La cappella di San Matteo
Per il clero di San Luigi la cappella Contarelli non aveva significato altro che guai. Quinta sulla sinistra nella chiesa nazionale dei francesi, era da anni poco piĂš che un cantiere. Non solo rovinava lâaspetto di tutta la chiesa, lamentavano i sacerdoti, ma stava danneggiando anche la reputazione della comunitĂ francese di Roma.
La saga aveva avuto inizio nel 1565, quando un cardinale francese di nome Mathieu Cointrel (o Matteo Contarelli, come il nome era stato italianizzato) aveva pagato una somma considerevole per acquistare la cappella, dove intendeva essere sepolto. Contarelli era giĂ stato generoso verso la chiesa durante la sua costruzione, pagando il conto della bella facciata marmorea, opera di Giacomo della Porta. Ma, nonostante tutti i suoi sforzi, quando morĂŹ, nel 1585, la cappella era ancora pressochĂŠ spoglia di decorazioni.
Egli stesso aveva incaricato Girolamo Muziano, pittore competente ma non eccezionale, di dipingere degli affreschi sulle due pareti laterali e decorarne la volta. Muziano aveva tergiversato per anni, finendo per tirarsi indietro senza avere dipinto quasi niente. Nel 1587 lâesecutore testamentario di Contarelli, Virgilio Crescenzi, aveva commissionato un gruppo marmoreo per lâaltare a uno scultore fiammingo, Jacques Cobaert. Inoltre aveva convinto Giuseppe Cesari ad affrescare le pareti e il soffitto. Cesari aveva portato a termine gli affreschi della volta nel 1593, quando Caravaggio faceva parte della sua bottega, ma, sommerso da altre commissioni, fra cui diverse per il pontefice, non aveva mai trovato il tempo per il resto. Intanto lo scultore, Cobaert, stava lavorando sodo, o almeno cosĂŹ diceva, perchĂŠ non aveva ancora fatto vedere niente. Elettrizzato dallâimportanza della commissione, ma paralizzato dai dubbi sulle proprie capacitĂ , lavorò accanitamente per anni a quello che sperava sarebbe stato il suo magnum opus. Nel 1596 il contratto gli fu rinnovato ma, allâavvicinarsi della fine del secolo, non câera ancora alcun segno che la sua opera sarebbe mai stata consegnata. Chi gli era vicino notava che Cobaert si stava facendo sempre piĂš paranoico e reticente.
Nel 1597 i sacerdoti, messi da cosĂŹ tanto tempo a dura prova, avevano perso la pazienza. Con lâanno giubilare del 1600 che si avvicinava a grandi passi, avevano inviato una petizione al papa:
Beatissimo padre, La natione francese della Chiesa di San Luigi di Roma [âŚ] espongono humilmente come la capella di San Matteo in essa chiesa fondata, e dotata di scudi cento dâoro lâanno per doi capellani dalla bo. me. il Cardinale San Stefano, è stata piĂš di XXV anni, et è ancora al presente serrata, et se la Sta V. non interpone la sua autoritĂ , va a pericolo che non la si finisca mai poichĂŠ il Signor Abbate Giacomo Crescentio essecutore del testamento del sudetto Card., surrogato dal padre di lui Vergilio Crescentio [âŚ] non lâha mai finita scusandosi orâ su âl scultore, or su âl pittore ora sopra una cosa ora sopra unâaltra, et cosĂŹ lâanima del defunto viene ad esser fraudata del suffragio châivi si dee fare, et la Chiesa di S. Luigi similmente fraudata del emolumento, ad essa capella assignato. Il che torna in gran pregiuditio del culto divino, et vergogna della natione, stimando glâesteri che da loro provenga tal difetto, poichĂŠ la vedono continuamente serrata di tavole mentre che diverse Chiese si sono fabricate in Roma interamente da fondamenti in manco tempo che quella capella è stata serrata [âŚ] li heredi, et figlioli del Crescentio, cumulando [introiti] anno dopo anno, et dĂŹ per dĂŹ hanno comprato molti, et diversi uffitii in cancellaria, Casali, et altre cose, senza effettuare cosa alcuna relevante della volontĂ del testatore, et senza far dire pure un anniversario per lâanima del defunto.1
In conseguenza di questa filippica, Clemente VIII ordinò ai Crescenzi di rinunciare allâereditĂ Contarelli e affidò la responsabilitĂ della cappella alla Fabbrica di San Pietro. Di nuovo ci si rivolse a Giuseppe Cesari, chiedendogli di finire ciò che aveva iniziato, ma egli lamentò di essere sovraccarico di lavoro. Del Monte, il cui palazzo era esattamente di fronte alla chiesa, e che era in amicizia con i Crescenzi, seguĂŹ con attenzione lâevolversi della vicenda. Si diede personalmente da fare dietro le quinte, tirò i fili giusti e, in qualche modo, riuscĂŹ a fare assegnare la commissione a Caravaggio, un artista che non aveva ancora dato alcuna prova di sĂŠ nellâarena pubblica della pittura religiosa su grande scala. ÂŤPer opera del Suo cardinale hebbe in s. Luigi deâ Francesi la cappella deâ ContarelliÂť scrisse Baglione con una punta di acredine. Il 23 luglio 1599 lâartista firmò con i due rettori della chiesa un contratto in cui sâimpegnava a completare i pannelli laterali per la cappella entro la fine dellâanno per un compenso di quattrocento scudi.
Era unâardua sfida per un artista giovane e relativamente inesperto. Fino a quel momento Caravaggio non aveva mai dipinto un quadro con piĂš di quattro figure. Nessuna delle sue tele precedenti era piĂš larga di 120-150 centimetri e, di colpo, si trovava a dover produrre due dipinti monumentali, ciascuno largo oltre tre metri e alto quasi altrettanto. Egli aveva, è vero, dipinto una serie di opere devozionali, ma era noto soprattutto come pittore di scene di genere, con un talento per la natura morta. Ora era invitato a creare complessi dipinti narrativi religiosi. Era unâoccasione per competere con i piĂš grandi artisti del passato. Ma se fosse andata male, anche il fallimento sarebbe stato della stessa portata.
I soggetti dei due quadri laterali per la cappella erano stati prescritti dal cardinale Contarelli stesso. Egli aveva voluto che la sua cappella funeraria fosse dedicata a san Matteo, il santo di cui portava il nome, e quindi i dipinti ai due lati dellâaltare dovevano raccontare storie della vita dellâapostolo. Quello di sinistra avrebbe dovuto mostrare Matteo, lâesattore delle imposte, chiamato da Cristo; quello di destra il glorioso martirio del santo per mano di un assassino pagano. Cointrel aveva concepito anche idee molto precise su come queste scene andassero raffigurate, idee che trovarono espressione in un allegato, eccezionalmente dettagliato, a uno dei contratti per la decorazione della cappella:
Per la cappella di San Matteo. Al lato destro dellâaltare cioè alla banda del Vangelio si facci un quadro alto palmi dicesette et largo palmi quatordici di vano nel quale sia medisimam[en]te dipinto San Matteo dentro un magazeno, over, salone ad uso di gabella con diverse robbe che convengono a tal officio con un banco come usano i gabellieri con libri, et danari in atto dâhaver riscosso qualche somma o, come meglio parera. Da qual banco San Matteo, vestito secondo che parera convenirsi a quellâarte, si levi con desiderio per venire a N. S.re che passando lungo la strada con i suoi discepoli lo chiama allâapostolato; et nellâatto di San Matteo si ha da dimostrare lâartificio del pittore come anco nel resto. Al lato sinistro cioe dellâepistola sia un altro quadro alto et lungo come di sopra, nel q[u]ale sia depinto un luogo lungo et largo quasi in forma di tempio et nella parte di sopra un altare in isola elevato con tre quattro cinque piĂš o meno gradi: ove San Matteo celebrando la Messa vestito in quel modo che poi si darĂ da intendere sia ammazzato da una mano di soldati et si crede sara piu secondo lâarte farlo nellâatto dellâammazzare pero che habbi ricevuta q[u]alche ferita et gia sia cascato o in atto di cadere ma non ancor morto et nel detto tempo sia moltitudine dâhuomini et donne giovani vecchi putti et dâogni altra sorte in oratione per la maggior parte et seconda le qualitĂ loro et nobilta vestiti et sopra banche et tappeti et altri apparati, et per il piĂš spaventati dal caso mostrando in altri sdegno in altri compassione.2
Il livello di dettaglio di queste istruzioni mostra con quanta cautela i pittori dovessero operare a Roma alla fine del XVI secolo. Caravaggio si prenderĂ delle licenze artistiche, ma restando fedele allo spirito delle raccomandazioni del committente. Nessuna fonte documentaria specifica la tecnica in cui i dipinti dovevano essere realizzati, anche se la preminenza dellâaffresco nella tradizione dellâarte cristiana a Roma era tale che, probabilmente, si presumeva che cosĂŹ il pittore avrebbe lavorato. Lâaffresco, tuttavia, obbliga a dipingere in situ, applicando il pigmento direttamente su uno strato di intonaco fresco in via di rapida essiccazione. Questo avrebbe imposto a Caravaggio di abbandonare la pratica a lui abituale di dipingere in studio da modelli vivi messi in posa in condizioni di luce attentamente controllate. Riluttante a rinunciare a un modo di procedere che gli aveva giĂ conquistato ammiratori, egli comprò due grandi tele e si mise al lavoro nel suo solito modo.
Fedele al metodo di trasporre il passato biblico nel presente, ambientò la Vocazione di san Matteo in una squallida stanza della Roma moderna. Cristo e san Pietro hanno appena fatto il loro ingresso nel buio e spoglio ufficio di Matteo, il gabelliere. Vi trovano cinque uomini, tutti raccolti attorno a un tavolo vicino a una parete nuda alleggerita da unâunica finestra. Lâimposta della finestra è aperta, ma dai suoi quattro pannelli opachi, non di vetro, bensĂŹ di una tela cerata tenuta da corde incrociate, penetra ben poca luce. Sul tavolo ci sono delle monete e un borsellino, un libro dei conti aperto e un calamaio da cui sporge il gambo di una penna dâoca. Ă in corso una transazione.
In fondo al tavolo, un giovane seduto su una savonarola è assorto in calcoli. Ă il contribuente, ha pagato il dovuto e ricevuto un piccolo resto. Le spalle curve, sta contando la misera manciata di monete che ha di fronte prima di mettersele in tasca. Subito dietro di lui, un vecchio con gli occhiali e un pastrano orlato di pelliccia percorre con lo sguardo il tavolo, come per controllare che sia stato dato e ricevuto il giusto. Accanto a essi siede Matteo insieme al suo paggio, un ragazzo dal volto paffuto che si appoggia con familiaritĂ amichevole alla spalla del padrone. Per questa figura posò lâamico siciliano di Caravaggio, il pittore Mario Minniti. Di fronte è seduto un altro giovane in una bella livrea da paggio, le cui maniche a righe bianche e nere lampeggiano e luccicano nella penombra della stanza. Ă presumibilmente la guardia del corpo del contribuente. La tradizione vuole che anche per questa figura abbia fatto da modello un pittore, Lionello Spada. Ma lâidentificazione può essere apocrifa, un volo di fantasia forse ispirato dalla spada che gli pende dal fianco.
Il racconto biblico della chiamata di Matteo allâapostolato è di una laconicitĂ estrema: ÂŤAndando via di lĂ , GesĂš vide un uomo seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: âSeguimiâ. Ed egli si alzò e lo seguĂŹÂť (Matteo 9,9). Caravaggio rappresentò il momento al cuore di questa succinta narrazione, quello in cui Cristo ha appena pronunciato la sua semplice, singola parola di comando. Matteo, stupefatto e nello stesso tempo soggiogato, si punta un dito al petto fissando negli occhi il Salvatore. Câè incredulitĂ nella sua espressione e, sulle sue labbra, una domanda congelata: ÂŤChi, io?Âť. Egli continua, distrattamente, a contare il resto del contribuente fino allâultima moneta, ma ormai sa in che direzione il suo destino lo porta. Punta le gambe preparandosi ad alzarsi ed entrare nella sua nuova esistenza. Il comando è irresistibile, il suo esito inevitabile. Cristo fissa lâesattore delle imposte con uno sguardo intenso, ipnotico. Mentre sta ancora tendendo il braccio verso Matteo, ha giĂ iniziato a lasciare la stanza. I suoi piedi nudi, seminascosti nellâombra profonda, si sono voltati, allontanandosi dalla compagnia degli uomini per tornare a volgersi verso il mondo esterno. Ancora un attimo e se ne sarĂ andato, portando con sĂŠ il nuovo apostolo. Ă stato fatto tutto ciò che doveva essere fatto.
Matteo e i suoi compagni, seduti attorno a un tavolo cosparso di monete, potrebbero quasi essere dei giocatori allâosteria dei Bari dipinti per il cardinale Del Monte cinque anni prima. Lâuomo che, sconsolato, ha pagato le sue tasse e sta rastrellando il resto, un esiguo mucchietto di monete, fa pensare a un giocatore che abbia appena vinto una somma risibilmente modesta. Anzi, esattamente cosĂŹ lo vide, anni dopo che il quadro era stato dipinto, lâautore del XVII secolo Joachim von Sandrart. ÂŤĂ rappresentato Cristo che entra in una stanza oscura con due dei suoi e trova il pubblicano Matteo con una manica di bricconi che bevono e giocano a carte e ai dadi: Matteo, colto da timore, nasconde le carte in una mano e porta lâaltra al petto, mostrando nel volto la paura e la vergogna che lo ha accolto perchĂŠ indegnamente è stato chiamato da Cristo allâufficio di apostolo; un altro con una mano fa scivolare dal tavolo del denaro nellâaltra e si allontana tutto vergognoso: tutto ciò è perfettamente conforme alla natura e alla vita.Âť3
Sandrart, è chiaro, non dovette contemplare il dipinto con la massima attenzione, ma la sua erronea interpretazione evoca unâatmosfera che Caravaggio aveva inteso creare. Lâufficio dellâesattore delle imposte, nel suo squallore da scantinato, con i suoi personaggi mercenari, fa davvero pensare a un sordido covo dâiniquitĂ . In questa oscuritĂ , Cristo porta luce, proprio come porta luce e missione divina nella triste esistenza da raccattasoldi di Matteo. La principale sorgente di luce del quadro è in alto a destra, a suggerire la luce del giorno che inonda la stanza dallâalto, forse attraverso una porta aperta e giĂš per una rampa di scalini. Essa lampeggia sul volto di Matteo, lungo una diagonale parallela alla linea tracciata dallâaureola dorata di Cristo e dalla sua mano illuminata, protesa a indicare. Ă la luce della normale, terrena realtĂ , ma è anche la luce di Dio.
La Vocazione di san Matteo è costruita su contrasti, e non solo contrasti di luce e ombra. Mentre Matteo e i suoi compagni sono vestiti da moderni damerini, Cristo e la figura di san Pietro, solenne nella sua espressione di rimprovero, sono a piedi nudi e indossano abiti semplici e senza tempo. Essi appartengono a un altro tempo e a un altro luogo, a un altro universo morale e spirituale. Potrebbero essere unâapparizione o un sogno, proiettati dal remoto passato sacro in un presente romano profano.
Con la Vocazione di san Matteo Caravaggio rivendicava un posto nella grande tradizione italiana della pittura religiosa monumentale; e con tanta sicurezza da inserire un riferimento palese a tale tradizione nel tessuto stesso dellâopera. La mano che Cristo tende verso Matteo è unâesplicita parafrasi di una delle immagini piĂš celebri di Michelangelo nella volta della cappella Sistina, un particolare attinto dalla Creazione di Adamo, in cui il dito vivificante di Dio si tende verso la languida mano del primo uomo. Ma al proprio Cristo, per il suo gesto solenne, Caravaggio non scelse di dare la mano di Dio, bensĂŹ quella di Adamo. Questo apparente omaggio a Michelangelo è in realtĂ , da parte dellâartista, unâaffermazione di indipendenza di pensiero, e il particolare aggiunge allâimmagine uno strato di significato ben appropriato e sottile. Il Cristo di Caravaggio diventa un secondo Adamo, fatto a immagine di Dio, ma purgato dal peccato, che chiama Matteo alla redenzione: ÂŤE come tutti muoiono in Adamo, cosĂŹ tutti riceveranno la vita in CristoÂť (1 Cor 15,22).
La mano di Cristo non è lâunica allusione del genere nel quadro. Il raccogliersi delle figure attorno al tavolo è studiato per assomigliare a una versione profana dellâUltima cena. Il giovane che conta il suo resto, incurante dellâappello di Cristo, stringe nella mano sinistra in ombra un sacchetto di monete. Ă come Giuda con i suoi trenta denari. Matteo è chiamato a lasciare la compagnia dei Giuda di questo mondo per quella di Cristo Salvatore.
La Vocazione di san Matteo è un dipinto poetico e metaforico, anche se la religiositĂ di cui parla è dura, diretta, minacciosa. Inoltre, câè in esso un senso di rinuncia personale: in questâopera Caravaggio rivisitò il mondo dei suoi primi dipinti di genere, ma solo per consegnarlo alle tenebre. La Vocazione di san Matteo era la prima dimostrazione pubblica del prodigioso naturalismo del pittore, eppure, piĂš che una rappresentazione di vita reale, è un sogno di totale fuga dalla realtĂ , un appello, repentino e inesplicabile, a lasciare una vita di vizio, e una chiamata alla presenza di Dio. Caravaggio sognava di essere chiamato egli stesso cosĂŹ, di essere salvato dalla sua natura imperfetta, indocile?
Con il secondo dei suoi quadri per la cappella Contarelli, il Martirio di san Matteo, il pittore lottò a lungo e duramente, una lotta che divenne di dominio pubblico fra i pettegoli artisti di Roma. Bellori, che ne scrisse settantâanni dopo, ne sapeva abbastanza da poter affermare che Caravaggio lo rifece ÂŤdue volteÂť,4 affermazione che trovò conferma quando nel 1966, durante il restauro, lâopera venne esaminata. I ra...