dei problemi (quelli li condividiamo anche troppo) quanto della tensione emotiva e fattiva verso possibili soluzioni.
Da questi brevi racconti emerge una doppia difficoltĂ : una nel ruolo dello studente e una in quello dellâinsegnante. La difficoltĂ dello studente (e della classe) è data dallo studio stesso, dallâobbligo di studiare, un esercizio che spesso implica fatica, sforzo, stress, rinunce, di cui molto spesso il ragazzo non ne comprende bene il senso; il tutto è poi condito da sentimenti, piĂš frequenti quelli di paura, ansia, disgusto e vergogna (il senso di soddisfazione e piacere câè eccome, ma possiamo pur dire che è minoritario e saltuario). Sono frequenti frasi del tipo âNon ho voglia di studiare, non mi frega nullaâ, âNon mi interessa nulla di questa materiaâ, âĂ inutile, queste cose non le capirò maiâŚâ.
La difficoltĂ dellâinsegnante è ben scritta nelle due testimonianze, è di fatto nellâesercizio dellâinsegnare, ruolo giuridicamente riconosciuto, con le sue componenti didattiche e di valutazione, ma che sempre di piĂš in questi ultimi dieci anni produce stanchezza, autocommiserazione, solitudine, delusione, inibizione della tensione emotiva. âCome smuovere lâapatia?â, âMi identifico con la lezioneâ, âSo cosa provo ma mi disturba parlarne con i colleghi, câè sempre qualcuno che giudicaâ, âNon mi sento quando sono in classe, sento solo che loro non mi devono contrastare nel programma, quando succede mi dĂ molto fastidio e mi dĂ rabbia!â.
Fig. 2 â Una doppia difficoltĂ
In quel percorso, schematizzando, abbiamo incontrato due tipi di insegnanti: il primo, per cosĂŹ dire, âdogmaticoâ, che pur ascoltando i nuovi metodi, ha le sue certezze, una su tutte âcoi ragazzi bisogna comandare e farsi valereâ, per una paura molto diffusa tra gli adulti in genere, che si chiama âpresa del potereâ. Ă infatti difficile che lavorare e aggregare vengano intese come funzioni dinamiche, reciproche, vige fortemente lâasimmetrico âo il potere a me, oppure a teâ. Da qui, lâinsegnante che si fissa su uno stile normativo, asettico, distaccato, piĂš per paura e ignoranza, ci sembra di poter dire, che per convinzione. Un secondo tipo invece, è lâinsegnante âamico della classeâ, che cerca sempre lâaccordo con gli studenti, è empatico, fa raccontare le loro storie, e si pone in questo un poâ come un fratello maggiore, dentro un ruolo fisso che è amichevole.
Fig. 3 â Dogmatico e amicone
Lâinsegnante facilitatore non è tanto un formato, uno schema, ma un orientamento metodologico, un indirizzo pratico, che non si erge a nuova dottrina. Questo approccio cerca pur tuttavia di evitare il dogmatismo asettico da una parte e lâeccessiva e fissata amicalitĂ dallâaltra. Pur comprendendone le ragioni, i retroterra, i buoni motivi per cui un insegnante possa muoversi con quello che ha, che ha acquisito nella professione e nella vita, senza troppe sofisticate elaborazioni.
Il casino in classe câè,
la perfezione non esiste
Abbiamo detto che la facilitazione tende ad agire âdentro il casinoâ, proprio perchĂŠ è il modo migliore per contenerlo, regimarlo, trasformarlo. Questo è il senso âdal bassoâ, che vuole dire provare a comprendere, ascoltare, immedesimarsi, senza che lâinsegnante si carichi tuttavia la classe sulle proprie spalle (non è un assistente sociale, uno psicologo, un mediatore di genitori separati). Egli può essere perlopiĂš un facilitatore, colui che crea le condizioni piĂš favorevoli per il lavoro in classe.
Domande aperte2:
⢠Quali strumenti per sostare nella difficoltà e nel casino?
⢠E se invece di contenere e trasformare la situazione si aggrava?
⢠Se un giorno non si è al meglio, cosa conviene fare?
Evitare lo stile âdogmaticoâ da una parte e quello âamiconeâ dallâaltro, non mette certo al riparo lâinsegnante da rischi e difficoltĂ , ma è giĂ un punto fermo. La facilitazione stessa può poi comportare anche degli svantaggi. Il punto che svilupperemo piĂš avanti è tuttavia dato dalla calibrazione per esempio della conduzione della classe, che è bene che sia in forma direttiva e partecipativa, servono entrambi, cosĂŹ come occorre calibrazione nel presidiare il proprio punto di vista, alternandolo con il punto di vista dello studente e della classe.
Ma cosa può rappresentare il bandolo della matassa? Un punto da cui partire? Ă a nostro avviso dotarsi di una âlinea metodologicaâ, assumendo criteri semplici e chiari, oltre che strumenti operativi applicabili, il senso piĂš profondo del libro. Questa âlineaâ può aiutare lâinsegnante a discernere la complessitĂ , dosando meglio le proprie forze e le proprie esposizioni, non esagerando nelle fissitĂ di ruoli e atteggiamenti, facendo bene e sbagliando, recuperando e riparando, sempre grazie a questa buona linea. Che può sembrare a tratti difficile, sĂŹ è vero, ma che può togliere un sacco di castagne dal fuoco e rendere le lezioni piĂš sostenibili e significative.
Ci vuole piĂš metodo,
da aggiungere alla genuinitĂ
Assumere concetti e tecniche vuol dire agire secondo delle coordinate conoscitive, in materia di linguaggio, pensiero, emozioni, comportamenti, automatismi. Lâinsegnante è un mestiere ultrasociale, emblema delle capacitĂ sociali, sia da incarnare in sĂŠ che da diffondere presso i ragazzi. I metodi allâinizio risultano un poâ forzati, ma nel tempo si metabolizzano anche grazie alle proprie risorse innate e personali, alla spontaneitĂ individuale, che chiamiamo genuinitĂ .
Domande aperte:
⢠I metodi sono d...