Il significato e lâimportanza della burocrazia
Il termine âburocraziaâ evoca di solito un mondo polveroso, fatto di vecchie carte, di lente procedure, di intricati grovigli di regolamenti e tristi penombre di uffici con interminabili labirinti di competenze e gerarchie. Ă unâimmagine â in parte veridica, in parte deformata â fissata sulle pagine da vari scrittori nel corso dellâOttocento e fino ai primi del Novecento: le lotte tra gli Impiegati di Balzac per salire di grado, la forza della corruzione nellâIspettore generale di Gogolâ, le ritualitĂ delle procedure in Demetrio Pianelli di Emilio De Marchi, la tremenda presenza della macchina amministrativa nel Kafka del Processo concorrono a formare questa immagine. Attraverso i personaggi letterari la burocrazia viene accusata o ridicolizzata, esorcizzata o temuta, in ogni caso è sempre rappresentata come un fenomeno quotidiano. CosĂŹ del resto la considerava, giĂ a metĂ Settecento, lâintendente di commercio francese Vincent de Gournay â a cui dobbiamo la paternitĂ del termine â che, paragonandola a forme di governo quali lâaristocrazia, la monarchia e la democrazia, ne prefigura uno sviluppo abnorme. Accanto allâaccezione negativa del termine bureaucratie e dei suoi omologhi stranieri (BĂźrokratie in tedesco, bureaucracy in inglese, burocrazia in italiano) di derivazione colta, entrati poi nellâuso comune, nellâOttocento si affianca anche un diverso significato. Questo indica il âgoverno mediante ufficiâ, tramite cioè un apparato statale costituito di funzionari nominati e non eletti, organizzati gerarchicamente e dipendenti da unâautoritĂ sovrana, ai quali è affidata la tutela amministrativa dellâordinamento complessivo. Tale qualificazione concettuale è il riflesso di una vicenda istituzionale che accompagna la genesi dello Stato contemporaneo e che inizia proprio con lâepoca dâoro del pensiero liberale, successivamente alla Rivoluzione francese. Per il liberalismo lo Stato ideale è quello che osserva una stretta neutralitĂ nei confronti di tutti gli agenti della vita economica e delle categorie sociali, che è capace di far sentire la sua presenza senza interferire con lâesistenza dei cittadini. Eppure è proprio per garantire lâattivitĂ legislativa e la sua applicazione, per mantenere lâordine pubblico allâinterno e assicurare gli interessi esterni del Paese, per convogliare e ridistribuire le somme necessarie a svolgere questi limitati compiti che lâapparato statale è protagonista di una duplice tendenza: espansiva e razionalizzatrice. I ministeri, che ancora negli anni successivi al 1870 non arrivano a dieci, nellâultimo quarto del secolo aumentano di numero e di competenze, mentre giĂ dai primi decenni dellâOttocento il personale, non piĂš di provenienza ereditaria, vede lâirresistibile ascesa delle specializzazioni professionali. Si tratta di un fenomeno che, pur attraverso specifici percorsi nazionali, al volgere del XIX secolo conosce itinerari simili nellâintera Europa occidentale: in Francia, dove vi è una consolidata tradizione centralizzatrice; in Germania e in parte anche in Italia, due Paesi che hanno appena raggiunto lâunitĂ nazionale ma che possiedono una burocrazia consolidatasi attorno allâantica societĂ cetuale; perfino in Inghilterra, dove lâassetto costituzionale, fondato sullâunione di parlamentarismo e self-government, si amplia a includere lâintervento dello Stato tramite le accresciute schiere dei funzionari pubblici. I risultati di questa evoluzione, che i contemporanei percepiscono in forme amplificate e distorte â si parla insistentemente di âelefantiasi burocraticaâ e di âprogressione dei bilanciâ â non sono soltanto quantitativi.
Lâestensione delle prerogative statali traduce anche un mutamento di attitudini concettuali che prende atto della crisi dello Stato di diritto, caro al liberalismo. Al suo posto emerge uno Stato che, definito alternativamente âsocialeâ o âamministrativoâ, è chiamato comunque a ridurre le ineguaglianze di condizione, a regolare gli scambi e a garantire ai cittadini le prestazioni indispensabili per il raggiungimento di quel minimo livello di benessere che ormai, alle soglie del XX secolo, rappresenta la sola garanzia di ordine sociale.
I casi nazionali
In Francia il corpo degli impiegati pubblici che, al termine degli anni Trenta, comprende meno di 50 mila unitĂ , si espande fino a raggiungere quasi gli 800 mila effettivi alla vigilia della prima guerra mondiale. Se la crescita dellâapparato centrale e dei suoi gangli periferici segna un incremento decisivo, soprattutto a partire dal Secondo Impero, è altresĂŹ vero che in quel momento essa può contare su una macchina amministrativa giĂ consolidata da diversi decenni.
Formatosi nella seconda metĂ del XVIII secolo, il corpo burocratico recluta numerosi esponenti della nascente borghesia nelle fila degli intendenti e nellâesercito, negli uffici del segretario di Stato, del controllore generale e delle finanze, nei parlamenti provinciali e in quello di Parigi. A questo stato di cose il periodo rivoluzionario e napoleonico aggiunge lâintervento livellatore di uno Stato il cui precoce irradiarsi in forma di moderna amministrazione pubblica rappresenta un unicum nellâOttocento europeo. Questa politica, che tende a limitare i privilegi sociali e i poteri dei notabili nelle periferie, viene sistematicamente perseguita dagli apparati statali nel corso del XIX secolo, trovando la sua piĂš tipica incarnazione nella figura del prefetto, istituita da Napoleone nel 1800. Certo, buona parte dei funzionari dislocati nelle province â e con il progredire del secolo ai prefetti si aggiunge una nuova burocrazia tecnica e finanziaria â si integra nel vecchio universo notabilare; tuttavia, pur afflitta da tali incoerenze e da alchimie di corpo dalle ricorrenti venature ideologiche sansimoniane, lâamministrazione pubblica transalpina sembra realizzare lâaspirazione comune alla terza Repubblica: stabilire le gerarchie in base ai meriti dei singoli, indipendentemente dalla loro estrazione sociale.
In Germania, una vera e propria organizzazione burocratica inizia con lâorganica attivitĂ del barone Carl von Stein, funzionario dellâamministrazione prussiana, di cui percorre i gradini dal 1780 fino a diventare ministro nel 1804. Lâopera riformatrice trasforma i sudditi del re in cittadini dello Stato, chiama il ceto cittadino a esercitare in prima persona il governo dei comuni urbani e riorganizza il governo centrale, a scapito della prerogativa reale, istituendo un gabinetto di ministri indipendenti e responsabili. Tuttavia il decennio delle riforme, protrattosi fino al 1815, lascia intatto il prestigio sociale dellâaristocrazia anche allâinterno dellâapparato statale.
Durante il trentennio bismarckiano, gli Junker prussiani non solo continuano a formare i ranghi direttivi dellâesercito e dei ministeri berlinesi, ma impongono il loro controllo anche laddove â soprattutto nei ginnasi e nelle universitĂ â si è affermato un embrione di borghesia amministrativa; e anche nellâepoca guglielmina, sebbene con andamento meno lineare, lâaristocrazia continua a godere di un evidente prestigio. In effetti, soprattutto agli inizi del Novecento, nei confronti dei problemi sindacali del pubblico impiego, che costituisce il 4 percento della popolazione dellâimpero, vi è una maggiore attenzione, testimoniata dalla legge del 1908 che riconosce il diritto di organizzazione a tutti gli impiegati.
Tuttavia, la generale resistenza dei pubblici poteri a una democratizzazione delle funzioni e a un riconoscimento di competenze tecniche che infrangano il monopolio giuridico â piĂš della metĂ di tutti i funzionari superiori sono giuristi â rimanda a un giudizio del giovane Marx: âlo status quo tedesco costituisce lâaperto compimento dellâancien rĂŠgime, e lâancien rĂŠgime è la tara occulta dello Stato modernoâ.
LâInghilterra e il suo sistema costituzionale rappresentano unâeccezione rispetto al panorama continentale e ciò è testimoniato dalla difficoltĂ con cui il vocabolo bureaucracy si fa strada nel linguaggio corrente durante lâOttocento. Del resto, gli autori inglesi che nel corso del XIX secolo si occupano di burocrazia sottolineano, spesso con eccessiva enfasi, tale diversitĂ . Tutti, da Carlyle a Spencer, passando per Mill e Bagehot, nelle loro esposizioni teoriche e nei loro commenti sullâevoluzione istituzionale del continente europeo esprimono una sorta di compiacimento per la âdiversitĂ â britannica. Grazie a essa il parlamento, i tribunali e le libertĂ municipali fanno sĂŹ che amministrazione e comunitĂ si identifichino e rendano inutile la burocrazia. In realtĂ , impiantatosi saldamente soltanto dopo la riforma del 1870, lâapparato amministrativo statale conosce dopo quella data uno sviluppo imponente: oltre 50 mila funzionari nel 1871, che divengono quasi 80 mila nel 1891, per salire a 175 mila nel 1911 e attestarsi a 280 mila nel 1914. Ă soltanto in apparenza paradossale che lâInghilterra faccia il suo ingresso tra i Paesi in cui âi funzionari governanoâ sotto la guida dei ministeri liberali nel decennio anteriore alla prima guerra mondiale. Infatti, le riforme che essi attuano in quel periodo â trasferimenti dei funzionari da un dicastero a un altro, introduzione di metodi selettivi di classificazione delle pratiche, promozioni ispirate al criterio meritocratico â devono molto alle idee sostenute dagli utilitaristi Bentham e Chadwick piĂš di mezzo secolo prima, e dimostrano â come questi ultimi avevano affermato prima del 1830, ispirando la prima legislazione sociale a scala europea â che lâesistenza di unâefficiente amministrazione centrale è tuttâaltro che incompatibile con una tradizione di autonomia degli enti locali.
In Italia lâorganizzazione dello Stato unitario avviene al termine di un dibattito â peraltro riemergente a fasi alterne anche dopo il 1865 â che vede schierati i sostenitori dellâaccentramento amministrativo e i fautori del decentramento. In realtĂ , riorganizzando giĂ nel 1853 lâassetto dei poteri centrali nel Regno sabaudo, Cavour anticipa le conclusioni politiche di quel dibattito. Egli decide infatti di unificare le strutture amministrative fino ad allora divise in ministeri e aziende, accorpando queste ultime ai primi e concentrando nelle figure dei ministri la duplice responsabilitĂ della direzione e dellâesecuzione.
Rispetto al modello inglese di autogoverno si tratta di una decisa preferenza per il sistema francese, al quale si affianca il referente tedesco con lâavvento di Francesco Crispi. Lo statista siciliano però, pur dando il via a una vasta opera di riordino amministrativo â attribuzioni giurisdizionali al Consiglio di Stato, maggiori controlli sugli enti locali, ...