Il Cinquecento - Storia
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Il Cinquecento - Storia

Storia della CiviltĂ  Europea a cura di Umberto Eco - 45

Umberto Eco

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Il Cinquecento - Storia

Storia della CiviltĂ  Europea a cura di Umberto Eco - 45

Umberto Eco

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Il passaggio da Quattrocento segna uno snodo epocale, come sottolineato da Voltaire e da Smith, uno spartiacque drammatico in una storia che solo da questo momento può essere definita veramente mondiale, perché unificata dalle imprese di Colombo e Vasco de Gama. Il 1492 è tuttora considerato istituzionalmente il terminus a quo della storia moderna non solo per l'impresa di Colombo, ma anche per altri grandiosi eventi di immediata risonanza, quali la caduta di Granada, la morte di Lorenzo il Magnifico e la calata di Carlo VIII. Le esplorazioni del Quattro-Cinquecento provocano una vera e propria rivoluzione spaziale, che si traduce contraddittoriamente sia in una vertiginosa dilatazione degli orizzonti ormai su scala planetaria, sia in una compressione degli spazi, perché i contorni del mondo appaiono ormai definiti e misurabili. Col Cinquecento si avvia così un processo planetario di integrazione economica, politica e culturale fra spazi e popoli che sfocerà, nel XIX secolo, in una vera e propria globalizzazione.Se il 1492 rappresenta l'avvio di un processo di unificazione, per quanto discontinuo e drammatico, il 1517 segna l'inizio della dissoluzione dell'unità spirituale dell'Occidente, che richiede una ridefinizione dell'identità europea. La frattura rappresentata dall'epoca della Riforma e Controriforma non fa che accentuare la de-sacralizzazione del mondo, della società e della natura, che spalanca prospettive – o abissi – prima impensabili nella riflessione politica, filosofica e scientifica. Per quanto riguarda la dimensione politica, invece, il Cinquecento vede da un lato l'affermazione definitiva dello Stato territoriale moderno, per lo più monarchico, come modulo di base dell'Europa moderna e contemporanea, e dall'altro l'articolazione di questi Stati in un sistema organico di relazioni, in equilibrio instabile ma durevole. In questo ebook si indagano tutti i risvolti e le implicazioni dei grandi eventi del Cinquecento che hanno determinato l'ingresso dell'Europa nella modernità.

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Information

Jahr
2014
ISBN
9788897514688

La situazione europea

Felix Austria: l’Impero asburgico da un “fanciullo ignudo” a “Praga magica”
Marina Montacutelli

Nel corso del Cinquecento una modesta casata dell’Argovia riesce, anche se a prezzo di grandi debiti, a trasmigrare la prospettiva tedesca nella “follia” di compiere la profezia di Daniele: una monarchia universale che non sarà mai ridotta in rovina, sussisterà per tempi indefiniti e stritolerà ogni altro potere; un regno sul quale non “tramonta mai il sole”. Su tutto giganteggia l’imperatore Carlo V: anche se alla fine del secolo il suo ambizioso sogno si polverizzerà in destini nazionali, il “cavaliere imperatore” monarca universale lo è davvero non solo perché assedia la Francia – a nord come a sud – con i territori sotto la sua corona; e neanche perché durante il suo regno si appalesano le fragilità di un’epoca intera e i suoi problemi, i suoi risucchi, le sue tensioni: la religione, l’esercito, il farsi degli Stati e i loro indebitamenti, le sovranità sempre contrattate e condivise, il nemico turco, un nuovo mondo che travolge – con argento e oro – il vecchio. Soprattutto perché, tra prospettiva spagnola e tedesca ed Europa universale, proprio come Carlo Magno ogni nazione ha, ancora oggi, il suo Carlo.

Nonno Massimiliano, pochi denari

Non è facile cominciare così. Avere un bisnonno – Federico III, collezionista di reliquie –che inoltra una modesta casata dell’Argovia verso l’Impero del mondo: unico Asburgo incoronato anche a Roma, sembra prefigurare il destino del pronipote Carlo quando conia l’acronimo dinastico AEIOU, Austriae Est Imperare Orbi Universo.
E poi un nonno, Massimiliano, che insiste nella saga familiare: mentre sogna di farsi eleggere papa e di organizzare la crociata definitiva contro gli infedeli, istituisce quel corpo dei lanzichenecchi che la saccheggeranno, la capitale della cristianità, nel 1527. Ma i sogni costano cari e sono sproporzionati alle risorse, sia pur coronate; così si indebita “Massimiliano pochi denari”, come lo chiamano i Veneziani, quel “Fanciullo ignudo” per papa Giulio II che, con accorte politiche matrimoniali, sprona i mai sopiti sogni ghibellini: e al figlio Filippo – il Bello nonostante il labbro pendulo, altro tratto distintivo della casata – fa sposare Giovanna, l’anticonformista figlia di Isabella di Castiglia e di Ferdinando d’Aragona, che affianca con la sua presunta pazzia quella genealogica degli Asburgo, regalando a Carlo dalla prigione di Tordesillas un regno su cui non tramonta mai il sole.
Il secolo comincia così: il 24 gennaio 1500 nasce a Gand, nel cuore delle ricchissime Fiandre e dell’Europa, Carlo, figlio di Filippo il Bello e Giovanna la Pazza e nipote di Massimiliano I d’Asburgo. Da quest’ultimo eredita non solo i territori del Sacro Romano Impero e il titolo di Kaiser ma anche, anzi soprattutto, la “follia” di una monarchia universale.
Certo Massimiliano I d’Asburgo, re dei Romani dal 1486 e imperatore dal 1493, deve aver a lungo riflettuto su quanto gli scrive un ragusano: mentre l’Europa è internamente divisa, “nell’impero turco tutta l’autorità suprema è nelle mani di un uomo solo, tutti obbediscono al sultano, unico governo; a lui vanno tutte le entrate; insomma, egli è il padrone, mentre tutti gli altri sono suoi schiavi”. Il confronto è drammatico: il suo regno, transnazionale ma non universale, è invece un agglomerato istituzionale, tra feudi e città libere con i quali è necessario contrattare.
L’imperatore governa uno stato composito dall’andamento “sinusoidale”: un conglomerato politico austriaco con un baricentro fiammingo-tedesco e ostinate tradizioni di resistenza degli “ordini”, intorno a cui si aggregano via via le acquisizioni territoriali: dopo il “ritorno” del Tirolo (1490), la pace stipulata a Senlis con la Francia nel 1493 significa appropriazione della Franca Contea e, soprattutto, dei ricchissimi Paesi Bassi. Qualcosa sfugge sempre: i “montanari” svizzeri conquistano cantoni e baliaggi, dando vita alla Confederazione; la Repubblica di Venezia si rivela pervicacemente imbattibile: il risultato di otto anni di scontri – dal 1508 al 1516, sullo sfondo delle guerre d’Italia e del conflitto imperituro con la Francia – lasciano gli equilibri territoriali sostanzialmente inalterati. La riforma istituzionale varata nel 1495, che istituisce un consiglio imperiale (Reichstag) di diciassette membri, l’introduzione dell’imposta per il pagamento delle spese militari prima progressiva (Gemeiner Pfennig) e poi generalizzata (Hussitenpfennig), segnalano la persistenza di particolarismi che è impossibile eludere e con i quali, con riluttanza, bisogna continuamente negoziare.
Più facile con i matrimoni, che portano figli, terre e un consistente futuro ai nipoti: quello con l’amatissima Maria di Borgogna, la più ricca ereditiera d’Europa, da cui nascono Filippo e Margherita e relazioni sempre più cogenti con la Spagna e, poi, con i signori della Savoia; quello con Anna di Bretagna, che sarà poi regina di Francia, matrimonio per procura e sterile nella discendenza (quattro figli, tutti morti); quello con Bianca Maria Sforza, la nipote di Ludovico il Moro al cui seguito viaggiava Leonardo da Vinci. Intanto, gli accordi con gli Jagelloni di Polonia e di Boemia-Ungheria conducono ad altri matrimoni ossia alleanze: quelle della nipote Maria con il re di Boemia-Ungheria Luigi II incrociato a quello di Anna Jagellone con l’altro nipote Ferdinando.
Il problema è il destino di Carlo: servono soldi, tanti, per convincere i sette grandi elettori a preferirlo alla concorrenza di Francesco I, re di Francia, e di Enrico VIII, re d’Inghilterra: ma la firma di Massimiliano è ormai inflazionata sulle cambiali. Eppure, è il figlio di Filippo l’erede morale e materiale del sogno di monarchia universale; in anni di pericolo per la civitas christiana è lui che potrà compiere, come dirà di lì a poco il suo consigliere Mercurino Arborio da Gattinara tentando di convincere Erasmo a compilare una versione imperiale del De Monarchia, l’opera iniziata da Carlo Magno. Ed è per l’imperium cristiano, ossia universale, che Massimiliano intraprende – in pieno inverno – un viaggio da Augusta verso la Dieta, verso l’Austria: muore nel 1519, nel gelido castello di Wels che è sulla strada, senza aver risolto il problema.

Carlo, monarca universale

Alla fine il Cinquecento, e forse l’intera età moderna, girano tutti intorno a lui: Carlo di Gand, Carlo I di Spagna dal 1516, Carlo V imperatore del Sacro Romano Impero dal 1519. Goffo e impacciato, così come lo descrive l’ambasciatore veneziano Lorenzo Pasqualigo, è stato cresciuto da Adriano di Utrecht, il futuro papa Adriano VI, alla corte della coltissima Margherita d’Austria, governatrice dei Paesi Bassi: da questi assorbe una religiosità intransigente, un acuto senso dinastico e l’indubitabile certezza – mentre il mondo conosciuto si allarga vieppiù – di essere destinato a realizzare la profezia di Daniele (citata nell’Antico Testamento): una monarchia universale, che non sarà mai ridotta in rovina, sussisterà per tempi indefiniti e stritolerà ogni altro potere. D’altra parte, nei giorni della sua costosissima elezione si scopre il Golfo del Messico.
Non è facile però, per Carlo, cingersi della corona imperiale: pagando sin da subito lo scotto di non essere né compiutamente spagnolo, né fino in fondo principe tedesco, alla morte di Massimiliano non può andare immediatamente in Germania perché il patriziato urbano delle città castigliane è in rivolta. E quando viene incoronato imperatore – il 28 giugno 1519 a Francoforte e poi ad Aquisgrana il 23 ottobre 1520 – sa di doverlo ai Welser di Augusta, ai Gualterotti di Firenze, ai Fornari e ai Grimaldi di Genova che gli prestano 30 mila fiorini in cambiali da riscuotere presso Jacob Fugger che ne aggiunge altri 50 mila sottolineando sprezzante “è di dominio pubblico e chiaro come il sole che Vostra Maestà imperiale non avrebbe potuto, senza di me, ottenere la corona imperiale”. Il prezzo è una fideiussione di 3 milioni di fiorini sui tesori di Castiglia e d’Aragona e un impegno da imperatore, cui segue – nel 1522 – un accordo a Bruxelles nel quale Carlo cede il patrimonio degli Asburgo al fratello Ferdinando, promettendogli la corona dei Romani. In cambio, Ferdinando cede ai finanzieri concessioni minerarie nel Tirolo cominciando a “mettere all’asta” il regno.
E sono solo i primi, di debiti e problemi: ché, intanto, il 3 gennaio 1521 con la bolla Decet Romanum Pontificem, Leone X scomunica – con l’accusa di eresia hussita–Martin Lutero. Carlo è costretto a convocare subito a Worms la Dieta imperiale iniziando la lunga fase di temporeggiamenti strategici e di tentativi di inglobare particolarismi e tensioni, sullo sfondo di un immarcescibile grande progetto di cristianità universale. Eppure proprio durante il suo regno, irreversibilmente, questa si frantuma: la pace di Augusta (24 settembre 1555), che precede di poco l’abdicazione, riconosce ai principi tedeschi lo ius reformandi e il rassegnato principio cuius regio, eius religio.
Anche sul piano territoriale si procede a singulti e il regno si conclude con un sostanziale fallimento; l’infinito contrasto per la supremazia tra Asburgo e Valois sullo sfondo delle guerre d’Italia, se da un lato ribadisce la difficoltà di essere l’erede di Costantino e Carlo Magno nel nascere degli Stati nazionali, dall’altro coinvolge e viola alleanze consolidate: le reti di patronato che si stendono dalla Sicilia ai Paesi Bassi devono essere costantemente confortate, giostra di attori ora accelerati ora rallentati nel ruolo di “cittadini fedeli”. Lo si vede con chiarezza dinanzi al “pericolo turco” che, sin dalla battaglia di Mohács, spiana non solo la strada al fratello Ferdinando ma soprattutto spinge l’esercito di Solimano fino alle porte di Vienna. Certo la reazione non manca mai, ed è degna di un monarca universale: nel 1536 la flotta imperiale, comandata da lui stesso, si muove alla conquista di Tunisi. Ma ogni vittoria prelude a uno smembramento successivo, mentre il luteranesimo si configura come una mina identitaria collocata nel cuore dell’impero: il passaggio da civitas a missione non aveva prodotto il trascinamento auspicato: anzi, le identità parcellizzate ne escono rafforzate.
Resta solo l’uso della forza, e Carlo i suoi comandanti sa sceglierli bene: da Andrea Doria a Ferrante Gonzaga a Hernán Cortés: ma se, tra il 1524 e il 1526, non era stato difficile ridurre a ragione una massa di contadini disorganizzati, ben diversa si rivela la situazione con i principi tedeschi: ancora una volta è necessario l’impegno militare, e tanto denaro, per ottenere una vittoria comunque transitoria a Mühlberg, che prelude la disgregazione del sogno universale sancita dalla pace di Augusta.
Gli anni che precedono la morte sono, per Carlo, l’orgogliosa constatazione di un fallimento, sia pur non del tutto ammesso: il “cavaliere-imperatore della cristianità, votato alla conservazione delle virtù imperiali cristianizzate e alla loro diffusione nel mondo” (Yates) deve abdicare alla violazione del principio di sovranità e indivisibilità scomponendo un regno che era stato davvero “plus ultra”. Eppure Carlo V monarca universale lo è davvero: non solo perché, appunto, assedia la Francia – a nord, come a sud – con i territori sotto la sua corona; e neanche perché durante il suo regno si appalesano le fragilità di un’epoca intera e i suoi problemi, i suoi risucchi, le sue tensioni: la religione, l’esercito, il farsi degli Stati e i loro indebitamenti, le sovranità sempre ...

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