CAPITOLO 1: IDENTITĂ, NAZIONI, CONFINI
di Marco Siragusa
Affrontare il tema delle identitĂ nei Balcani è sempre complicato e pericoloso. Nel prendere in esame lâargomento si corrono in primo luogo due rischi: da un lato, quello di trattare la regione come un luogo in cui identitĂ reciprocamente escludenti si scontrano tra loro, dallâaltro, si rischia al contrario di presentarla come un unicum, andando inevitabilmente a semplificare e appiattire storie e culture.
Che le questioni identitarie siano state in molte occasioni tra i motori storici della regione è fuor di dubbio. Probabilmente una facile soluzione è riconoscere che non esiste unâunica, nĂŠ tanto meno omogenea, âidentitĂ balcanicaâ, evitando però di sfruttare in maniera strumentale diversitĂ e contrapposizioni, come nel rimarcare, ad esempio, la superioritĂ di un popolo rispetto a un altro. Se, da un lato, è necessario saper riconoscere lâereditĂ delle diverse culture che hanno caratterizzato la regione, dallâaltro esse non devono venire utilizzate quali elementi fondanti e giustificatori di uno scontro tra popoli.
Insieme a ciò bisogna però ammettere che le ereditĂ storiche lasciano ancora oggi aperte tante questioni, prima fra tutte quella delle rivendicazioni territoriali. Ciononostante, câè stato (almeno) un periodo in cui il tema identitario ha assunto caratteri diversi. Lâesperimento della Jugoslavia socialista infatti non si basava piĂš tanto sullâidea di nazione, come accaduto fino alla prima metĂ del Novecento, bensĂŹ sullâabbattimento delle discriminazioni tra classi sociali. Sorto dalle ceneri della Seconda guerra mondiale, questo stato ha provato a superare la questione nazionale inserendola nella piĂš ampia lotta in nome di una societĂ senza divisioni. Lâesperienza, tuttavia, dopo aver garantito pace e prosperitĂ per quasi cinque decenni (dal 1945 al 1992), è notoriamente implosa su se stessa anche per la mancata risoluzione definitiva del problema nazionale.
Oggi, a completare il quadro, vi è la presenza di una nuova forma di identitĂ , che del tutto ânuovaâ poi non è. Si tratta dellâidentitĂ europea, incarnata idealmente dallâUnione Europea, ed equivalente allâinsieme di valori e istituzioni che oggi rappresentano, almeno a parole, lâorizzonte privilegiato della regione balcanica. UnâidentitĂ , lâunica dai tempi dellâesperienza jugoslava, che potrebbe permettere il superamento dei particolarismi, ma che purtroppo si rivela troppo spesso poco piĂš di uno specchietto per le allodole capace, nella migliore delle ipotesi, di mantenere uno status quo controproducente o, nelle ipotesi peggiori, di aggravare le distanze tra stati e popoli.
In Europa ci si domanda con sempre piĂš insistenza se abbia ancora senso definirsi italiani, tedeschi o francesi, o se valga la pena cominciare a immaginarsi e definirsi come âeuropeiâ. Per i popoli dei Balcani occidentali essere âeuropeoâ equivale a essere accettati nel club dei grandi, uscire da quella condizione di perenne subalternitĂ e pregiudizio che li ha travolti loro malgrado per secoli.
Il capitolo è suddiviso secondo aree tematiche che tengono in considerazione le questioni identitarie che piĂš hanno influenzato le relazioni tra i popoli della regione. Tra queste, lâidentitĂ religiosa, le differenze etniche, lâappartenenza di classe nel sistema socialista, i nazionalismi, le rivendicazioni territoriali e come queste abbiano continuamente modificato i confini statali. EmergerĂ in maniera evidente come le diatribe odierne legate alle questioni identitarie, nazionali e territoriali risalgano in larga misura a traumi ed eventi storici dalle radici tanto antiche quanto recenti (del Novecento, in primo luogo). Oggi si stagliano e si intersecano tuttavia su un nuovo piano europeo e globale, facendosi talvolta riflesso ed espressione di tendenze rintracciabili anche in altri macro-contesti meno strettamente regionali.
La religione
Uno degli elementi fondamentali da tenere in considerazione quando si parla di Balcani occidentali è sicuramente costituito dalla religione, capace di agire contemporaneamente sia come collante interno alle comunitĂ , sia come fattore disgregante verso lâesterno. I Balcani presentano un puzzle religioso estremamente variegato, risultato dellâereditĂ storica delle lunghe dominazioni che hanno caratterizzato la storia della regione.
Per oltre sei secoli (1109-1797) gran parte della costa adriatica, specialmente nelle aree dellâIstria, della Dalmazia, del Montenegro e dellâAlbania, è stata amministrata dalla Repubblica di Venezia. Le zone interne subirono invece la dominazione delle altre grandi potenze dellâarea. Da un lato, Austria e Ungheria, nelle loro varie forme e denominazioni, che tra il 1102 e il 1918 occuparono lâarea corrispondente alle odierne Slovenia, Croazia e il nord-ovest della Bosnia ed Erzegovina. Dallâaltro lato, lâImpero Ottomano, che tra il XIV secolo e lâinizio del XX secolo occupò il territorio che si estende dalla Bosnia centro-meridionale fino allâAlbania.
Questa divisione ha avuto ripercussioni anche in termini religiosi. Nelle aree che si trovavano sotto il controllo austro-ungarico si diffuse maggiormente, sebbene non in maniera esclusiva, il cattolicesimo. Non a caso i paesi della regione a maggioranza cattolica sono Slovenia (70%) e Croazia (86%). Curioso è il dato, registrato dallâEurobarometro nel 2019, relativo alle persone che si dichiarano atee o agnostiche in Slovenia: rispettivamente il 14% e il 4%. Un dato che deriva da una piĂš profonda secolarizzazione delle istituzioni slovene.
Ben diversa invece la presenza della religione nella societĂ in Croazia: il paese è infatti fortemente legato alla Chiesa cattolica romana, la quale non ha mancato di garantire il proprio sostegno nelle varie fasi della lotta per la creazione di uno stato croato. Durante la Seconda guerra mondiale, si distinse la figura del noto cardinale Alojzije Viktor Stepinac, accusato di collaborazionismo con i nazisti; nel conflitto degli anni Novanta, invece, ricordiamo il supporto di papa Giovanni Paolo II allâindipendenza dalla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Un altro aspetto che sottolinea la volontĂ di distinguersi dagli altri popoli slavi è il mantenimento dellâalfabeto glagolitico, in alternativa a quello cirillico, in ambito religioso e, ancora oggi, in molti monumenti dallâafflato nazionale.
La dominazione ottomana riguardò invece la parte centro-meridionale dei Balcani ed ebbe inizio con la storica battaglia di Kosovo Polje (Piana dei Merli) del 1389 che vide contrapporsi lâesercito imperiale e unâalleanza di principi locali cristiani guidata dal serbo Lazar HrebeljanoviÄ. Nonostante la sconfitta, lâevento è considerato dai serbi come un momento eroico della propria storia in cui vi si autorappresentano come strenui difensori della cristianitĂ contro lâavanzata islamica in Europa. La battaglia viene cosĂŹ utilizzata quale elemento fondativo dellâidentitĂ serba e su essa poggiano anche le attuali rivendicazioni sul territorio del Kosovo, considerato di conseguenza la culla della cultura serba.
Uno dei lasciti piĂš evidenti della dominazione ottomana è la presenza di ampie aree a maggioranza musulmana: oggi la Bosnia ed Erzegovina (51% della popolazione), lâAlbania (56,7%) e il Kosovo (95%) sono gli unici paesi europei con una maggioranza non cristiana della popolazione. A questi territori si aggiungono le regioni del Sangiaccato serbo, nel sud del paese, e quella del Polog in Macedonia del Nord al confine con Albania e Kosovo. In Bosnia ed Erzegovina il puzzle religioso ricalca quello etnico con la presenza di circa un 30% di ortodossi e di un 15% di cattolici. In Albania il 13,7% della popolazione si dichiara atea o agnostica, un lascito evidente del lungo periodo comunista, mentre il 10% si confessa cattolico e il 6,7% ortodosso.
Nonostante lâIslam âbalcanicoâ sia sempre stato di stampo moderato e lontano dalla rigiditĂ tipica di alcuni paesi arabi, tanto da conoscere ampie forme di sincretismo con le altre religioni e usanze tradizionali, negli ultimi anni si sono manifestati significativi segnali di radicalizzazione. Un fenomeno reso evidente dallâalto numero, comparato alla popolazione totale, di combattenti partiti per partecipare a fianco dello Stato Islamico nella guerra in Siria. Secondo lâInternational Centre for the Study of Radicalisation and Political Violence (ICSR), tra il 2012 e il 2015 sono stati circa 330 i foreign fighters partiti dalla Bosnia e, secondo stime governative, circa 300 quelli provenienti dal Kosovo.
Il terzo grande nucleo religioso dei Balcani è rappresentato infine dai cristiani ortodossi. Questi sono la maggioranza in Serbia (84,6%), Montenegro (72%) e Macedonia del Nord (69,6%). In questi ultimi due paesi lâIslam è professato rispettivamente dal 19% e dal 28% della popolazione.
Divenuta autocefala nel 1219 sotto la guida di san Sava, la Chiesa ortodossa serba ha giocato un ruolo centrale nella politica del paese sin dalla sua nascita. Lo stesso Sava era figlio di Stefan Nemanja, il primo che riuscĂŹ a riunire i serbi in un unico stato nel 1168. Nei secoli la Chiesa ha spesso agito come entitĂ politica parallela a quella statale, acquisendo un peso significativo nelle vicende regionali. Appoggiò dapprima il Regno di Jugoslavia instaurato nel 1929 da re Alessandro e collaborò poi, durante la Seconda guerra mondiale, con la fazione filo-monarchica dei ÄetÂnici. Inizialmente sostenitrice di Slobodan MiloĹĄeviÄ e dellâidea di una Grande Serbia, nelle guerre degli anni Novanta la Chiesa ortodossa locale appoggiò le azioni di pulizia etnica dei gruppi paramilitari guidati da Radovan KaradĹžiÄ, Ratko MladiÄ e Ĺ˝eljko RaĹžnatoviÄ, noto come Arkan.
PiĂš recentemente, nellâautunno 2019, dopo lâapprovazione di una contestata legge sulle proprietĂ religiose da parte del governo montenegrino, la Chiesa ortodossa serba è stata in prima linea nella grande mobilitazione che ha contribuito, un anno dopo, alla sconfitta elettorale di Milo ÄukanoviÄ, da trentâanni al potere.
Si intuisce allora come nei Balcani occidentali lâappartenenza religiosa risulti essere un elemento ancora fondamentale nellâidentificazione nazionale.
Lâetnonazionalismo di inizio Novecento
Se lâelemento religioso ha contribuito a distinguere tra diverse identitĂ nella regione, lâaspetto etnico e quello nazionale hanno avuto conseguenze importanti sui confini e sullâorganizzazione statale dei popoli. Le lotte per il riconoscimento di una propria entitĂ statale indipendente hanno scandito le evoluzioni e le trasformazioni politiche della regione soprattutto negli ultimi due secoli.
Il dominio dei grandi imperi cominciò a esser messo in seria discussione allâinizio dellâOttocento. A partire dal 1804 in Serbia scoppiarono dure rivolte contro lâImpero Ottomano, considerate come la fase preparatoria di un piĂš ampio e completo processo di indipendenza e âdeottomanizzazioneâ della regione. Le rivoluzioni europee del 1848 e i processi di unificazione tedesco e italiano contribuirono alla diffusione di sentimenti nazionalisti cui seguirono importanti scontri militari, come la rivolta in Bosnia ed Erzegovina del 1875. Tre anni dopo, nel 1878, il Congresso di Berlino riconobbe lâautonomia del Montenegro e lâindipendenza della Serbia. La Bosnia ed Erzegovina continuò a rimanere formalmente territorio ottomano, ma venne posta sotto la tutela austro-ungarica fino al 1908, anno in cui venne definitivamente annessa a Vienna. A differenza di quanto avvenuto negli anni Novanta del secolo scorso, molto spesso le lotte nazionali dellâOttocento non avevano un carattere esclusivo, tendente alla creazione di stati etnicamente omogenei. Ne è dimostrazione la diffusione delle prime idee di carattere compiutamente jugoslavista giĂ a metĂ del secolo, portate avanti soprattutto da due preti cattolici croati: Josip Juraj Strossmayer (1815-1905) e Franjo RaÄki (1828-1894).
Ă tuttavia nei primi anni del Novecento che la questione nazionale raggiunge il suo culmine. Il momento di svolta è rappresentato dalle due guerre balcaniche del 1912 e del 1913. La prima vide contrapporsi i regni di Montenegro, Serbia, Bulgaria e Grecia, riuniti nella Lega Balcanica, contro lâImpero Ottomano. La vittoria della Lega venne sancita dal Trattato di Londra del 1913 che riconobbe lâindipendenza dellâAlbania, ma non riuscĂŹ a trovare una soluzione soddisfacente per la Macedonia, contesa tra Serbia, Bulgaria e Grecia. Proprio lo scontro su questo punto portò alla Seconda guerra balcanica, che vide la Bulgaria attaccare gli ex alleati uscendo, però, sconfitta dopo appena due mesi di combattimenti. La pace di Bucarest garantĂŹ alla Grecia parte della zona meridionale della Macedonia, fino a Bitola. Il resto del territorio venne annesso alla Serbia, che si candidava cosĂŹ ad assurgere al ruolo di paese guida nellâunificazione dei popoli slavi meridionali.
Fu proprio lâidea della liberazione dei popoli slavi dalle dominazioni imperiali e la formazione di unâunica nazione jugoslava (letteralmente, degli âslavi del sudâ da jug, sud) a spingere il giovane Gavrilo Princip ad assassinare lâarciduca Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia il 28 giugno 1914 sul ponte Latino di Sarajevo. Come è noto, lâevento rappresentò il casus belli della Prima guerra mondiale, alla conclusione della quale nacque, il 1o dicembre 1918, la prima esperienza jugoslava: prese forma allora il Regno di Sloveni, Croati e Serbi sotto la guida di re Pietro I e di suo figlio Alessandro KaraÄorÄeviÄ. Per la prima volta i popoli slavi meridionali si ritrovavano dunque riuniti in unâ...