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Narciso e Boccadoro
Hermann Hesse, Cristina Baseggio
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Narciso e Boccadoro
Hermann Hesse, Cristina Baseggio
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In una Germania rinascimentale, due amici, entrambi novizi in un monastero, Boccadoro, il sensuale vagabondo, e Narciso, l'asceta che diventerĂ abate, "vivono la saggezza", completandosi a vicenda.
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ClĂĄsicosVIII
Boccadoro aveva giĂ camminato a lungo, di rado pernottando due volte nello stesso luogo, dappertutto desiderato e favorito dalle donne, abbronzato dal sole, dimagrito dal vagabondaggio e dalla scarsitĂ del cibo. Molte donne lâavevano lasciato allâalba e alcune se nâerano andate piangendo; piĂš dâuna volta aveva pensato: âPerchĂŠ nessuna rimane con me? PerchĂŠ, se mi amano e per una notte dâamore violano la fede coniugale... perchĂŠ ritornano subito tutte ai loro mariti, dai quali spesso temono dâesser picchiate?â. Nessuna lâaveva pregato sul serio di rimanere, nessuna lâaveva mai pregato di prenderla con sĂŠ ed era stata pronta per amore a dividere con lui le gioie e le angustie della vita errabonda. Veramente non aveva rivolto a nessuna quellâinvito, a nessuna aveva suggerito quellâidea; se interrogava il suo cuore, vedeva che la libertĂ gli era cara e non ricordava una donna amata, di cui avesse sentito ancora la nostalgia fra le braccia di quella che le era succeduta. E tuttavia gli riusciva strano e un poco triste che lâamore si mostrasse sempre cosĂŹ fugace, quello delle donne, come il suo, e con la stessa rapiditĂ con cui divampava fosse anche sazio. Era giusto questo? Era cosĂŹ sempre e dappertutto? O dipendeva da lui, forse era nella sua natura che le donne lo desiderassero e lo trovassero bello, ma non aspirassero ad altra comunanza con lui che non fosse quella breve e senza parole di una notte nel fieno o sul musco? Era perchĂŠ viveva da vagabondo e i sedentari provavano orrore per la vita dei senza-patria? O dipendeva proprio solo da lui, dalla sua persona, che le donne lo desiderassero come una bella bambola, ma poi ritornassero ai loro uomini, anche se lĂ le attendevano le percosse?
Non si stancava dâimparare dalle donne. In realtĂ lâattiravano di piĂš le fanciulle, le giovanissime, che non avevano ancora marito e non sapevano nulla; di esse poteva innamorarsi con ardore; ma erano quasi sempre irraggiungibili, cosĂŹ amate, timide e ben protette! Ma imparava volentieri anche dalle donne. Ognuna gli lasciava qualcosa, un gesto, un modo di baciare, un gioco speciale, una particolare maniera di darsi o di difendersi. Boccadoro accondiscendeva a tutto, era insaziabile e docile come un bimbo, aperto ad ogni seduzione: e per questo appunto seducente egli stesso. La sua bellezza da sola non sarebbe bastata a condurgli cosĂŹ facilmente le donne; era quel suo candore infantile, quella sua innocenza curiosa della brama, quellâessere aperto e meravigliosamente pronto a ciò che una donna poteva desiderare da lui. Senza saperlo, era presso ogni donna amata proprio cosĂŹ come essa lo desiderava e lo sognava, con lâuna delicato e paziente nellâattesa, con lâaltra impetuoso e intraprendente, ora ingenuo come un ragazzo iniziato per la prima volta, ora raffinato ed esperto. Era pronto al gioco e alla lotta, al sospiro e al riso, al pudore e alla spudoratezza; non faceva nulla a una donna châella non bramasse, nulla châella non provocasse da lui. Questo era ciò che ogni donna dai sensi accorti intuiva subito in Boccadoro, questo lo rendeva il suo beniamino.
Egli intanto imparava. In breve non imparò solo molte qualitĂ e molte arti dâamore, accogliendo in sĂŠ le esperienze di molte amanti. Imparò anche a vedere le donne nella loro varietĂ , a sentirle, a tastarle, a odorarle: acquistò un orecchio finissimo per ogni sorta di voce e piĂš dâuna volta dal suo semplice suono sapeva indovinare con sicurezza il genere della donna e la sua capacitĂ dâamare. Con sempre nuovo rapimento contemplava gli infiniti modi diversi come una testa poteva reggersi sul collo, una capigliatura staccarsi dalla fronte, una rotula muoversi entro il ginocchio. Al buio, ad occhi chiusi, col tatto delicato delle dita imparava a distinguere una chioma femminile o una qualitĂ di pelle e di pelurie dallâaltra. Cominciò per tempo ad accorgersi che forse il senso del suo vagabondaggio stava proprio in questo, che forse era sospinto da una donna allâaltra appunto perchĂŠ potesse imparare a esercitare con sempre maggior finezza, varietĂ e profonditĂ , questa capacitĂ di conoscere e di distinguere. Forse era questo il suo destino: imparare a conoscere le donne e lâamore in mille modi e in mille forme diverse fino alla perfezione, cosĂŹ come taluni musicisti sanno suonare non un solo strumento, ma tre, quattro, molti. A quale scopo ciò dovesse servire, dove conducesse, certo non sapeva; sentiva solo di essere in cammino. Se per il latino e per la logica aveva certe attitudini â non però doti rare, singolari e sorprendenti â per lâamore, per il gioco con le donne era eccezionalmente dotato; qui imparava senza fatica, qui non dimenticava nulla, qui le esperienze si accumulavano e si ordinavano da sĂŠ.
Un giorno, quando giĂ da un anno o due vagava per il mondo, Boccadoro giunse al castello di un agiato cavaliere, che aveva due figlie giovani e belle. Era il principio dâautunno, presto le notti sarebbero diventate fredde; nellâautunno e nellâinverno passati aveva fatto la sua esperienza, e non senza preoccupazione pensava ai mesi venturi: nellâinverno la vita del vagabondo era dura. Chiese cibo e asilo per la notte. Fu accolto cortesemente, e quando il cavaliere udĂŹ che lo straniero aveva studiato e sapeva il greco, lo fece passare dalla tavola dei servi alla sua e lo trattò quasi come suo pari. Le due figlie tenevano gli occhi bassi; la maggiore aveva diciotto anni, la minore sedici appena: Lidia e Giulia.
Il giorno dopo Boccadoro voleva proseguire: non câera per lui nessuna speranza di poter conquistare una di quelle belle e bionde damigelle, e altre donne, per cui rimanere, non se ne vedevano. Ma dopo la prima colazione il cavaliere lo prese da parte e lo condusse in una stanza, châegli si era arredata per scopi speciali. Il vecchio parlò con modestia al giovane della sua passione per la dottrina e per i libri, gli mostrò un piccolo cofano pieno di scritti, da lui raccolti, uno scrittoio che sâera fatto costruire e una provvista di bella carta e pergamena. Questo bravo cavaliere era stato a scuola in gioventĂš: poi, come Boccadoro venne a sapere a poco a poco, si era dato tutto alla vita guerresca e mondana, finchĂŠ, gravemente malato, un avvertimento divino lâaveva indotto a unirsi a una schiera di pellegrini e a espiare cosĂŹ la sua gioventĂš peccaminosa. Era andato a Roma e perfino a Costantinopoli, al ritorno aveva trovato il padre morto e la casa vuota, vi aveva fissato la sua dimora, sâera sposato, aveva perduto la moglie e allevato le figliole, e, poichĂŠ ormai cominciava la vecchiaia, sâera accinto a scrivere una minuta relazione del suo pellegrinaggio. Aveva giĂ messo insieme parecchi capitoli, ma â confessò al giovane â il suo latino era molto deficiente e lo inceppava ad ogni passo. Offerse dunque a Boccadoro un abito nuovo e libero asilo, se voleva correggergli e mettergli in bella copia ciò che aveva scritto fino allora, e poi aiutarlo a continuare.
Era autunno: Boccadoro sapeva quel che ciò significava per un vagabondo. Anche lâabito nuovo era assai desiderabile. Ma soprattutto piacque al giovane la prospettiva di rimanere ancora a lungo nella stessa casa con le due belle sorelle. Accettò senza esitare. Dopo pochi giorni la dispensiera del castello doveva aprire lâarmadio delle stoffe; trovarono un bel panno marrone, con cui fecero confezionare un abito e un berretto per Boccadoro. Veramente il cavaliere aveva pensato al nero, a una specie di veste da magister, ma il suo ospite non ne volle sapere e riuscĂŹ a dissuaderlo. Venne fuori cosĂŹ un grazioso costume, un poâ da paggio e un poâ da cacciatore, che gli stava benissimo.
Anche col latino non andò male. Rilessero insieme ciò châera stato scritto fino allora, e Boccadoro non solo corresse i molti vocaboli inesatti ed errati, ma qua e lĂ trasformò anche le brevi frasi impacciate in eleganti periodi latini, con solide costruzioni e una perfetta consecutio temporum. Procurò cosĂŹ un gran godimento al cavaliere, che non gli era avaro di lodi. Ogni giorno passavano almeno due ore a quel lavoro.
Nel castello â una specie di grande masseria fortificata â Boccadoro trovò piĂš dâun passatempo: prese parte alla caccia e dal cacciatore Enrico imparò a tirar con la balestra, fece amicizia coi cani e potĂŠ cavalcare a suo piacimento. Di rado lo si vedeva solo; o parlava con un cane o con un cavallo, oppure col cacciatore Enrico o con la dispensiera Lea, una grossa vecchia che aveva una voce maschile e una gran voglia di ridere e di scherzare, o infine col guardiano dei cani o con un pastore. Con la moglie del mugnaio, che abitava vicinissima, non sarebbe stato difficile fare allâamore, ma egli manteneva un contegno riservato e faceva lâingenuo.
Delle due figlie del cavaliere era entusiasta. La minore era la piĂš bella, ma cosĂŹ sdegnosa che non diceva quasi una parola con Boccadoro. Trattava ambedue col massimo riguardo e ossequio, ma lâuna e lâaltra sentivano la sua vicinanza come una corte assidua. La piĂš giovane si chiudeva tutta, fiera per timidezza. La maggiore, Lidia, aveva trovato con lui un tono speciale, fra rispettoso e canzonatorio, e lo trattava come una bestia rara dâerudito, rivolgendogli molte domande curiose, informandosi della vita del convento, ma sempre con un fare da gran dama superiore e un poâ beffarda. Egli accondiscendeva a tutto; trattava Lidia come una dama, Giulia come una monachella, e quando, dopo cena, riusciva con la sua conversazione a trattenere le fanciulle a tavola un poâ piĂš a lungo del solito, o quando Lidia in cortile o in giardino gli rivolgeva talvolta la parola e si permetteva qualche piccolo scherzo, era contento e sentiva dâaver fatto un progresso.
In quellâautunno le foglie indugiarono a lungo sugli alti frassini del cortile, in giardino rimasero fioriti a lungo gli astri e le rose. Un giorno arrivò una visita; giunsero a cavallo un signore di un possedimento vicino, con sua moglie e un palafreniere; la giornata mite li aveva indotti a una gita piĂš lunga del consueto e cosĂŹ erano arrivati fin lĂ e chiedevano alloggio per la notte. Furono accolti molto cortesemente e subito il letto di Boccadoro fu trasportato dalla camera dei forestieri nello studio, la camera fu messa in ordine per i visitatori, vennero ammazzati alcuni polli e cercati pesci al mulino. Boccadoro partecipò con gioia al festoso trambusto e subito sâaccorse dâattirare lâattenzione della signora straniera. La voce e qualcosa nello sguardo di lei gli avevano appena rivelato la sua compiacenza e la sua brama, quando notò anche, con crescente attenzione, attuarsi un mutamento in Lidia: diventò chiusa e taciturna e cominciò a osservare lui e la dama. Quando durante la cena festosa il piede della signora prese a giocare sotto la tavola col piede di Boccadoro, egli rimase incantato non tanto di quel gioco quanto dellâansia cupa e silenziosa, con cui Lidia lo seguiva con occhi curiosi e fiammeggianti. Infine egli lasciò cadere con intenzione un coltello per terra, si chinò sotto la tavola e sfiorò con una carezza il piede e la gamba della dama: vide Lidia impallidire e mordersi le labbra; continuò a raccontare aneddoti di convento e sentĂŹ che la straniera piĂš che le storie ascoltava intensamente la sua voce insinuante. Anche gli altri stavano attenti, il suo padrone con benevolenza, lâospite con volto impassibile, ma toccato anchâegli dal fuoco che ardeva nel giovane. Lidia non lâaveva mai udito parlare cosĂŹ: era come sbocciato, câera un fremito di voluttĂ nellâaria, i suoi occhi brillavano, nella sua voce cantava la felicitĂ , implorava lâamore. Le tre donne lo sentivano, ciascuna in modo diverso: la piccola Giulia con violenta riluttanza e resistenza; la moglie del cavaliere con soddisfazione raggiante; Lidia con un doloroso tumulto del cuore, che ondeggiava fra lâintimo desiderio, una blanda resistenza e la piĂš viva gelosia, e che le allungava il volto e le faceva ardere gli occhi. Boccadoro sentiva tutte queste ondate che rifluivano a lui come risposte segrete alle sue seduzioni; i pensieri dâamore, di dedizione, di resistenza, di lotta reciproca gli volavano intorno come uccelli.
Dopo cena Giulia si ritirò; era giĂ notte avanzata; con la sua candela nel candeliere di terracotta lasciò il terrazzo, fredda come una piccola monaca. Gli altri rimasero ancora unâora, e mentre i due signori parlavano del raccolto, dellâimperatore e del vescovo, Lidia ascoltava, tutta accesa, un negligente chiacchierio, a proposito di nulla, fra Boccadoro e la dama, e vedeva intessersi fra i suoi fili lenti una fitta e dolce rete di domande e di risposte, di sguardi, di accenti, di piccoli gesti, ciascuno dei quali era carico di significato e rovente di ardore. La fanciulla aspirava lâatmosfera con aviditĂ e insieme con orrore, e, quando scorgeva o intuiva che il ginocchio di Boccadoro sfiorava sotto la tavola quello della straniera, sentiva il contatto sul suo proprio corpo e sussultava. Poi non dormĂŹ, e per metĂ della notte stette in ascolto col batticuore, convinta che i due si sarebbero trovati insieme. Completò nella sua immaginazione quello che a loro era vietato, li vide abbracciati, udĂŹ i loro baci, e tremò persino dâagitazione, temendo e desiderando al tempo stesso che il cavaliere ingannato sorprendesse gli amanti e trafiggesse col suo pugnale il cuore di quellâabominevole Boccadoro.
La mattina seguente il cielo era coperto, soffiava un vento umido, e lâospite, respingendo ogni invito di rimanere piĂš a lungo, insistette per partire subito. Lidia era presente quando gli ospiti salirono a cavallo, strinse loro la mano, disse parole dâaddio; ma non sapeva quel che faceva, tutti i suoi sensi erano concentrati nello sguardo con cui osservò la dama posare il piede, mentre montava in sella, fra le mani di Boccadoro, e la destra di lui, larga e ferma, afferrare la scarpa e stringere per un momento con forza il piede della donna.
Partiti gli ospiti, Boccadoro dovette ritirarsi nello studio a lavorare. Dopo una mezzâora udĂŹ risuonare in basso la voce imperiosa di Lidia e condurre innanzi un cavallo; il cavaliere sâaffacciò alla finestra e guardò giĂš sorridendo e scuotendo la testa; poi entrambi seguirono con lo sguardo Lidia, mentre usciva a cavallo dal cortile. Quel giorno il loro latino non avanzò di molto; Boccadoro era distratto; il suo signore, benevolo, lo congedò prima del solito.
Sceso nel cortile, uscĂŹ inosservato sul suo cavallo, incontro al vento dâautunno fresco e umido, nella campagna scolorita; serrando sempre piĂš il trotto, sentĂŹ il cavallo scaldarsi sotto di sĂŠ e il suo stesso sangue infuocarsi. Per campi di stoppie e di maggese, per la landa e per tratti di palude coperti di canne e setoloni, cavalcò respirando a pieni polmoni nella giornata grigia, traversando vallette di ontani e pinete imporrite, poi di nuovo sulla landa bruna e deserta.
Sulla cresta alta di un colle, nitida contro il cielo nuvoloso color di cenere, scoperse la figura di Lidia, eretta sopra il cavallo che trottava lento. Si lanciò verso di lei; appena lei si vide inseguita, spronò il suo cavallo e si diede alla fuga. Ora scompariva, ora riappariva con i capelli al vento. Le dava la caccia come a una preda, e gli rideva il cuore, mentre con piccoli gridi affettuosi eccitava il cavallo, con occhi sereni coglieva a volo le caratteristiche del paesaggio, i campi acquattati, i boschetti di ontani, i gruppi dâaceri, le rive fangose degli stagni; ma poi riconduceva lo sguardo alla sua meta, alla bella fuggitiva. Presto lâavrebbe raggiunta.
Quando Lidia lo sentĂŹ vicino, rinunciò alla fuga e mise il cavallo al passo. Non si voltò verso lâinseguitore. Fiera, apparentemente indifferente, continuò a cavalcare come se nulla fosse stato, come se fosse sola. Egli spinse il cavallo accanto al suo e i due animali proseguirono tranquilli lâuno di fianco allâaltro, ma cavalli e cavalieri erano riscaldati dalla corsa.
Lidia! chiamò sottovoce.
Ella non diede risposta.
ÂŤLidia!Âť
Ella rimase muta.
ÂŤComâera bello, Lidia, vederti cavalcare da lontano! I tuoi capelli volavano dietro di te come una saetta dâoro. Comâera bello! Ah, che meraviglia che tu sia fuggita da me! CosĂŹ ho veduto per la prima volta che mi vuoi un poâ di bene. Non lo sapevo, ancora ieri sera ero in dubbio. Solo quando hai cercato di sfuggirmi, lâho capito a un tratto. Bella, cara, devi essere stanca, smontiamo!Âť
Balzò rapido dal cavallo e nello stesso istante afferrò le redini di lei, perchĂŠ non gli scappasse unâaltra volta. Lo g...