Strategie cartesiane: successi e insuccessi
Descartes non elabora soltanto una filosofia, ma concepisce anche una strategia che avrebbe dovuto condurlo a sostituire lâegemonia culturale del sapere scolastico (ancora largamente dominante nelle universitĂ , nellâistituzione ecclesiastica e nella cultura ufficiale) con un nuovo tipo di filosofia, aperto alla nuova scienza ma anche capace di salvaguardare le certezze religiose. Questo disegno emerge con chiarezza nelle grandi opere sistematiche, ma determina anche alcune scelte tattiche del filosofo. Le Meditazioni sulla filosofia prima si aprono con una lettera âai molto saggi ed illustrissimi signori della Sacra FacoltĂ di Teologia di Parigiâ in cui Descartes propone la sua nuova metafisica come una via sicura per accertare âveritĂ â come lâesistenza di Dio e la distinzione dellâanima dal corpo (se non direttamente la sua immortalitĂ ). Al momento della seconda edizione Descartes aggiunge al testo le Settime Obiezioni: si tratta delle obiezioni del padre gesuita Pierre Bourdin, giĂ professore al collegio di La FlĂšche ove lo stesso Descartes ha studiato. Ad esse Descartes replica con particolare attenzione, ma di fronte alle incomprensioni del suo autorevole interlocutore contemporaneamente scrive al padre Dinet, dal 1639 provinciale dei gesuiti di Francia, per difendersi dalla âasprezzaâ delle critiche e per presentarsi come attaccato su due fronti: da una parte i protestanti olandesi che lo accusavano come cattolico e dallâaltra quei gesuiti che vedevano nella sua filosofia una ânovitĂ â capace di minacciare la filosofia âanticaâ. Su questâultimo fronte, Descartes ribatte che proprio i âprincipi della filosofia volgareâ sono nuovi, mentre la sua filosofia âĂš la piĂč antica di tutteâ, perchĂ© la veritĂ viene prima e perchĂ© ânella filosofia volgare non vi Ăš nulla che, essendole contrario, non sia nuovoâ (lettera a Dinet, maggio 1642). Nel 1644 pubblica poi i Principi della filosofia, che avrebbero dovuto essere un manuale (o meglio un contro-manuale) da insegnare nelle scuole e tale da soppiantare i manuali aristotelico-scolastici. Per la stessa ragione lo fa tradurre in francese e vi premette la grande lettera-prefazione a Picot in cui rivela apertamente la sua ambizione sistematica: la filosofia (e in primo luogo la sua) Ăš âcome un albero le cui radici sono la metafisica, il tronco la fisica, e i rami che escono da questo tronco sono tutte le altre scienze, che qui si riducono a tre principali: la medicina, la meccanica e la moraleâ.
Questo disegno egemonico impone a Descartes anche ripiegamenti e scelte tattiche: la piĂč celebre Ăš la decisione di non pubblicare Il mondo o Trattato sulla luce, a causa della condanna di Galileo avvenuta nel 1633. PoichĂ© quel trattato di cosmologia era tutto imperniato sullâipotesi eliocentrica, preferisce lasciarlo nel cassetto per non scontrarsi direttamente con lâautoritĂ ecclesiastica (e infatti verrĂ edito solo postumo). Per un altro verso, intende mostrare che la nuova metafisica da lui proposta non minaccia il dogma dellâeucarestia, anche se di fatto abbandona la spiegazione in termini di sostanza e accidenti che era stata codificata dal concilio di Trento: a questo scopo si impegna in una complessa corrispondenza con un altro gesuita, il padre Mesland, che tuttavia non riesce a convincere.
Malgrado tutti questi sforzi, il tentativo cartesiano di proporre la propria metafisica come una base nuova e migliore per lâinsegnamento istituzionale va incontro a un sonoro insuccesso. Le universitĂ continuano sulla falsariga dei vecchi manuali, sia pure con qualche aggiornamento, soprattutto scientifico; le stesse opere di Descartes vengono messe allâIndice dei libri proibiti nel 1667 (anche se in Francia i decreti dellâIndice non vengono recepiti automaticamente, negli altri Paesi cattolici hanno unâenorme potere condizionante). Anche il suo principale allievo francese, Nicolas Malebranche, che elabora una sintesi originale di cartesianesimo, motivi agostiniani e nuove spiegazioni teologiche (soprattutto nel campo della teodicea, con i complessi problemi della grazia, della libertĂ e della predestinazione) va incontro a condanne analoghe: nel 1690 viene messo allâIndice il Trattato della Natura e della Grazia , nel 1709 la traduzione latina della Ricerca della VeritĂ , nel 1714 il Trattato di Morale e le Conversazioni sulla metafisica e sulla religione.
Il cartesianesimo fallisce dunque nel suo tentativo di imporsi come nuova filosofia ufficiale delle universitĂ e delle istituzioni, tantâĂš vero che ancora allâinizio del Settecento i philosophes che hanno una formazione scolastica regolare â come Condillac che studia nel seminario di Saint-Sulpice a Parigi âsi formano su manuali che integrano aspetti delle nuove scienze entro una compagine di logica e di metafisica largamente tradizionali.
Dove invece il cartesianesimo si rivela un successo, tale da condizionare tutta la cultura, non solo francese ma continentale, dentro e fuori delle universitĂ , Ăš nellâimporre quella che Bayle chiama la âcultura dellâevidenzaâ e che consiste principalmente nellâanalisi delle idee come arte del ben ragionare. Sembra anzi che questa cultura dellâevidenza possa separarsi dalla metafisica dualistica in cui si era forgiata e sopravvivere cosĂŹ alla crisi della scienza cartesiana che viene rapidamente sostituita da quella newtoniana. La âvia delle ideeâ diventa un linguaggio comune ai filosofi, agli scienziati e in genere agli uomini di cultura che prendono le distanze dalla filosofia aristotelico-scolastica, anche senza aderire totalmente al controverso sistema di Descartes.
Le idee e âlâarte di pensareâ
Non a caso, tra le opere piĂč fortunate del cartesianesimo non vi sono i trattati di metafisica, di teologia o di scienza, ma due manuali sullââarte di pensareâ e sullâarte di comunicare: la Logica e la Grammatica di Port-Royal. In veritĂ essi sono preceduti dal cartesiano tedesco Johann Clauberg (1622-1665), che per primo ha lâidea di fondere logica cartesiana e logica scolastica in un manuale che unisce la dottrina dellâevidenza con la logica proposizionale degli aristotelici (Logica vetus et nova, 1654). Ma il grande exploit viene appunto dalla Logique ou Art de penser (1662) scritta da Antoine Arnauld e Pierre Nicole, che possono utilizzare anche il manoscritto dellâopera metodologica lasciata inedita da Descartes (Regulae ad directionem ingenii). Mettendo da parte gli stretti legami che la logica cartesiana ha istituito con lâanalisi algebrica, soprattutto nel testo della GĂ©omĂ©trie, i due autori giansenisti e cartesiani si concentrano sul linguaggio naturale nellâintento di riformarlo puntando non sui formalismi della sillogistica aristotelica ma sulle caratteristiche tipiche dellâintuizione delle idee. Arnauld e Nicole condividono infatti la convinzione che la maggior parte degli errori sia materiale e non formale; applicano alla logica la distinzione cartesiana tra lâintuizione, che coglie le idee, e il giudizio che le collega con un atto della volontĂ ; riprendono la teoria cartesiana dellâerrore e lo imputano principalmente alla cedevolezza del giudizio rispetto a idee confuse, pregiudizi, equivoci veicolati dal linguaggio e dalle tradizioni, oltre che influenzati dalle passioni.
Al centro della Logica di Port-Royal sta una teoria che riprende la definizione cartesiana di idea. Se Descartes Ăš stato il primo filosofo a chiamare âideeâ tutto ciĂČ su cui si effettua il lavoro dello spirito, essendo le idee lâoggetto immediato della mente, i due portorealisti insistono sulla funzione di intermediazione tra la mente e la realtĂ che Ăš svolta dalle idee. Lâidea Ăš âla forma mediante la quale ci rappresentiamo le cose che si presentano allo spiritoâ (Logique ou Art de penser, premessa). Il nome idea indica âtutto ciĂČ che si trova nella nostra mente quando possiamo dire con veritĂ di concepire una cosa, in qualunque modo la concepiamoâ (ivi, I, i). La Grammaire gĂ©nĂ©rale et raisonnĂ©e (1660) scritta da Arnauld e Claude Lancelot estende il metodo dellâarte di pensare allo studio della grammatica, intesa come ordinamento del linguaggio in cui avrebbe potuto rivelarsi la sottostante struttura logica della frase. La proposizione non Ăš altro che la formulazione linguistica del giudizio e pertanto Ăš possibile evidenziare in essa sia il ruolo dellâintelletto (nella percezione delle idee corrispondenti al soggetto e predicato) sia il ruolo della volontĂ nel congiungerli, ruolo che a livello linguistico si manifesta nella funzione attribuita alla copula. Attraverso la duplice influenza della Logica e della Grammatica si affermerĂ una concezione del linguaggio che dominerĂ a lungo non solo nel Seicento ma ancora per tutto il Settecento. Questa concezione Ăš caratterizzata da un approccio mentalistico (per cui per esempio il significato di un termine viene unanimemente indicato nellâidea a esso corrispondente) e psicologistico (la logica Ăš descrittiva prima ancora che normativa, in quanto descrive il buon funzionamento del pensare: ogni arte, anche lââarte di pensareâ Ăš innanzitutto lo sviluppo e il perfezionamento di procedimenti che sono giĂ operanti nella natura della mente). Inoltre, in quanto privilegia i linguaggi naturali rispetto ai linguaggi artificiali delle matematiche, rivolgendosi allâhonnĂȘte homme e non allo specialista, la logica cartesiana di Port-Royal consente di regolamentare anche i campi che erano rimasti ai margini della rivoluzione scientifica, ma che interessano tanto di piĂč gli uomini colti impegnati nella politica, nella societĂ , nella Chiesa. CosĂŹ, la trattazione dei giudizi di probabilitĂ contenuta nellâArte di pensare affronta problemi di storia, questioni di testimonianza e di tradizione che sono diventati cruciali nel campo delle controversie religiose della fine del Seicento.