5. Compendio di drammaturgia ed arti sceniche: gli strumenti del nostro lavoro
La drammaturgia
Ho insegnato drammaturgia per sette anni alla Scuola dâArte Drammatica di SĂŁo Paulo, per altrettanti e piĂš ho diretto seminari di drammaturgia a Rio, SĂŁo Paulo e Porto Alegre. Basavo i miei corsi su un sistema di leggi, non leggi coercitive â che dovessero esser obbedite a tutti i costi â ma strumenti utili al drammaturgo per facilitargli il compito: per risolvere problemi, individuare debolezze o errori logici nella struttura del dramma, ecc. Intendetemi: ero il professore e dovevo impartire lezioni sufficientemente chiare e funzionali; non davo ricette, ma suggerimenti.
E vennero tempi di altre esperienze, altri cammini e forme teatrali. Ora però il Teatro Legislativo richiede nuovamente di far riferimento ad uno schema attendibile, ad una struttura piĂš o meno stabile: chi partecipa a questâesperienza non ha mai fatto teatro ed ha bisogno di appoggiarsi a qualche certezza prima di lanciarsi in esperimenti.
Dunque veniamo al mio sistema, âmioâ con lâausilio di vari teorici del teatro.
Leggi o regole
Brunetière, autore francese del secolo XIX, si domandava se per disciplinare la drammaturgia possono esser formulate leggi o solamente regole. Analizzava innanzitutto la celebre legge âdelle tre unitĂ â espressa da Aristotele nella Poetica, laddove il filosofo raccomanda ai drammaturghi di contenere tutto lo sviluppo dellâazione drammatica nel periodo massimo di un giorno (unitĂ di tempo). Questo è quanto accadeva nella tragedia greca, ma non, per esempio, nel dramma elisabettiano. Io però concordo con Aristotele, sono del parere che è bene concentrare lâazione â a meno che non sia proprio necessario far diversamente â nel piĂš breve intervallo di tempo possibile. Lo stesso Brunetière dĂ un buon esempio quando cita la versione Hollinshed del Romeo e Giulietta, su cui si basò Shakespeare, in cui la storia dâamore durava anni e non era cosĂŹ fulminante come nel dramma che conosciamo; per questa ragione esitava a imporsi. Shakespeare intensifica le emozioni in gioco ed estremizza il conflitto: i risultati provano che concentrare lâazione nel minor tempo possibile è una buona regola, salvo casi in cui lâautore sia costretto a fare il contrario, come Ibsen nel Peer Gynt o Strindberg nel Viaggio di Pietro, il fortunato.
Spesso verifichiamo nei gruppi la tendenza a raccontare saghe che non finiscono piĂš, estendendosi nel tempo e nello spazio. La prima regola ci insegna a concentrare lâazione nel tempo, invece di frammentarla e disperderla raccontando tutta la storia nella successione cronologica in cui è realmente avvenuta. Ciò che importa è la realtĂ dellâimmagine, non lâimmagine pedissequa della realtĂ . Importa mostrare come stanno veramente le cose, diceva Brecht, e non come esse si mostrano nella realtĂ .
La seconda regola della legge delle unitĂ di cui parla Aristotele si riferisce allâazione drammatica (o tragica) che dovrebbe essere una sola, la principale, da cui le altre dipendono, come nellâEdipo Re di Sofocle: tutto quanto accade in scena ha una relazione diretta con lâindagine intrapresa da Edipo per scoprire lâassassino di suo padre Laio, indagine che si conclude su Edipo stesso. La struttura rispettata nella tragedia greca si presenta identica in Racine, nella Fedra per esempio. Questo non impedisce a Brecht di far il contrario in Terrore e miseria del Terzo Reich, in cui lâintersecarsi di diverse azioni drammatiche e lâaccumularsi di linee di sviluppo nella trama creano un effetto caleidoscopico. Allo stesso modo ha fatto anche Shakespeare nel Re Lear, che contiene due azioni principali parallele, quelle dei due padri, Lear e Gloucester, in rapporto coi rispettivi figli e figlie: in questo caso, ciascuna azione dĂ risalto allâaltra, rafforzandone le caratteristiche attraverso il confronto. Ne consegue che la legge dellâunitĂ dâazione vale in qualitĂ di semplice suggerimento; anche se rimane un buon suggerimento, considerando che i nostri attori comunitari tendono a voler metter di tutto nello spettacolo, imitando la vita reale. Siccome ogni partecipante desidera, ed è comprensibile, includere un pezzetto della propria storia anche se non ha niente a che vedere col tema e con lâazione principale del dramma, si corre un grosso rischio: il patchwork. Assolutamente da evitare! Lâultima delle tre cosiddette leggi dâunitĂ (non formulata da Aristotele, ma a lui attribuita dagli umanisti) fa riferimento ad una possibile unitĂ di luogo: la stessa scenografia deve ospitare tutte le scene dello spettacolo. Pur considerando che il piĂš delle volte è impossibile, vedi le opere di Shakespeare, di Brecht e di tanti altri, nel caso dei nostri drammaturghi comunitari è un eccellente consiglio, a ragione delle difficoltĂ presentate dai cambi di scena (sempre che ci sia piĂš di una scena).
Aristotele ha creato la sua teoria a partire da una pratica corrente per lâepoca, visibile in altre tragedie che certo egli conosceva, per lâappunto concentrate in un solo luogo, in una sola azione principale e sviluppate nella durata massima di un giorno. La concentrazione di tempo, azione e luogo è senzâaltro una buona regola, ma non una legge coercitiva che vieti alternative.
A noi che facciamo lâesperienza del Teatro Legislativo importa concentrarci sullâessenziale, ossia sul tema che vogliamo veramente discutere con le comunitĂ , e cercare di ricondurre a questo tema la tendenza sviante dei gruppi â attratti dallâimitazione della realtĂ , anche quando essa non intrattiene nessun rapporto col tema essenziale. Le tre unitĂ ci servono da regole di convenienza, nel senso che sono buoni suggerimenti e non leggi repressive.
Storia e personaggi
Brunetière disserta poi su questioni allâepoca in sospeso: quale, tra favola (storia, trama) e personaggio deve nascere per primo e condurre il processo di creazione del dramma? Ă il personaggio che detta la sua storia oppure è la storia che modella i suoi personaggi? Annovererei, nel primo caso, autori come Corneille e Ibsen, nel secondo, Racine e Checov: tutti quanti drammaturghi provetti, indipendentemente dal punto di partenza.
E noi? Sebbene ci interessi lavorare sempre con personaggi che le comunitĂ possano riconoscere, insistiamo sullâesigenza di costruire una storia forte, con le sue dinamiche organizzate in una struttura chiara e con il problema che si vuole affrontare in bella evidenza, indicando esplicitamente le possibili vie dâuscita dalla crisi in cui si trova il personaggio. Dunque, per complessi che siano i personaggi, non dobbiamo mai dimenticarci che durante il forum dovremo adattarli a situazioni che potrebbero accadere o giĂ sono accadute a un membro qualsiasi di quella comunitĂ .
Generi puri o ibridi
Altro interrogativo: il genere dovrĂ essere puro (come nella tragedia, vedi la Fedra o lâEdipo Re) oppure è lecito far seguire ad una scena tragica una scena comica? Si pensi alla scena dellâassassinio del re Duncun da parte dei coniugi Macbeth, a cui segue quella in cui il portiere ciucco dice stupidaggini. Le bestialitĂ del portiere, infatti, secondo questa tecnica che alcuni teorici di playwriting definiscono di comic relief, servono a rendere piĂš intenso lâeffetto macabro della successiva rivelazione delle morti multiple. La nutrice di Fedra è una donna perbene, mentre il fool (lo sciocco) che segue dappertutto Re Lear dice cose saggiamente stolide. Che differenza fa, dal momento che lâessenziale è la veritĂ del carattere e non la sua apparenza?
Nel nostro caso, quello del Teatro Legislativo, il rischio è la banalitĂ : la battutina, lâallusione o lo scherzetto senza maggiori conseguenze. Non vogliamo certo fare spettacoli tetri, lugubri e malinconici, ma dâaltronde a cosa servirebbe la caricatura di ciò che vorremmo trasformare, e basta? Il divertimento deve esser provocato per dar risalto alla situazione oppressiva, non per eclissarla o assolverla con una critica superficiale.
Non abbiamo ancora scoperto qual è, sempre che ci sia, lâelemento essenziale per il teatro: quel carattere cosĂŹ necessario, obbligatorio ed assoluto, senza il quale, non ci sarebbe teatro. Vediamo: lâimmagine â la luce â è lâessenza della fotografia. Senza luce, non ci sarebbe fotografia e niente piĂš della luce è indispensabile: il resto è cornice. Lâimmagine in moto è lâessenza del cinema: un oggetto immobile fotografato dĂ una foto, non una sequenza, anche se si impressionassero rullini su rullini di pellicola. Niente è piĂš essenziale al cinema che lâimmagine in movimento, neanche gli attori; può bastare una foglia al vento. Il suono è lâessenza della musica: attraverso il suono udiamo perfino il silenzio. Nulla piĂš del suono è necessario perchĂŠ ci sia musica â anche se Mozart si ascolta meglio allâOpera Bastille e un sambaenredo al Morro da Mangueira19.
Qual è dunque lâessenza del teatro, sempre che ce ne sia una?
La legge del conflitto
Ci risponde Hegel, il filosofo: âLâessenza del teatro è il conflitto tra libere volontĂ â. Ossia: un personaggio è una volontĂ in movimento, che cerca di soddisfare i propri desideri e di raggiungere il suo obiettivo, ma che non riesce a farlo immediatamente. Il personaggio è lâesercizio attivo di una volontĂ che cozza, collide ed entra in conflitto con altre volontĂ , al pari libere e con obiettivi opposti. Nientâaltro è essenziale al teatro: certo non scene e costumi, nĂŠ musica e neppure lo stesso edificio teatrale; senza tutte queste cose posso ancora far teatro, non posso fare teatro senza un conflitto. Tutti questi elementi potenziano, adornano e rendono piĂš intenso il teatro che, tuttavia, non esisterebbe senza il conflitto delle libere volontĂ â aggiunge ancora Brunetière â âlibere e coscienti dei mezzi che impiegano per giungere alla metaâ.
Eppure questa definizione mi sembra ancora troppo generica. Posso farci entrare un dialogo di Platone e un incontro di pugilato: in entrambi i casi i protagonisti del conflitto esercitano la loro libera volontĂ per sgominare lâavversario con lâarma della ragione o della forza.
Caratteristiche delle mete
John Howard Lawson, autore statunitense, precisa: âĂ necessario che le mete dei personaggi siano contemporaneamente oggettive e soggettiveâ. Effettivamente, questa caratteristica manca allâincontro di pugilato, in cui la meta è puramente obiettiva (si tratta di sbattere lâavversario a terra nel minor tempo possibile, magari con un solo knock-out), e anche al dialogo platonico, che affronta come una questione puramente soggettiva, relativa, la possibile definizione del sapere o della virtĂš.
Esiste, peraltro, un dialogo di Platone (quello che, non a caso, è spesso riletto come testo teatrale) in cui i personaggi discutono da un punto di vista etico se Socrate debba rassegnarsi alla sua condanna a morte oppure se debba osteggiarla ed approfittare dellâoccasione di fuga che gli è offerta, scappando allâestero. In questo caso i concetti morali in discussione implicano unâimportante conseguenza oggettiva: Socrate vivrĂ o no? Perciò il dialogo diventa teatrale, anzi, è teatro. Analogamente esistono testi teatrali e sceneggiature sul mondo dei pugili, in cui al centro del dramma non stanno i pugni in faccia (obiettivi e truculenti) ma il significato soggettivo di tanta violenza: il protagonista anela a provare il suo valore, a se stesso o a qualcun altro, desidera ardentemente tornar ad essere il campione⌠questo è teatro! In entrambi i casi, la meta è diventata oggettiva e soggettiva.
Siamo arrivati ad una formula che mi pare, finalmente, completa e soddisfacente: Lâessenza del teatro è il conflitto tra libere volontĂ , coscienti dei mezzi che impiegano per giungere alle proprie mete che devono essere contemporaneamente oggettive e soggettive.
Da una parte le volontĂ non possono accontentarsi di enunciazioni generiche come anelare al bene comune, alla felicitĂ , alla pace universale, ma devono esser concrete: volere il bene di una determinata persona o del popolo, in un certo modo e in un determinato tempo, volere la pace, con tal mezzo e non un altro e a tal prezzo, in modo concreto. E dâaltra parte, le mete debbono avere un peso, un significato necessario e collettivo: quanto piĂš importanti, tanto maggiore sarĂ lâintensitĂ del conflitto per raggiungerle e lâuniversalitĂ del testo.
Nella nostra esperienza col Teatro Legislativo è fondamentale che la volontĂ fatta valere dal protagonista â cioè il personaggio che verrĂ sostituito dallo spett-attore nel forum â sia una volontĂ comprensibile e reale agli occhi del pubblico partecipe che dovrĂ entrare in scena per difenderla, attratto da una relazione di simpatia (una comunione di emozioni, desideri ed intenti) per lâoppresso o lâoppressa. La volontĂ parte dal protagonista e gli appartiene, ma deve essere condivisa dalla comunitĂ : è una volontĂ individuale e sociale.
Le libere volontĂ
Ancora Hegel, nellâEstetica, riflette a fondo sulle libere volontĂ . Gli animali, secondo lui, sono interamente condizionati dallâambiente, dalle costrizioni fisiche, dalle esigenze biologiche, dal codice genetico. Lâuomo, dunque, in quanto animale, è un soggetto programmato e condizionato. Seppur coscientemente, agisce soggiogato dalla paura. Solo il principe, che riunisce in sĂŠ tutti i poteri, può agire senza timore delle conseguenze: Amleto non infilzerebbe Polonio, Laerte e il Re se avesse paura delle guardie. Di modo che, secondo Hegel, perchĂŠ la volontĂ sia davvero libera è necessario che i suoi impulsi possano realizzarsi materialmente, diventando fatti. Il personaggio tragico per eccellenza è perciò il principe, potente e temerario.
Dâaltro canto, però, la libertĂ del personaggio non devâessere confusa con la sua libertĂ da impedimenti fisici o materiali. Prometeo, seppur incatenato, è libero come deve esserlo un dio e, anche se tutti i giorni il suo fegato è divorato dagli avvoltoi, egli continua imperterrito a bestemmiare contro Zeus e a gridare al cielo il suo rigetto degli dei e la sua devozione per gli uomini. Hegel cita un quadro di Murilo in cui un monello riceve una frustata perchĂŠ ha rubato un frutto, ma, proprio mentre è punito, lo mangia con gusto.
Hegel insiste sullâesigenza che le libere volontĂ dei personaggi non siano capricci: debbono essere dirette ad obiettivi essenziali, razionali ed universali, e non a futilitĂ soggettive, accidentali e particolari. Siccome la trama sâintesse a partire da caratteristiche particolari, allora tali caratteristiche devono risultare inscritte nellâuniversale. Vediamo dunque le diverse forme in cui la libera volontĂ si manifesta.
- â˘VolontĂ semplice. Ă la volontĂ espressa da un personaggio che desidera intensamente ed esclusivamente raggiungere unâunica meta: Iago, dalla prima allâultima scena dellâOtello, vuole la perdizione del suo signore; Riccardo III, dallâinizio alla fine del dramma omonimo, vuole il potere assoluto; Tartufo non pensa ad altro che ai soldi di Orgone, che gli porterebbe in dote la moglie.
- â˘VolontĂ dialettica. Ă la volontĂ di un personaggio che vive dentro di sĂŠ, con intensitĂ variabile, un conflitto tra opposti desideri. Paradigmatico per questo caso è Amleto, che vuole âessere e non essereâ: non significa indecisione, ma collisione tra decisioni ed intenti contrari. Similmente, Bruto, nel Giulio Cesare, brama la felicitĂ e, insieme, la morte di Cesare, suo padre e protettore.
- â˘VolontĂ plurale. Non si riscontra in un solo personaggio, bensĂŹ in diversi personaggi che hanno in comune una stessa volontĂ espressa nella medesima forma o in forme non dissimili. Ă il caso del popolo contro Marco Antonio subito dopo la morte di Cesare. GiacchĂŠ le forme in cui si manifesta la volontĂ non sono mai identiche, essa si afferma tramite trasformazioni lente e graduali del consenso, a partire da una iniziale ingenuitĂ . Ă il caso della plebe contro Coriolano: chi piĂš stupido, chi piĂš astuto, tutti aspirano alla rivolta. Oppure dei cittadini contro il Dr. Stockmann nel Nemico del popolo di Ibsen: tutti quanti ansiosi di conservare lâapparenza che le acque termali della loro cittĂ (fonte di reddito per tutti) siano pure e medicinali, pur sapendo che sono inquinate.
- â˘VolontĂ fondamentale. Ă quella che Stanislavskij denomina âsuper-obiettivoâ permanente, da cui dipendono, nel medesimo personaggio, in posizione subordinata, le volontĂ secondarie. La volontĂ fondamentale di Amleto è vendicare lâomicidio del padre; i suoi intenti secondari sono passar per pazzo agli occhi di Rosencranz e Guildernstern, far ammattire Polonio, convincere la madre a lasciare lo zio e, rispetto ad Ofelia, una volontĂ dialettica in cui si scontrano lâamore e il convento.
- â˘VolontĂ -luna. Secondo la definizione di Etienne Souriau, è la volontĂ che scaturisce in un personaggio a dipendere dalla volontĂ di un altro: quella di Orazio che soggiace a quella di Amleto; quella di Siro a quella di Callimaco, nella Mandragola di Machiavelli; quella della Nutrice a quella di Fedra, nella tragedia omonima di Racine. Si tratta sempre di un consigliere, di un servo, di un amico la cui volontĂ risulta condizionata da quella del protagonista.
- â˘VolontĂ negativa. La volontĂ può manifestarsi come intento negativo: il personaggio non vuole fare qualcosa, oppure desidera esattamente il contrario di ciò che altri gli voglion far fare. Nella Strada del tabacco di Erskin Caldwell câè un bel personaggio di contadino (Jeeter Lester) che, nonostante lâinvasione inevitabile delle sue terre da parte di speculatori che vi costruiranno palazzi, mostra unâirremovibile ostinazione nel voler rimanere. Nellâultima scena, mentre i trattori giĂ avanzano come carri armati, Jeeter sonnecchia nella sua veranda e socchiude appena gli occhi quando quelli cominciano a demolirgli la casa.
- â˘VolontĂ e contro-volontĂ . Con intensitĂ maggiore o minore, si manifesta in tutti i personaggi e per ciascuno è definita da chi inventa, dirige o interpreta il ruolo. La contro-volontĂ insorge dallâinterno del personaggio contro la sua volontĂ : è la paura di essere respinto quando si fa una dichiarazione dâamore, la paura di essere sconfitto quando si sta in testa ad uno sciopero. La stessa volontĂ talvolta genera una controvolontĂ : Romeo ama appassionatamente la sua Giulietta, ciò nonostante la fanciulla potrebbe anche venirgli a noia, giacchĂŠ lo contraria tanto, esige il matrimonio segreto per poter far lâamore, pretende che lui le resti accanto anche a rischio di vita. CosĂŹ lo scioperante, seppur convinto della necessitĂ di scioperare, può dubitare della legittimitĂ di ciò che sta facendo. Al centro del lavoro dellâattore non câè solo lâanalisi della volontĂ fondamentale e della contro-volontĂ del personaggio, ma di tut...