Capitolo 1.
La Comunicazione Strategica
âConosci gli altri e te stesso:
cento battaglie, senza pericoli.
Non conosci gli altri, ma conosci te stesso:
a volte vittoria, a volte sconfitta.
Non conosci gli altri nÊ te stesso: ogni battaglia è
una sconfitta certaâ.
Sunzi
Negli anni â50 un ristretto gruppo di studiosi iniziò a riferire alla comunicazione lâaggettivo âstrategicaâ per definire un insieme specifico di modalitĂ e tattiche di interazione finalizzate a produrre cambiamenti pianificati nel comportamento umano.
Lâidea che la comunicazione, opportunamente utilizzata, potesse avere effetti dirompenti in molti settori della vita umana, prese forma a Palo Alto, negli Stati Uniti, dallâosservazione degli scambi comunicativi e delle strutture interattive in famiglie di pazienti schizofrenici. In questi scambi e in queste conversazioni erano presenti ridondanze e schemi che tendevano a presentarsi nei nuclei familiari osservati. Nacque cosĂŹ lâipotesi che la patologia psicologica non derivasse da un disturbo dellâindividuo o da qualche trauma infantile, ma fosse indotta o rinforzata dalla disfunzionalitĂ delle interazioni familiari.
Partendo da tali premesse, i padri della moderna âcomunicazione strategicaâ, Haley, Jackson, Weakland e Watzlawick scoprirono che è sufficiente cambiare gli schemi comunicativi mediante nuove strategie di interazione per ottenere significativi e rapidi miglioramenti nella condizione dei pazienti.
Va detto, comunque, che i primi ad avvalersi con notevole profitto del potere della comunicazione strategica furono filosofi e politici della Grecia antica ben 400 anni prima di Cristo (Skorjanek 2000, Nardone 2005) e, ancor prima di loro, i cinesi, che seppero applicare stratagemmi comunicativi di incredibile efficacia nelle arti belliche piĂš di 700 anni prima di Cristo. (Magi 2003, Nardone, 2005).
La sapienza âstrategicaâ ha, dunque, una tradizione millenaria e una storia scientifica recente (Secci, 2005). Gli studiosi della Scuola di Palo Alto e i loro allievi che oggi si occupano di comunicazione strategica, non hanno scoperto qualcosa, ma hanno formalizzato antiche intuizioni in modelli che possano essere trasferiti ed insegnati. Forse, uno dei maggiori contributi degli scienziati della comunicazione è stato riconoscere e affermare senza esitazioni che la comunicazione è un processo di influenzamento continuo (Watzlawick, Beavin e Jackson, 1974). Se lâatto stesso di comunicare influenza lâaltro ed è impossibile evitare che ciò accada, allora tanto vale programmare e orientare volontariamente questo potere per conseguire obiettivi. Eâ strategico il comunicatore che è consapevole dellâinfluenza dei propri atti comunicativi e la utilizza per scopi chiari e definiti.
Le scoperte della Scuola di Palo Alto hanno reso âstrategicheâ la psicoterapia, la direzione aziendale, il marketing, lâinsegnamento e la politica, eppure questo particolare approccio alla comunicazione è ancora poco noto nella maggior parte degli ambienti sanitari. Ciò si deve forse al fatto che psicologia e professionisti della salutena sono ancora separate dalla medievale contrapposizione tra mente e corpo, tra âoggettivitĂ â e âsoggettivitĂ â. E poi, le arti della comunicazione vengono spesso svalutate da chi non le utilizza. Per fortuna, tra i professionisti della salute e, piĂš in generale, tra i professionisti della salute, è sempre piĂš diffusa la consapevolezza che curare la comunicazione col paziente è una prioritĂ nella cura del male (Secci, 2005). Anzi, molti dei padri della comunicazione strategica furono proprio professionisti della salute, o esercitavano per scopi clinici la propria abilitĂ interpersonale. Per esempio, uno tra i primi comunicatori strategici, un sofista di nome Antifonte di Ramunte, vissuto a Corinto intorno al V secolo avanti Cristo, aprĂŹ nel centro della cittĂ una sorta di ambulatorio professionista della salute dove sanava i propri pazienti attraverso la parola (Skorjanec, 2000). Innanzitutto, Antifonte faceva parlare il malato della sua sofferenza e poi, utilizzando il linguaggio del paziente stesso, lo spingeva a immaginare una realtĂ della malattia diversa, una situazione in cui sarebbe guarito (Watzlawick, 1977). Bisogna precisare che Antifonte si occupava di guarire âsindromi dâangosciaâ (ansia, panico, profonda tristezza, ecc.) e, con ogni probabilitĂ , i sintomi anche fisici di quella che piĂš tardi verrĂ chiamata isteria.
Si riscontrano tracce di pensiero strategico anche in Galeno, che nel II secolo dopo Cristo insegnava ai sui allievi che âLa cura ha piĂš successo in chi ha fiduciaâ.
Il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, era un professionista della salute. Forse, lo straordinario successo delle sue teorie fu dovuto in parte al fatto che la psicoanalisi imponeva in ambito professionista della salute la regola aurea dellâascolto, che è uno dei prerequisiti della comunicazione strategica.
Dunque, la comunicazione cura, o aiuta a curare, il corpo.
Ma quando la comunicazione può essere considerata strategica?
Si può subito affermare che, per quanto concerne lâambito della salute, è strategica la comunicazione pianificata per conseguire obiettivi nellâinteresse del paziente, e del professionista della salute.
Infatti, il rapporto professionista della salute-paziente è una situazione comunicativa in cui lâobiettivo è comune e condiviso, e la logica non è di tipo mors tua-vita mea (gioco a somma zero), ma vita tua-vita mea. Se uno solo dei due âperdeâ, entrambi âperdonoâ. Se, viceversa, professionista della salute e paziente cooperano affinchĂŠ la relazione comunicativa abbia successo e faciliti la cura, entrambi âvinconoâ.
Il delicato mandato âstrategicoâ del professionista della salute o dellâoperatore sanitario consiste nel:
⢠condurre la relazione;
⢠accompagnare il paziente verso lâobiettivo clinico;
⢠mantenere sempre elevate la motivazione e la fiducia proprie e del paziente;
⢠assicurare buoni livelli di compliance e gestire nel modo migliore possibile eventuali imprevisti
A volte, adempiere a tale compito è per il professionista della salute unâattivitĂ semplice, spontanea e immediata. Con molti pazienti non occorre, infatti, assumere coscientemente un atteggiamento strategico, o adottare particolari tattiche. Si tratta dei pazienti con cui la comunicazione, semplicemente, fluisce, genera equilibri funzionali alla cura e costruisce regole che facilitano il lavoro dellâoperatore.
Altre volte, però, la relazione col paziente (e/o coi suoi familiari) è critica e la cura può risentirne. In questi casi, sono a rischio sia il benessere del paziente che quello dellâoperatore sanitario. Accade con pazienti coi quali il professionista della salute fatica a comunicare, i pazienti sfiduciati, quelli che mettono in discussione il ruolo e il âpotereâ terapeutico di chi lo ricopre. Eâ critica la comunicazione coi pazienti che sembrano âdisobbedireâ al professionista della salute, che non seguono le prescrizioni, o che le seguono a modo proprio. Con questi pazienti lâatteggiamento del professionista della salute deve essere pensato e pianificato. Il professionista della salute deve poter attingere a un repertorio di tattiche che migliorino la relazione per tutelare il paziente, la cura e se stesso. Eâ evidente che lâoperatore sanitario è strategico se è in grado di comportarsi non solo come esperto dâorgano, ma anche come esperto di processo. Lâesperto di processo sa captare i segnali, anche deboli, e utilizzarli per favorire la relazione terapeutica. Eâ strategica lâattenzione al âsegnale deboleâ, perchĂŠ annuncia sovente importanti cambiamenti positivi o negativi nella relazione. Inoltre, è strategica lâosservazione del comportamento non verbale del paziente e il controllo della propria comunicazione non verbale per aumentare il grado di influenza che si esercita sulla relazione. Questo tipo di attenzione rappresenta una forma estremamente efficace di ascolto. Lâoperatore ascolta sia quello che il paziente ha da dire con le parole, sia ciò che esprime col corpo.
E ancora, è strategica la capacità di utilizzare un linguaggio persuasivo e suggestivo finalizzato ad allargare la base di consenso e di fiducia del paziente.
La comunicazione strategica in ambito sanitario si configura quindi come un mezzo per generare nei pazienti comportamenti sintonizzati sul raggiungimento dellâobiettivo terapeutico.
Un professionista della salute francese, Cabanis, vissuto alla fine dellâ800 affermò che âi professionisti della salute che guariscono di piĂš, sono quasi tutti uomini esperti nel trattare, nel volgere in qualche modo a piacer loro lâanimo umano, a rianimare la speranza, a riportare la calma nelle immaginazioni sconvolteâ (Cabanis, 1790 â cit. in Merini A, 1993 â Euripilo e Patroclo: rapporto del professionista della salute con il paziente, CLUEB, Bologna ).
I professionisti della salute che piĂš guariscono, sono appunto esperti nellâarte di comunicare persuasivamente con i pazienti. Naturalmente, essendo i pazienti uno diverso dallâaltro, non esiste una tecnica universale per rendersi efficaci. Si può parlare però di quattro principi di metodo strategici molto precisi:
-Principio di flessibilitĂ
-Principio di parsimonia
-Principio di utilizzazione
-Principio di ristrutturazione
Il Principio di flessibilitĂ .
Le strategie dâintervento e il modo in cui vengono comunicate debbono adattarsi alla persona verso la quale sono dirette ed essere congruenti col contesto in cui vengono attuate.
Ogni fatto comunicativo che si verifica nella relazione con uno specifico paziente ha un particolare valore, valore che non può essere generalizzato ad altre persone o circostanze.
Eâ un imperativo strategico: lâoperatore deve adattarsi allâinterlocutore, mettendo da parte, per quanto possibile, pre-giudizi e pre-concetti, stereotipi e luoghi comuni sul paziente. Tra questi alcuni sono particolarmente frequenti:
¡ il paziente ne sa sempre meno del professionista della salute;
¡ il livello socio-culturale del paziente è sempre inferiore a quello del professionista della salute;
¡ se il paziente si ribella al professionista della salute, vuol dire che è una persona incivile e maleducata;
¡ non occorre spiegare tutto al paziente, tanto non capirebbe comunque. (Lazzari, Costigliola, 1994)
Quanto piĂš aumenta il livello di âpreconcettoâ portato dal professionista della salute o dallâoperatore sanitario nella relazione col paziente, tanto piĂš aumenta il grado di stereotipia delle mosse comunicative. A ciò segue, inevitabilmente, un abbassamento dellâefficacia terapeutica e, spesso, un allontanamento del paziente.
PoichĂŠ non è possibile evitare completamente pregiudizi e stereotipi, è bene esserne consci, sapere quali, piĂš di altri, potrebbero disturbare le nostre comunicazioni. Molti di questi limiti non riguardano solo ciò che lo specialista pensa dellâaltro, il paziente, ma anche le convinzioni che ha su se stesso. Per esempio, âlavoro meglio con le donne, con gli uomini mi sento a disagioâ è un preconcetto che rende difficilissimo rispettare il principio di flessibilitĂ . Infatti, chi ha questa convinzione limitante nel lavoro coi pazienti maschi può sentirsi minacciato a priori e quindi, a priori, può attivare uno schema difensivo.
Il Principio di parsimonia.
I messaggi efficaci sono quelli che âottengono il massimo col minimoâ, quelli generalmente formulati con uno stile suggestivo e adatto al linguaggio del paziente (principio di flessibilitĂ ), che ne ricalcano le convinzioni, i valori e le motivazioni.
Non risponde al principio di parsimonia la comunicazione oltremodo specifica, irta di tecnicismi, riferimenti scientifici, dettagli che il paziente potrebbe trovare difficile capire.
Il principio di parsimonia si riferisce alla qualitĂ ...