Un giorno dei primi anni Settanta, Amos mi diede la copia mimeografata di un articolo dellâeconomista svizzero Bruno Frey, nel quale si parlava degli assunti psicologici della teoria economica. Ricordo vividamente il colore della copertina, rosso scuro. Bruno Frey quasi non si ricorda nemmeno di aver scritto quel pezzo, ma io sono ancora in grado di recitare a memoria la prima frase: «Lâagente della teoria economica Ăš razionale ed egoista, e i suoi gusti non cambiano».
Ero sbalordito. I miei colleghi economisti lavoravano nellâedificio accanto, ma non avevo compreso fino allora la profonda differenza tra i nostri mondi intellettuali. Per uno psicologo, Ăš lapalissiano che le persone non sono nĂ© perfettamente razionali nĂ© del tutto egoiste, e che i loro gusti sono tutto fuorchĂ© stabili. Le nostre due discipline parevano studiare due specie diverse, tanto che in seguito lâeconomista comportamentale Richard Thaler le soprannominĂČ Â«gli Econ» e «gli Umani».
Diversamente dagli Econ, gli Umani che gli psicologi conoscono hanno un sistema 1. Essi hanno una visione del mondo limitata dalle informazioni disponibili in quel momento (WYSIATI), e quindi non possono essere cosĂŹ logici e coerenti come gli Econ. A volte sono generosi e spesso sono disposti a dare un proprio contributo al gruppo al quale sono legati. Inoltre, non hanno quasi mai idea di che cosa ameranno lâanno prossimo o addirittura domani. Si presentava lâoccasione di un interessante dialogo interdisciplinare. Non previdi, allora, che la mia carriera sarebbe stata segnata da quel dialogo.
Poco dopo avermi mostrato lâarticolo di Frey, Amos propose che ci concentrassimo, nel nostro progetto successivo, sullo studio del processo decisionale. Non sapevo praticamente nulla dellâargomento, ma lui era un esperto e una star in quel campo, e disse che mi avrebbe istruito. Mentre studiava ancora per la laurea di secondo grado, disse, aveva scritto con un altro autore un manuale, Introduzione alla psicologia matematica,1 e mi invitĂČ a leggerne alcuni capitoli che riteneva costituissero una buona preparazione allâargomento.
Presto appresi che il tema del nostro studio sarebbero stati gli atteggiamenti della gente verso le opzioni di rischio e che avremmo cercato di rispondere a un quesito specifico: quali regole governano le scelte delle persone quando devono decidere tra vari tipi di azzardi semplici e tra azzardi e cose sicure?
Gli azzardi o opzioni di rischio semplici (come «il 40 per cento di probabilitĂ di vincere 300 dollari») sono per gli studiosi del processo decisionale quello che il moscerino della frutta Ăš per i genetisti. Le scelte tra essi costituiscono un semplice modello che ha alcune importanti caratteristiche in comune con i processi decisionali piĂč complessi, di cui i ricercatori cercano di capire la dinamica. Gli azzardi rappresentano il fatto che le conseguenze delle scelte non sono mai certe. Anche i risultati apparentemente sicuri sono incerti: quando si firma un rogito per acquistare un appartamento, non si sa a quale prezzo si potrĂ eventualmente venderlo in seguito, nĂ© se il figlio del nostro vicino comincerĂ presto a studiare la tuba. Tutte le scelte significative che facciamo nella vita recano con sĂ© un elemento di incertezza, ed Ăš per questo che gli studiosi del processo decisionale sperano che alcune delle lezioni apprese nella situazione modello siano applicabili a problemi quotidiani piĂč interessanti. Ma naturalmente il principale motivo per cui quei teorici del processo decisionale studiano gli azzardi semplici Ăš che lo fanno gli altri teorici del processo decisionale.
Esisteva, nel settore, una teoria, la «teoria dellâutilitĂ attesa», che era alla base del modello dellâagente razionale e che Ăš ancora oggi la piĂč importante teoria delle scienze sociali. La teoria dellâutilitĂ attesa non si proponeva quale modello psicologico, bensĂŹ come una logica della scelta basata su elementari regole (assiomi) di razionalitĂ . Consideriamo questo esempio:
Se preferiamo una mela a una banana, allora preferiremo anche un 10 per cento di probabilitĂ di vincere una mela a un 10 per cento di probabilitĂ di vincere una banana.
La mela e la banana rappresentano qualsiasi oggetto di scelta (comprese le opzioni di rischio), e il 10 per cento di probabilitĂ rappresenta qualsiasi probabilitĂ . Il matematico John von Neumann, uno dei giganti intellettuali del XX secolo, e lâeconomista Oskar Morgenstern avevano ricavato la loro teoria della scelta razionale tra opzioni di rischio da una manciata di assiomi. Gli economisti adottarono la teoria dellâutilitĂ attesa facendole assolvere un duplice ruolo: quello di logica che prescrive come si debbano prendere le decisioni, e quello di descrizione di come gli Econ compiano le loro scelte. Amos e io, perĂČ, eravamo psicologi e ci proponemmo di capire come gli Umani operassero in concreto le loro scelte rischiose, senza fare alcuna assunzione in merito alla loro razionalitĂ .
Mantenemmo la nostra abitudine di passare molte ore al giorno facendo conversazione, a volte in ufficio, altre al ristorante, spesso durante lunghe passeggiate per le quiete strade della bella Gerusalemme. Come avevamo fatto allâepoca in cui studiavamo il giudizio, ci impegnammo in unâattenta analisi delle nostre preferenze intuitive. Ci dedicammo a inventare semplici problemi decisionali e a chiederci in che modo avremmo scelto. Per esempio:
Che cosa preferite?
A. Lanciare una moneta: se viene testa vincete 100 dollari, se viene croce non vincete niente.
B. Ricevere sicuramente 46 dollari.
Non stavamo cercando di capire la scelta piĂč razionale e vantaggiosa: volevamo solo scoprire qual era la scelta intuitiva, quella che appariva istantaneamente allettante. Scegliemmo quasi sempre la stessa opzione. In questo esempio, entrambi avremmo scelto la cosa sicura e anche tu probabilmente faresti lo stesso. Quando convenivamo senza ombra di dubbio su una scelta, ritenevamo (e il giudizio si rivelĂČ quasi sempre corretto) che la maggior parte della gente avrebbe condiviso la nostra preferenza e procedevamo a controllare se disponessimo di prove concrete. Naturalmente sapevamo che avremmo dovuto verificare, in seguito, le nostre intuizioni, ma svolgendo il ruolo sia degli sperimentatori sia delle «cavie» riuscimmo a procedere in fretta.
Cinque anni dopo avere cominciato i nostri studi sulle opzioni di rischio, finalmente portammo a termine un articolo che intitolammo Prospect Theory: An Analysis of Decision under Risk. La nostra teoria era rigorosamente modellata sulla falsariga della teoria dellâutilitĂ attesa, ma il nostro modello era puramente descrittivo e il suo scopo era di documentare e spiegare le sistematiche violazioni degli assiomi della razionalitĂ nella scelta tra opzioni di rischio. Sottoponemmo il nostro saggio a «Econometrica», una rivista che pubblica importanti articoli teorici di economia e teoria delle decisioni. La scelta della testata risultĂČ importante: se avessimo pubblicato lo stesso articolo su una rivista di psicologia, avrebbe avuto con tutta probabilitĂ ben poca influenza in campo economico. Tuttavia la nostra decisione non fu ispirata dal desiderio di influenzare gli economisti: semplicemente, «Econometrica» era la rivista che aveva pubblicato in passato i saggi piĂč autorevoli sul processo decisionale, e noi aspiravamo a essere inclusi in quel novero. In quella e in molte altre scelte, fummo fortunati. La prospect theory si rivelĂČ il lavoro piĂč importante che avessimo mai fatto, e il nostro articolo diventĂČ uno dei piĂč citati nellâambito delle scienze sociali. Due anni dopo, pubblicammo su «Science» un resoconto degli effetti framing, in cui si esaminavano gli ampi cambiamenti di preferenze causati a volte da variazioni anche minime nella formulazione di un problema di scelta.
Nei primi cinque anni che passammo a studiare il processo decisionale delle persone, appurammo una dozzina di cose riguardo alle scelte tra opzioni di rischio. Parecchi di quei dati sono in netta contraddizione con la teoria dellâutilitĂ attesa. Alcuni erano giĂ stati osservati in precedenza, mentre altri erano nuovi. Poi elaborammo una teoria che modificava la teoria dellâutilitĂ attesa quel tanto da spiegare la nostra serie di osservazioni. Si trattava della prospect theory.
Affrontammo il problema nello spirito della «psicofisica», un settore della psicologia fondato e cosĂŹ denominato dallo psicologo e mistico tedesco Gustav Fechner (1801-1887). Fechner era ossessionato dalla relazione tra mente e materia. Da un lato, egli diceva, vi Ăš una quantitĂ fisica variabile, come lâintensitĂ di una luce, la frequenza di un suono, la quantitĂ di una somma di denaro; dallâaltro vi Ăš unâesperienza soggettiva di luminositĂ , tonalitĂ e valore. Misteriosamente, le variazioni della quantitĂ fisica provocano variazioni dellâintensitĂ o qualitĂ dellâesperienza soggettiva. Fechner si proponeva di scoprire le leggi psicofisiche che collegano la quantitĂ soggettiva nella mente dellâosservatore con la quantitĂ oggettiva nel mondo materiale. IpotizzĂČ che per molte dimensioni la funzione fosse logaritmica, ovvero che in pratica lâaumento di un dato fattore (poniamo di 1,5 o 10 volte) dellâintensitĂ dello stimolo desse sempre lo stesso incremento sulla scala psicologica. Se aumentare la potenza del suono da 10 a 100 unitĂ di energia fisica aumenta lâintensitĂ psicologica di 4 unitĂ , un ulteriore incremento dellâintensitĂ dello stimolo da 100 a 1000 aumenterĂ lâintensitĂ psicologica di altre 4 unitĂ .
Lâerrore di Bernoulli
Come Fechner sapeva bene, non era stato lui il primo a cercare una funzione che collegasse lâintensitĂ psicologica con la grandezza fisica dello stimolo. Nel 1738, lo scienziato svizzero Daniel Bernoulli aveva anticipato il suo ragionamento applicandolo alla relazione tra il valore psicologico o la desiderabilitĂ del denaro (oggi chiamata «utilità ») e la quantitĂ concreta di denaro. Egli sosteneva che un dono di 10 ducati avesse per una persona giĂ in possesso di 100 ducati la stessa utilitĂ di un dono di 20 ducati per una persona la cui ricchezza corrente consistesse in 200 ducati. Bernoulli aveva ragione, naturalmente: noi di norma parliamo delle variazioni di reddito in termini di percentuali, come quando diciamo «ha avuto un aumento del 30 per cento». Lâidea Ăš che un aumento del 30 per cento induca una reazione psicologica abbastanza simile nei ricchi e nei poveri, cosa che un aumento di 100 dollari non farebbe.2 Come nella legge di Fechner, la reazione psicologica alla variazione di ricchezza Ăš inversamente proporzionale alla quantitĂ iniziale di ricchezza, e porta alla conclusione che lâutilitĂ Ăš una funzione logaritmica della ricchezza. Se tale funzione Ăš esatta, la stessa distanza psicologica separa 100.000 dollari da un milione di dollari, e 10 milioni di dollari da 100 milioni di dollari.3
Bernoulli attinse alla sua intuizione psicologica sullâutilitĂ della ricchezza per proporre un metodo radicalmente nuovo di valutare gli azzardi, un argomento importante per i matematici della sua epoca. Prima di lui, i matematici avevano assunto che le opzioni di rischio fossero valutate in base al valore atteso, una media ponderata dei possibili risultati dove ciascun risultato Ăš ponderato in base alla sua probabilitĂ . Per esempio, il valore atteso di:
Lâ80 per cento di probabilitĂ di vincere 100 dollari e il 20 per cento di vincerne 10
Ăš 82 dollari (0,8 Ă 100 + 0,2 Ă 10)
Ora prova a chiederti che cosa preferiresti ricevere in dono, questa opzione di rischio o 80 dollari sicuri? Quasi tutti preferiscono la cosa sicura. Se le persone valutassero le prospettive incerte in base al loro valore atteso, sceglierebbero di scommettere, perchĂ© 82 dollari sono piĂč di 80. Bernoulli sottolineĂČ che la gente in realtĂ non valuta le opzioni di rischio in questo modo.
Egli osservĂČ che le persone in genere detestano il rischio (la probabilitĂ di ricevere il risultato piĂč basso possibile), e se viene loro offerta la scelta tra una scommessa e una somma uguale al suo valore atteso, scelgono la cosa sicura. Anzi, un decisore avverso al rischio sceglierĂ una cosa sicura che Ăš inferiore al valore atteso, pagando di fatto un premio per evitare lâincertezza. Un secolo prima di Fechner, Bernoulli inventĂČ la psicofisica per spiegare questa avversione al rischio. La sua idea era semplice: le scelte della gente non si basano su valori in dollari, ma sui valori psicologici dei risultati, le loro utilitĂ . Il valore psicologico di un azzardo non Ăš quindi la media ponderata dei suoi possibili risultati in dollari, ma Ăš la media delle utilitĂ di questi risultati, ciascuna ponderata in base alla sua probabilitĂ .
La tabella 25.1 mostra una versione della funzione di utilitĂ calcolata da Bernoulli, e presenta lâutilitĂ di diversi livelli di ricchezza, da uno a dieci milioni.
Tabella 25.1.
Ricchezza (milioni) | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 |
UnitĂ di utilitĂ | 10 | 30 | 48 | 60 | 70 | 78 | 84 | 90 | 96 | 100 |
Come si vede, aggiungere un milione a una ricchezza di un milione dĂ un incremento di venti punti di utilitĂ , mentre aggiungere un milione a una ricchezza di nove milioni aggiunge solo quattro punti. Bernoulli ipotizzĂČ che il valore marginale decrescente della ricchezza (nel gergo moderno) spiegasse lâavversione al rischio, la comune preferenza che la gente di solito mostra per le cose sicure rispetto alle opzioni di rischio favorevoli di valore atteso uguale o leggermente superiore. Consideriamo questa opzione:
Uguale probabilitĂ di avere 1 o 7 milioni | UtilitĂ : (10 + 84) : 2 = 47 |
oppure | |
Avere sicuramente 4 milioni | UtilitĂ : 60 |
Il valore atteso dellâazzardo e la «cosa sicura» sono uguali sotto il profilo del denaro (4 milioni), ma le utilitĂ psicologiche delle due opzioni sono diverse, a causa dellâutilitĂ decrescente della ricchezza: lâincremento di utilitĂ da 1 a 4 milioni Ăš 50 u...