L'Ottocento - Storia
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L'Ottocento - Storia

Storia della CiviltĂ  Europea a cura di Umberto Eco - 63

Umberto Eco

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Storia della CiviltĂ  Europea a cura di Umberto Eco - 63

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L'Ottocento non solo altera radicalmente le condizioni della vita materiale e il rapporto con l'ambiente, ma trasforma anche i rapporti fra le generazioni e i generi, fra i ceti e le classi, fra le culture e le civiltĂ . Nel corso di questo secolo il mondo si trasforma a una velocitĂ  senza precedenti. Le "frontiere del possibile", ma anche quelle del pensabile, si ampliano enormemente, a seguito anche dello "sviluppo economico moderno", cioĂš di una crescita sostenuta e prolungata del reddito pur in presenza di un forte incremento demografico. Dopo il 1830 la Gran Bretagna non Ăš piĂč sola; dal suo epicentro insulare la rivoluzione industriale si estende in cerchi concentrici sul continente, tanto che il Belgio, la Francia nord-orientale, la Svizzera prima, piĂč tardi la Germania e parte dell'Impero austro-ungarico, dell'Italia e della Russia sono via-via coinvolti in un processo di trasformazione sempre piĂč rapido e incisivo che si accompagna a una crescita demografica senza precedenti e a un'urbanizzazione che trasforma i paesaggi europei. E nell'ultimo quarto del secolo anche Stati Uniti e Giappone si aggiungono all'elenco degli Stati industriali. Dal punto di vista sociale poi gli Stati assumono funzioni e compiti nuovi che si aggiungono a quelli tradizionali di mantenimento dell'ordine interno e di difesa verso potenziali minacce esterne. I problemi posti dalle trasformazioni prodotte dall'industrializzazione – proletarizzazione e urbanizzazione – con la minaccia di instabilitĂ  sociale e politica spingono i governi ad assumersi responsabilitĂ  nell'istruzione, nella sanitĂ , nella nascita delle prime forme di previdenza sociale. In questo ebook viene dunque illustrato un secolo in trasformazione, in cui, tra gli eventi significativi della Grande Storia, si procede ad una ridefinizione della natura dello Stato, e si va affermando il nazionalismo, che si rivela una delle forze ideologiche e politiche piĂč rilevanti del XIX secolo.

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Informations

Année
2014
ISBN
9788897514909
Sujet
History
Sous-sujet
World History

Vecchi e nuovi Stati

Apparati di Stato e burocrazie
Federico Lucarini

Nel corso del XIX secolo e fino all’inizio del successivo l’estensione delle funzioni statali nelle nazioni piĂč avanzate d’Europa avviene con tempi e modalitĂ  cosĂŹ rapide che il problema dell’effettivo potere delle burocrazie tradizionali e dei nuovi apparati, e del loro rapporto con una societĂ  in continua evoluzione, si pone in termini differenti rispetto al passato.

Il significato e l’importanza della burocrazia

Il termine “burocrazia” evoca di solito un mondo polveroso, fatto di vecchie carte, di lente procedure, di intricati grovigli di regolamenti e tristi penombre di uffici con interminabili labirinti di competenze e gerarchie. È un’immagine – in parte veridica, in parte deformata – fissata sulle pagine da vari scrittori nel corso dell’Ottocento e fino ai primi del Novecento: le lotte tra gli Impiegati di Balzac per salire di grado, la forza della corruzione nell’Ispettore generale di Gogol’, le ritualitĂ  delle procedure in Demetrio Pianelli di Emilio De Marchi, la tremenda presenza della macchina amministrativa nel Kafka del Processo concorrono a formare questa immagine. Attraverso i personaggi letterari la burocrazia viene accusata o ridicolizzata, esorcizzata o temuta, in ogni caso Ăš sempre rappresentata come un fenomeno quotidiano. CosĂŹ del resto la considerava, giĂ  a metĂ  Settecento, l’intendente di commercio francese Vincent de Gournay – a cui dobbiamo la paternitĂ  del termine – che, paragonandola a forme di governo quali l’aristocrazia, la monarchia e la democrazia, ne prefigura uno sviluppo abnorme. Accanto all’accezione negativa del termine bureaucratie e dei suoi omologhi stranieri (BĂŒrokratie in tedesco, bureaucracy in inglese, burocrazia in italiano) di derivazione colta, entrati poi nell’uso comune, nell’Ottocento si affianca anche un diverso significato. Questo indica il “governo mediante uffici”, tramite cioĂš un apparato statale costituito di funzionari nominati e non eletti, organizzati gerarchicamente e dipendenti da un’autoritĂ  sovrana, ai quali Ăš affidata la tutela amministrativa dell’ordinamento complessivo. Tale qualificazione concettuale Ăš il riflesso di una vicenda istituzionale che accompagna la genesi dello Stato contemporaneo e che inizia proprio con l’epoca d’oro del pensiero liberale, successivamente alla Rivoluzione francese. Per il liberalismo lo Stato ideale Ăš quello che osserva una stretta neutralitĂ  nei confronti di tutti gli agenti della vita economica e delle categorie sociali, che Ăš capace di far sentire la sua presenza senza interferire con l’esistenza dei cittadini. Eppure Ăš proprio per garantire l’attivitĂ  legislativa e la sua applicazione, per mantenere l’ordine pubblico all’interno e assicurare gli interessi esterni del Paese, per convogliare e ridistribuire le somme necessarie a svolgere questi limitati compiti che l’apparato statale Ăš protagonista di una duplice tendenza: espansiva e razionalizzatrice. I ministeri, che ancora negli anni successivi al 1870 non arrivano a dieci, nell’ultimo quarto del secolo aumentano di numero e di competenze, mentre giĂ  dai primi decenni dell’Ottocento il personale, non piĂč di provenienza ereditaria, vede l’irresistibile ascesa delle specializzazioni professionali. Si tratta di un fenomeno che, pur attraverso specifici percorsi nazionali, al volgere del XIX secolo conosce itinerari simili nell’intera Europa occidentale: in Francia, dove vi Ăš una consolidata tradizione centralizzatrice; in Germania e in parte anche in Italia, due Paesi che hanno appena raggiunto l’unitĂ  nazionale ma che possiedono una burocrazia consolidatasi attorno all’antica societĂ  cetuale; perfino in Inghilterra, dove l’assetto costituzionale, fondato sull’unione di parlamentarismo e self-government, si amplia a includere l’intervento dello Stato tramite le accresciute schiere dei funzionari pubblici. I risultati di questa evoluzione, che i contemporanei percepiscono in forme amplificate e distorte – si parla insistentemente di “elefantiasi burocratica” e di “progressione dei bilanci” – non sono soltanto quantitativi.
L’estensione delle prerogative statali traduce anche un mutamento di attitudini concettuali che prende atto della crisi dello Stato di diritto, caro al liberalismo. Al suo posto emerge uno Stato che, definito alternativamente “sociale” o “amministrativo”, ù chiamato comunque a ridurre le ineguaglianze di condizione, a regolare gli scambi e a garantire ai cittadini le prestazioni indispensabili per il raggiungimento di quel minimo livello di benessere che ormai, alle soglie del XX secolo, rappresenta la sola garanzia di ordine sociale.

I casi nazionali

In Francia il corpo degli impiegati pubblici che, al termine degli anni Trenta, comprende meno di 50 mila unitĂ , si espande fino a raggiungere quasi gli 800 mila effettivi alla vigilia della prima guerra mondiale. Se la crescita dell’apparato centrale e dei suoi gangli periferici segna un incremento decisivo, soprattutto a partire dal Secondo Impero, Ăš altresĂŹ vero che in quel momento essa puĂČ contare su una macchina amministrativa giĂ  consolidata da diversi decenni.
Formatosi nella seconda metĂ  del XVIII secolo, il corpo burocratico recluta numerosi esponenti della nascente borghesia nelle fila degli intendenti e nell’esercito, negli uffici del segretario di Stato, del controllore generale e delle finanze, nei parlamenti provinciali e in quello di Parigi. A questo stato di cose il periodo rivoluzionario e napoleonico aggiunge l’intervento livellatore di uno Stato il cui precoce irradiarsi in forma di moderna amministrazione pubblica rappresenta un unicum nell’Ottocento europeo. Questa politica, che tende a limitare i privilegi sociali e i poteri dei notabili nelle periferie, viene sistematicamente perseguita dagli apparati statali nel corso del XIX secolo, trovando la sua piĂč tipica incarnazione nella figura del prefetto, istituita da Napoleone nel 1800. Certo, buona parte dei funzionari dislocati nelle province – e con il progredire del secolo ai prefetti si aggiunge una nuova burocrazia tecnica e finanziaria – si integra nel vecchio universo notabilare; tuttavia, pur afflitta da tali incoerenze e da alchimie di corpo dalle ricorrenti venature ideologiche sansimoniane, l’amministrazione pubblica transalpina sembra realizzare l’aspirazione comune alla terza Repubblica: stabilire le gerarchie in base ai meriti dei singoli, indipendentemente dalla loro estrazione sociale.
In Germania, una vera e propria organizzazione burocratica inizia con l’organica attività del barone Carl von Stein, funzionario dell’amministrazione prussiana, di cui percorre i gradini dal 1780 fino a diventare ministro nel 1804. L’opera riformatrice trasforma i sudditi del re in cittadini dello Stato, chiama il ceto cittadino a esercitare in prima persona il governo dei comuni urbani e riorganizza il governo centrale, a scapito della prerogativa reale, istituendo un gabinetto di ministri indipendenti e responsabili. Tuttavia il decennio delle riforme, protrattosi fino al 1815, lascia intatto il prestigio sociale dell’aristocrazia anche all’interno dell’apparato statale.
Durante il trentennio bismarckiano, gli Junker prussiani non solo continuano a formare i ranghi direttivi dell’esercito e dei ministeri berlinesi, ma impongono il loro controllo anche laddove – soprattutto nei ginnasi e nelle università – si ù affermato un embrione di borghesia amministrativa; e anche nell’epoca guglielmina, sebbene con andamento meno lineare, l’aristocrazia continua a godere di un evidente prestigio. In effetti, soprattutto agli inizi del Novecento, nei confronti dei problemi sindacali del pubblico impiego, che costituisce il 4 percento della popolazione dell’impero, vi ù una maggiore attenzione, testimoniata dalla legge del 1908 che riconosce il diritto di organizzazione a tutti gli impiegati.
Tuttavia, la generale resistenza dei pubblici poteri a una democratizzazione delle funzioni e a un riconoscimento di competenze tecniche che infrangano il monopolio giuridico – piĂč della metĂ  di tutti i funzionari superiori sono giuristi – rimanda a un giudizio del giovane Marx: “lo status quo tedesco costituisce l’aperto compimento dell’ancien rĂ©gime, e l’ancien rĂ©gime Ăš la tara occulta dello Stato moderno”.
L’Inghilterra e il suo sistema costituzionale rappresentano un’eccezione rispetto al panorama continentale e ciĂČ Ăš testimoniato dalla difficoltĂ  con cui il vocabolo bureaucracy si fa strada nel linguaggio corrente durante l’Ottocento. Del resto, gli autori inglesi che nel corso del XIX secolo si occupano di burocrazia sottolineano, spesso con eccessiva enfasi, tale diversitĂ . Tutti, da Carlyle a Spencer, passando per Mill e Bagehot, nelle loro esposizioni teoriche e nei loro commenti sull’evoluzione istituzionale del continente europeo esprimono una sorta di compiacimento per la “diversità” britannica. Grazie a essa il parlamento, i tribunali e le libertĂ  municipali fanno sĂŹ che amministrazione e comunitĂ  si identifichino e rendano inutile la burocrazia. In realtĂ , impiantatosi saldamente soltanto dopo la riforma del 1870, l’apparato amministrativo statale conosce dopo quella data uno sviluppo imponente: oltre 50 mila funzionari nel 1871, che divengono quasi 80 mila nel 1891, per salire a 175 mila nel 1911 e attestarsi a 280 mila nel 1914. È soltanto in apparenza paradossale che l’Inghilterra faccia il suo ingresso tra i Paesi in cui “i funzionari governano” sotto la guida dei ministeri liberali nel decennio anteriore alla prima guerra mondiale. Infatti, le riforme che essi attuano in quel periodo – trasferimenti dei funzionari da un dicastero a un altro, introduzione di metodi selettivi di classificazione delle pratiche, promozioni ispirate al criterio meritocratico – devono molto alle idee sostenute dagli utilitaristi Bentham e Chadwick piĂč di mezzo secolo prima, e dimostrano – come questi ultimi avevano affermato prima del 1830, ispirando la prima legislazione sociale a scala europea – che l’esistenza di un’efficiente amministrazione centrale Ăš tutt’altro che incompatibile con una tradizione di autonomia degli enti locali.
In Italia l’organizzazione dello Stato unitario avviene al termine di un dibattito – peraltro riemergente a fasi alterne anche dopo il 1865 – che vede schierati i sostenitori dell’accentramento amministrativo e i fautori del decentramento. In realtà, riorganizzando già nel 1853 l’assetto dei poteri centrali nel Regno sabaudo, Cavour anticipa le conclusioni politiche di quel dibattito. Egli decide infatti di unificare le strutture amministrative fino ad allora divise in ministeri e aziende, accorpando queste ultime ai primi e concentrando nelle figure dei ministri la duplice responsabilità della direzione e dell’esecuzione.
Rispetto al modello inglese di autogoverno si tratta di una decisa preferenza per il sistema francese, al quale si affianca il referente tedesco con l’avvento di Francesco Crispi. Lo statista siciliano perĂČ, pur dando il via a una vasta opera di riordino amministrativo – attribuzioni giurisdizionali al Consiglio di Stato, maggiori controlli sugli enti locali, ...

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