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Dagli automatismi allâintelligenza artificiale
Esiste una, seppur sottile, differenza tra intelligenza artificiale e automazione. Nonostante i due termini vengano spesso utilizzati come sinonimi, tecnicamente i sistemi di automazione si limitano a eseguire dei compiti specifici per i quali sono stati programmati da esseri umani, mentre caratteristica unica dellâAI è quella di riuscire, in maniera indipendente, a scovare pattern, imparare dallâesperienza e prendere decisioni in autonomia, senza bisogno di comandi espliciti da parte degli sviluppatori. Gli automatismi sono, per cosĂŹ dire, passivi, mentre lâAI è attiva. Tuttavia, nonostante a livello puramente semantico questa distinzione abbia senso, nella pratica i limiti tra AI e automation sono sempre piĂš sottili e fragili e si tende sempre piĂš spesso a includere anche compiti attivi, tipici dellâAI, sotto il nome di âautomatismiâ. Sono perfettamente dâaccordo con Alessio Semoli, quando asserisce che esista una certa sovrapposizione semantica tra automatismi e intelligenza artificiale, affermando che âlâevoluzione della [marketing] automation è lâAIâ.1 Lâacquisizione, nel 2017, di Motion AI da parte di uno dei tool di marketing automation per antonomasia, Hubspot, è esempio lampante di questo processo di ibridazione tra le due discipline. Dal momento che questo non è un libro tecnico per sviluppatori, ho scelto di trattare il tema automazione come lâinsieme di tutti quei processi (automatizzati o automatizzabili) che non hanno bisogno, se non parzialmente, di intervento umano, quindi senza tenere in considerazione il livello di âintelligenzaâ dietro a essi. Spero mi si perdoni la necessaria forzatura semantica.
Scelta di terminologia a parte, in un momento storico come il nostro, pensare di poter continuare a operare in ambito turistico senza un minimo di automazione significa, quantomeno, soffrire di miopia imprenditoriale. I vantaggi dellâautomation sono molteplici: dal risparmio in termini di ore-uomo, fino alla migliore gestione delle operazioni interne. Automatizzare i processi è una necessitĂ aziendale e, con tecnologie e infrastrutture sempre piĂš accessibili, sia in termini di investimenti richiesti che di implementazione, lâautomazione non è piĂš appannaggio unico di OTA o grandi brand di catena. Il passaggio da sistemi tutto-in-uno allâutilizzo di una piĂš ampia gamma di piattaforme di terze parti, soprattutto, ha creato uno scenario grazie al quale ogni tipo di struttura ricettiva gode oggi di una libertĂ mai sperimentata prima: le nuove infrastrutture tecnologiche (alle quali dedico un capitolo intero) consentono agli albergatori di implementare ciò di cui hanno bisogno, quando ne hanno bisogno e senza la necessitĂ di sradicare processi aziendali preesistenti.
Eppure, sebbene lâautomazione sia ampliamente implementata in quasi tutti i settori, essa è ancora relativamente giovane nellâospitalitĂ . Gli hotel italiani (che, non dimentichiamolo, sono generalmente a conduzione familiare, indipendenti o parte di micro-catene), in particolare, tendono a essere piĂš resistenti allâadozione di automatismi, soprattutto a causa dellâinvestimento economico iniziale (spesso piĂš percepito che reale, in veritĂ ) necessario. Un ulteriore motivo è di mancata comprensione del concetto stesso di automazione, concetto, come si è visto in apertura, giĂ fumoso di suo: i tool di automation sono ancora ampiamente considerati come orpelli superflui, figli di un regime oligo-tecnocratico nelle mani di pochissimi fornitori. A peggiorare le cose, le esperienze, di solito traumatiche, che lâalbergatore medio vive ogni qualvolta che si vede costretto a implementare nuovi software (soprattutto quelli piĂš centrali nellâoperativitĂ quotidiana, come i PMS), fanno guardare al processo con sospetto e paura â se non, addirittura, con una marcata sopravvalutazione del rischio. In psicologia il fenomeno passa sotto il nome di âeuristica della disponibilitĂ â:2 la probabilitĂ che qualcosa vada storto durante lâimplementazione di un nuovo software (perdita di dati, necessitĂ di riformare il personale e cosĂŹ via), anche se molto bassa dal punto di vista statistico, viene quindi ingigantita da questo (ben conosciuto, studiato e documentato) cortocircuito cognitivo.
ResponsabilitĂ di fornitori, consulenti e albergatori
Anche i fornitori di software hanno le loro responsabilitĂ in questa mancata adozione dellâautomation: se, da una parte, essi svolgono un ruolo importante nel sensibilizzare gli albergatori circa vantaggi dellâautomazione, dallâaltro devono cercare di trasmettere questi messaggi senza essere percepiti dai loro clienti come semplici discorsi commerciali. Ă, facendo della sana autocritica, anche colpa di noi consulenti, spesso vittime di un bias ancora piĂš maligno, ovvero quello di pensarci piĂš competenti di quello che in realtĂ siamo. La psicologia viene ancora una volta in nostro aiuto, definendo questa inclinazione (umana, troppo umana) come Effetto Dunning-Kruger: âun pregiudizio cognitivo a causa del quale persone poco esperte in un campo [âŚ] tendono a sopravvalutare le proprie capacitĂ , autovalutandosi erroneamente esperti in materiaâ.3
Quali che siano cause e concause, il problema di fondo rimane trasversale: da un lato ci sono i piccoli hotel indipendenti, con le loro sopra elencate problematiche intrinseche, dallâaltro ci sono gli hotel di catena i quali, nonostante godano di un innegabile vantaggio in termini di know-how tecnologico, potere di investimento e ridotti bias cognitivi, sono paradossalmente limitati nelle scelte dalla lentezza delle decisioni impartite dalle case madri. La dis-adozione, esattamente come lâadozione, di una tecnologia a favore di unâaltra è un processo complicato e doloroso, soprattutto in un settore altamente operativo e tecnologicamente inflazionato come quello dellâhospitality. Ma la situazione ha addirittura del nonsense: quando si gestisce un hotel, il problema principale è sempre la mancanza di tempo. E lâautomazione può restituire proprio questo: il tempo.
A tutte queste criticitĂ si affianca anche il solito problema del sospetto umano nei confronti degli automatismi, sebbene sia ormai evidente ai piĂš che il customer service umano e il customer service non umano non competano tra loro, bensĂŹ si completino. Le automazioni forniscono agli albergatori la possibilitĂ di rimpiazzare praticamente tutti quei processi che girano dietro le quinte (ovvero: tutti quelli nei quali la presenza di un essere umano non è strettamente necessaria), tuttavia la conseguente adozione resta confinata ad alcuni hotel di catena, al segmento hi-scale o a pochi illuminati indipendenti. Peter Oâ Connor, professore con il quale ho avuto il piacere di collaborare durante un paio di lezioni sul marketing presso la ESSEC Business School di Cergy, in piĂš di unâoccasione si è lamentato del fatto di come questa mancata adozione crei una falsa economia: âSe il costo dellâinvestimento è altoâ, ama ripetere Oâ Connor, âè ancora piĂš alto il costo del non-investimentoâ. Sono dâaccordo, anche se lo trovo riduttivo.
A ben vedere, il problema non è solo di investimenti, ma è tecnologico, culturale, manageriale e organizzativo al tempo stesso: gestire una piattaforma complessa necessita di investimenti in termini di tempo e training e non è raro che, ironicamente, si finisca cosĂŹ per non utilizzare affatto gli strumenti. Ma questo è un comportamento altamente rischioso: allâimmobilismo degli hotel, infatti, corrisponde una sempre maggiore sofisticazione nel campo dellâautomazione da parte delle OTA, piĂš disposte a innovare, testare, fallire e imparare dai propri errori. Booking.com, per esempio, garantisce al proprio team di sviluppatori la completa libertĂ di eseguire test A/B senza il bisogno di chiedere autorizzazioni a nessuno, in un sistema antigerarchico quasi sconosciuto negli alberghi. Purtroppo, ancora oggi, negli hotel vige una sorta di inerzia tecnologica nei confronti della quale siamo tutti correi: fornitori, consulenti e albergatori. Ă arrivato il momento di correggere il tiro.
Privacy, tocco umano e resistenza al cambiamento
Altro tasto dolente, quando si tratta di automation, è la spinosa questione privacy: le piattaforme dâautomazione hanno bisogno di una quantitĂ di dati molto elevata e, in un momento storico in cui la privacy digitale è diventata una vera e propria ossessione (oggi, lâInternational Association of Privacy Professionals, anche nota come IAPP, conta piĂš di 20.000 membri in oltre 80 Paesi), bisogna fare i conti anche con le frammentarie regolamentazioni a riguardo. In Europa, soprattutto, schiacciati da una legge apertissima alle interpretazioni, gli albergatori devono affrontare un ulteriore livello di complessitĂ nellâacquisire i dati dei propri ospiti nel rispetto di una normativa talmente vaga, a livello tecnologico, da rasentare il nichilismo procedurale. Soprattutto quando si tratta di sistemi di AI basati sul deep learning,4 dove il volume di dati necessari è molto alto, la questione privacy diventa particolarmente spinosa. Basti pensare a come gli algoritmi di Facebook processino il miliardo e mezzo di fotografie caricate ogni giorno dagli utenti per addestrare gli algoritmi a riconoscere tutti gli elementi presenti nellâimmagine, compresi i volti delle persone. Altri esempi? Palantir Technology (Figura 1.1) è unâazienda di big data della quale forse non hai mai sentito parlare, tuttavia è valutata oltre 20 miliardi di dollari e collabora, tra gli altri, con CIA, FBI, DHS, NSA, CDC, il corpo dei Marine e lâAir Force.
Figura 1.1 Palantir, azienda di big data dal valore di 20 miliardi di dollari.
Ancora: nel 2018 fece scalpore il caso Cambridge Analytica, azienda rea di aver raccolto dati personali di milioni di utenti Facebook â senza il loro consenso â per scopi di propaganda politica (Cambridge Analytica ha poi dichiarato bancarotta poco dopo e proprio a causa di questo scandalo). Gli esempi potrebbero andare avanti allâinfinito.
Ultimo, ma non per importanza, il timore immotivato di per...