1.
Padri al passato*
di Lazzaro Gigante
1.1 PREMESSA
Al centro della piazza principale di Roma grandeggia una statua equestre. Rappresenta Marco Aurelio, un personaggio famoso di due millenni fa. Il fatto che Roma, per alcuni lâombelico del mondo, gli dia gloria e onore vuol dire che egli, nonostante il tempo, resta una garanzia, per lâoggi come per il domani.
Lâopera principale di quel saggio non è tanto dovuta al suo essere imperatore e filosofo, quanto pure grande ritrattista. Infatti, nella prima parte del suo libro, Ricordi, esprime la gratitudine verso coloro che lo hanno educato:
da Vero, mio nonno, ho appreso lâabitudine a essere gentile e a escludere ogni impeto dâira. Dalla fama e dal ricordo di colui che mi ha dato la vita, pudore e comportamenti virili. [âŚ] Dal mio bisavolo lâaver avuto modo di non frequentare le scuole pubbliche; inoltre aver potuto far uso di buoni maestri chiamati in casa, e aver potuto comprendere che, a riguardo, abbiamo il dovere di affrontare ogni spesa senza risparmio. [âŚ] Da mio padre [di adozione], la mitezza e la decisa fermezza nelle decisioni giĂ prese; lâindifferenza verso quelli che si ritengono onori; lâamore e lâassiduitĂ al lavoro; inoltre la prontezza ad accogliere il consiglio di chi potesse contribuire allâutile comune; ancora, il senza riguardi distribuire a ciascuno secondo i suoi meriti; lâocchio esperto per distinguere i casi in cui è necessaria la severitĂ oppure lâindulgenza1.
Marco Aurelio continua con una lunghissima serie di abilitĂ , doti e capacitĂ sviluppate in lui grazie al suo genitore.
Cosa si può dire oggi dei padri che ci hanno preceduto? Le pagine di questa prima parte cercano di dare qualche risposta. Esse risentono della difficoltĂ di presentare la âpaternitĂ â, perchĂŠ è innumerevole la schiera di generazioni di padri e ognuno ha segnato a suo modo quel ruolo. Se i figli somigliano ai padri in qualche modo e ai nonni in una minima parte, vuol dire forse che anche i pronipoti conservano nel DNA qualcosa che li rende attuali e contemporanei ai propri ascendenti.
Ciò significa che quando si dice âcâerano una volta i padriâŚâ si intende affermare che lo srotolarsi delle generazioni non è affatto tramontato e che per capirli è necessario ripercorrere la memoria del loro cammino. Per questa necessitĂ di comprendere il presente e in qualche modo la gestazione del futuro, lâintendimento di questo primo capitolo non è di affrontare la complessa questione della storia della paternitĂ 2, ma di tracciare alcune, molto sommarie linee di riferimento. CosĂŹ è piĂš agevole riflettere sul senso e sulle direzioni della trasformazione del ruolo paterno.
Intanto, si può affermare che:
alle radici della paternitĂ vi è unâantica realtĂ in cui il legame biologico con i figli da parte dellâuomo era sconosciuto. La scoperta del suo contributo genetico e un lungo travaglio culturale hanno dato vita alla moderna e tradizionale concezione [âŚ] La paternitĂ non câè in natura fin dallâinizio come la maternitĂ , ma si costruisce sul modello di questa, attraverso lâestensione al padre di funzioni materne. Il padre diventa padre facendo quello che fa la madre3.
Per il momento conviene assumere tale affermazione come orientativa, data la prospettiva piĂš complessa esposta nel terzo capitolo di questo volume. Per questo è sicuramente poco corretto e significativo lâapproccio che fotografa il ruolo educativo paterno quasi fosse un oggetto o unâidea pura, universale, immutabile e astratta, in quanto ne collega le espressioni unicamente alla dimensione biologica e sessuata.
In questi anni si assiste, invece, a ripetute dichiarazioni che da un lato lamentano la crisi del ruolo tradizionale paterno e dallâaltro confermano la nascita di un ânuovoâ padre, tanto da chiedersi se ci troviamo di fronte a un processo di rinascita del padre4.
Ă prematuro avanzare conclusioni. Questa premessa serve solo a dire subito che è impossibile delineare unâunica tipologia di padre, indifferente allâevoluzione dei secoli. Peraltro, se solo ci fermassimo allâOttocento, dovremmo anche chiederci: il padre di quale famiglia? Quella contadina, operaia, borghese?5 Ă vero che in tutte le famiglie câera un padre, ma ogni singolo padre aveva peculiaritĂ che lo distinguevano dagli altri. Per questo è veramente impossibile tracciare un identikit del padre âtradizionaleâ6. Il mondo paterno è diventato nel corso dellâultimo secolo sempre meno un universo perchĂŠ è realmente un pluriverso. Essere padre ha significato sempre piĂš calibrarsi sulle diverse esigenze evolutive e sui gradienti di sviluppo del figlio in relazione agli ambienti che hanno avuto influenza su di lui e sul sistema familiare.
Perciò, nei capitoli che seguono vi è questa oscillazione tra lâindividuazione di un tipo di padre che riassume nel suo ritratto una folla di suoi compagni piĂš o meno appartenenti allo stesso stato sociale, periodo storico, occupazione, ecc. e lâanalisi di dettaglio che fa emergere quelle peculiaritĂ che indicano una crisi del livello di paternitĂ raggiunto in precedenza e lâiniziale germinazione di un nuovo modo di essere.
Per lâeconomia di questo primo capitolo â che non è affatto storico, ma solo indicativo di alcuni assi di sviluppo della paternitĂ â si privilegerĂ il ricorso a quadri sociali di questâultimo secolo e in particolare dei decenni piĂš recenti, per meglio capire il travaglio del ruolo paterno.
Novecento (film del 1976 diretto da Bernardo Bertolucci) è un formidabile affresco dellâItalia. La dimensione ideologica di questo film è sicuramente corposa, ma non limita la sostanziale correttezza interpretativa di molte vicende che hanno caratterizzato il secolo scorso, nelle quali è possibile intravedere molti ritratti di padri con le caratteristiche della loro generazione. Ă la storia di due ragazzi, di due famiglie, di due classi, di due mondi dentro un universo tutto sommato coeso. I due ragazzi sono amici pur essendo lâuno figlio di latifondisti e lâaltro di contadini. I loro giochi non sembrano risentire della conflittualitĂ esistente tra le due classi, quella dei servi e quella dei padroni, almeno fin quando la loro gioventĂš non polarizzerĂ la diversitĂ delle radici e degli sviluppi della vita, certamente differenti tra i due, almeno a partire dalla Grande Guerra, combattuta soltanto dal piĂš povero. Uno diventerĂ padrone della fattoria e lâaltro capo dei braccianti. Il primo sarĂ connivente dei fascisti, lâaltro il suo antagonista e giudice alla fine della dittatura. La trama cosĂŹ riassunta non rende ragione della bellezza e profonditĂ di alcune sequenze, dove la forte connotazione dei padri corazza le identitĂ dei figli, tanto da renderli comunque capaci di fronteggiare gli sconvolgimenti del secolo senza arrendersi al tramonto di una civiltĂ , che non viene avvertito, tanto resta profonda la nostalgia di essa. Non per nulla i ragazzi sono nati nello stesso giorno e nella stessa pianura emiliana, e con loro permane, nonostante le avversitĂ personali e collettive, lâomogeneitĂ di un universo solidale.
Non altrettanto può dirsi del quadro sociale che realisticamente emerge da La meglio gioventĂš (film del 2003 diretto da Marco Tullio Giordana), dove due fratelli vivono le vicende degli ultimi decenni del Novecento a partire dallâalluvione di Firenze e dal Sessantotto, per giungere agli anni di piombo, allâomicidio di Giovanni Falcone e a Tangentopoli. Anche qui la storia viene vista attraverso la progressiva differenziazione delle condizioni di vita dei fratelli (uno psichiatra, lâaltro poliziotto), accomunati dal diventare una generazione profondamente diversa da quella dei loro genitori.
Per facilitare lâanalisi dei tratti dei differenti padri di questâultimo periodo si tracciano di seguito alcune sommarie indicazioni.
Gli anni Cinquanta sono caratterizzati dallâAmerica, che è la superpotenza economica piĂš ricca del mondo e può permettersi un tenore di vita che gli europei, a causa della guerra, soltanto si sognano. I giovani inseguono i miti del selvaggio con la moto e il giubbotto di pelle per assomigliare a Marlon Brando (Il selvaggio, 1954), oppure imitano James Dean con la sua spettacolare Porsche Spider 550 (lâautomobile che lâattore stava guidando quando morĂŹ nel 1955), per scrollarsi di dosso il rispetto scrupoloso dei doveri e la miseria dei propri genitori. Ma Hollywood costruisce un nuovo idolo: Elvis Presley. Con lui i giovani padri di quel tempo si distinguono per lâesibizione ritmata dei movimenti pelvici, i capelli a banana, le lunghe basette, i giacconi di pelle, i jeans. Elvis di fatto rappresenta quella che fu definita la prima generazione di giovani: non un periodo di vita tra lâinfanzia e lâetĂ adulta, con tutte le differenze derivanti dallâetnia di appartenenza, ma un modo di essere trasversale ai gruppi sociali. Anche lâItalia è affascinata dal mondo opulento dâoltre oceano: basti ricordare il sogno di Alberto Sordi in Un americano a Roma (1954). Tuttavia, la vita di quei padri continua a essere dominata dal trinomio lavorochiesa-famiglia. Il mondo privato e quello pubblico si valorizzano reciprocamente anche a livello morale. In questo paese ordinato e orientato allo sviluppo economico7, i giovani certamente entrano in conflitto con i loro genitori, ma solo perchĂŠ questi non si adeguano alla modernitĂ incalzante. Se pure hanno piĂš soldi da spendere, sono tuttavia anticonformisti nei consumi, ma conformisti dal punto di vista etico e valoriale.
Negli anni Sessanta emerge la rivendicazione di nuovi diritti e stili di vita in lotta contro la cultura tradizionale, orientata appunto allo sviluppo consumistico. La controcultura giovanile vuole il rinnovamento della morale, ritenuta ipocrita. Essere giovani significa assumere un impegno sociale e politico capace di trasformare le relazioni interpersonali, la religione, la politica, il lavoro e la scuola grazie al privato che diventa pubblico, cioè ai nuovi spazi di libertĂ che devono ridefinire le vecchie regole e istituzioni. Lâobbedienza non è piĂš una virtĂš.
Questo processo non è cosĂŹ omogeneo nel mondo. In America i figli dei fiori, gli hippies, desiderano evadere dalla cultura occidentale, avere una vita semplice e improntata a un comunismo individualistico, unâespansione delle capacitĂ personali anche attraverso la droga. In Inghilterra nasce il beat. La canzone My Generation nel 1963 segna lâinizio non solo di una rivoluzione musicale, ma soprattutto dellâantagonismo contro gli adulti al grido di âSpero di morire prima di diventare vecchioâ (The Who).
LâItalia, pienamente coinvolta nei processi di industrializzazione e nel boom economico, nella seconda metĂ degli anni Sessanta è preoccupata dai fermenti di contestazione. Il mondo della scuola è scosso dalla richiesta di rinnovamento della Lettera a una professoressa di don Milani. La gioventĂš, sedotta dalla nuova compagnia della tv, risponde a modo suo, suggestionata da una parte dalle ballate folk di Dylan, che parlano di pace e libertĂ , dallâaltra dal piĂš spensierato beat inglese. Però i Nomadi cantano Dio è morto di Guccini, che viene censurata dalla RAI.
In particolare negli anni Settanta, in Italia, la contestazione sta gradualmente variando il significato dellâetica (cosa è bene? Cosa è male?) e imponendo modifiche alle tradizionali regole, gerarchie e strutture. La fine degli anni Settanta è caratterizzata dalla ricerca di stili di vita individualizzati, che enfatizzano la vita privata e svalutano quella pubblica. PoichĂŠ tramonta il sogno di trasformare la societĂ , il volontariato, cioè lo sforzo individuale, diventa il sostituto della politica.
Molti giovani cercano il disimpegno, visto il tramonto degli ideali del Sessantotto, e sono trascinati dal riflusso. Come reazione allâipocrisia di una societĂ che ha rincorso la filosofia individualista degli hippies, comodamente fuggiti nei paradisi della droga, emerge il punk, che vuole distruggere tutto e denunciare con rancore la condizione dei ragazzi delle borgate e delle periferie. Rapato a zero o con capelli irti dai colori appariscenti, dichiara la sua identitĂ provocatoria insieme al disprezzo della societĂ dei consumi, causa di tante sofferenze. N...