Di punto in bianco (Nero Rizzoli)
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Di punto in bianco (Nero Rizzoli)

Cristina Rava

  1. 368 Seiten
  2. Italian
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Di punto in bianco (Nero Rizzoli)

Cristina Rava

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Über dieses Buch

NERO RIZZOLI È LA BUSSOLA DEL NOIR FIRMATA RIZZOLI. In autunno le colline piemontesi sono uno stato dell'anima: nebbia azzurrina che cinge i crinali, tenue malinconia a invadere i cuori. Lo sa bene il commissario Bartolomeo Rebaudengo che ha deciso di darci un taglio con omicidi, scene del crimine, tecniche del profiling, e di ritirarsi in Langa. Per quelli come lui, però, non c'è pensione che tenga. E così il poliziotto si ritrova a indagare sulla morte del giovane Dario, scomparso dopo un festino a base di alcol e droghe, e ritrovato cadavere a distanza di alcuni giorni. Ma il delitto è anche l'occasione per rivedere Ardelia Spinola, il medico legale dall'intuito infallibile, che ha il vizio di cacciarsi nei guai e che nasconde la sua fragilità dietro una tagliente ironia. La passione di un tempo ha lasciato spazio al gioco delle schermaglie e al tarlo dei rimpianti, nonostante i due - diversi come il giorno e la notte - continuino a fare scintille.
Intanto c'è il diavolo sulle colline, e ci mette pure la coda dettando un'impressionante sequenza di tragiche casualità e colpevoli omissioni, inestricabili equivoci e gesti rovinosi. La caccia sospingerà Ardelia e Bartolomeo nelle ombre di una terra ancora selvaggia e nelle tenebre di una mente ossessionata dalla vendetta.
Cristina Rava si conferma una delle voci più acute del noir al femminile, componendo con leggerezza pensosa e impeccabile humor una commedia nerissima sulle miserie di chi arranca nella malora, insieme alla sincera confessione di quello che le donne non dicono.

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Information

Verlag
RIZZOLI
Jahr
2019
ISBN
9788858695951

Cinque

In un letto d’ospedale le persone sembrano più minute, infinitamente fragili tra le lenzuola, soprattutto se vegliate da apparecchiature che ne misurano i parametri vitali.
Biondina, le dita laccate di rosso tranne l’indice intrappolato nel saturimetro, il viso è un cencetto stropicciato dalla dura esperienza della lavanda gastrica.
Greta Berruti, studentessa del terzo anno di architettura, famiglia della buona borghesia monregalese, madre insegnante e padre architetto.
Non dorme. Guarda fuori della finestra, ma non può vedere niente. Ormai è calato il buio. Nella stanza l’unica luce piove dalla lunga barra al neon che sovrasta i letti, ma soltanto la metà di Greta è illuminata. L’altra degente è anziana. Di spalle, russa leggermente.
Qualche formula di saluto. La ragazza annuisce. Come un condannato, è consapevole che il momento della resa dei conti è arrivato.
La madre, gli occhi gonfi di pianto, ha accettato di lasciare la stanza. Bartolomeo avrebbe immaginato maggior resistenza. Sono più frequenti le madri belva, quelle che troppo tardi proteggono i figli dalle conseguenze del loro scarso interesse o di quello asfissiante. Invece questa sembra condividere con la figlia una quieta rassegnazione all’inevitabile.
«Quando ha ripreso conoscenza, lei ha affermato che a Dario Colombero potrebbe essere accaduto qualcosa di grave, anche se non è scesa nei particolari. È scomparso e siamo seriamente preoccupati per lui. Quindi la invito a dirci tutto quello che sa.»
Greta guarda un po’ Rebaudengo, un po’ il maggiore Bonaldo, poi torna a fissare il commissario. «Non ho capito chi è lei. Mi scusi, ma sono un po’ rinco… svanita. Mi sembra di conoscerla…»
Bartolomeo è a disagio. L’abitudine di molte case editrici, tra le quali la sua, di mettere in quarta di copertina la foto dell’autore, gli ha sempre creato imbarazzo.
«Mi chiamo Bartolomeo Rebaudengo, sono stato un funzionario di polizia e da pochi anni…»
«Quel Rebaudengo? Il commissario che scrive i libri sui gialli “veri”?» chiede Greta animandosi di colpo. La luce al neon non riesce a sbiadire una leggera pennellata di rosa sulle sue guance.
«Sì, esatto.»
«Ma perché è qui? Io non sono importante.»
«Nemmeno io sono importante.»
«Oh, no, non è vero. Lei è importantissimo! Lei faceva il commissario, poi è andato in America, quando è tornato si è messo a insegnare ai superpoliziotti, mica quelli della stradale, e spiega alla gente i casi criminali.»
Il disagio di Bartolomeo aumenta. La ragazza sembrava assente, le palpebre semichiuse, le mani esangui sul risvolto bianco, invece è lucida e con la memoria pronta.
«Ho letto tutti i suoi lavori!»
«Ah sì? Be’, la ringrazio.»
«Avrei tante cose da chiederle…»
«Magari un’altra volta» risponde lui con un sorriso, ma in tono fermo.
Bonaldo è sempre rimasto un passo indietro e dopo i preamboli non ha più parlato, delegando a Bartolomeo la conduzione di un colloquio che non deve sembrare un interrogatorio.
«Greta, non abbia paura a raccontare quello che sa, potrebbe aiutarci a ritrovare Dario…»
Le lacrime sono una piena silenziosa. Lei si stropiccia il viso con la mano libera da aghi e tubicini. Il commissario le porge un fazzolettino di carta.
«Io non so di preciso cosa gli abbiano fatto, cioè, dove lo abbiano portato…»
«Perché avrebbero dovuto portarlo? Non poteva andarci da solo?»
Silenzio. Gli occhi abbandonano il poliziotto e si perdono in una nebbia di brutti ricordi. Tenta di nascondersi il viso tra le mani ma il dolore provocato dalla cannula e il disagio dei tubi la dissuadono, e le lascia cadere di nuovo.
«Greta, partiamo dal principio.»
«Ma se parlo, loro mi ammazzano!»
«Nessuno può ammazzarla. Ci siamo noi» risponde Rebaudengo voltandosi verso il maggiore, che annuisce con un sorriso.
«Sarà sotto la nostra protezione» conferma Bonaldo.
«Ma io non so cos’è successo davvero… dopo.»
«Questo lo vedremo. Adesso cominci dall’inizio. Se la sente di chiacchierare un po’ o preferisce che torniamo domani mattina?» chiede il maggiore con un tono che comincia rassicurante e finisce severo, come a dire: “Domattina saremo di nuovo qui!”.
E per rinforzare il concetto prende una sedia per l’amico, invitandolo ad accomodarsi mentre lui resta in piedi, in posizione di riposo in fondo al letto. Il silenzio lievita nella stanza, e se non fosse una situazione drammatica, mescolato com’è alla penombra, sarebbe un piacevole invito al sonno. Greta non parla. Adesso non piange nemmeno più, anzi sembra prossima ad assopirsi. Forse è meglio iniziare con le domande.
«Dario Colombero è pressappoco suo coetaneo. Lo conosce da tanto?»
La giovane si volta verso Rebaudengo e sospira. Annuisce, poi si decide.
«Non è mio amico. Cioè, lo conosco di vista, ma non abbiamo lo stesso giro. Cioè, se ha degli amici non sono i miei, comunque.»
«Chi sono i suoi?»
«I miei?»
«Sì.»
Entra un’infermiera, e Greta si gira in direzione della finestra, assente. La donna, troppo bionda, guarda stranita i due uomini, evidentemente non era al corrente della loro presenza, forse vorrebbe brontolare, ma la divisa dell’ufficiale smorza il suo cipiglio. Senza aprire bocca si dirige verso la finestra, tira giù la tapparella negando alla ragazza l’ultima fetta di cielo buio e controlla la velocità della flebo. Ripete l’operazione con l’altra paziente e si allontana senza far rumore, richiudendosi la porta alle spalle.
La giovane tace.
«Da quanto tempo conosceva Dario Colombero e dove lo ha incontrato?»
«Mah… la prima volta, intende?»
Cenno di assenso.
«Purtroppo non mi ricordo. Ci si vedeva… A far le vasche, al bar. Qualche volta sotto i portici a Ceva, anche in giro. Credo abitasse dalle parti di Lesegno. Qualcuno mi aveva parlato di lui e mi aveva raccontato che frequentava il Politecnico. Era uno geniale… A Torino però non l’ho mai incontrato.» Riprende fiato, decide di dare ancora qualche pennellata: «Molto nerd, di quelli che vivono appiccicati al computer, che capiscono tutto di matematica, magari suonano pure il violino, come Einstein, che tra parentesi pare lo suonasse da schifo. No, forse lui pianoforte… Boh, qualcosa. A me non è che mi considerasse granché. Bello, questo sì, proprio bello, anche se portava gli occhiali, con due occhi azzurri da paura, cioè, con le ciglia lunghe, nere come i riccioli».
«Ti piaceva?» chiede Rebaudengo passando al tu con voce complice.
«No, non era il mio tipo. Fisicamente un po’ secco, pallido, ma con i nerd ci sta. Neanche tanto alto. Poi vestiva con poca cura, insomma, non mi piaceva… Non gliene fregava niente degli abiti firmati, era roba così, magari comprata dai cinesi…» Bartolomeo cerca di ridurre la circonferenza del bersaglio: «D’accordo che non seguiva la moda, ma aveva ragazze? Andava alle feste?».
«Come le ho detto non ci frequentavamo, quindi sul discorso “ragazze”, non potrei…» E fa un sorriso strano.
«Significa che era gay?»
«I miei amici sono due bastardi!» Il tono è rabbioso.
E questa è la prima informazione utile, pensa Rebaudengo. «Perché?»
La conversazione stenta a ingranare, poi finalmente si avvia.
Dario Colombero poteva rappresentare un bersaglio per gli amici di Greta per un sacco di motivi, era intelligente, e si permetteva di sdegnare quelli che per loro erano valori sacrosanti: il denaro, i vestiti di marca, la musica techno, lo sballo, le automobili di lusso, i posti “giusti”. E soprattutto era gay!
«Era un fatto noto?»
«No… non sono sicura. Cioè, non giravano voci su storie con uomini, ma era abbastanza evidente. Prima di tutto nessuno lo aveva mai visto con una ragazza, poi, per quanto stesse attento, ogni tanto qualche gesto un po’ effeminato gli scappava e capitava che guardasse un po’ troppo gli altri maschi.»
Insomma un cocktail buono per attirare l’attenzione e meritarsi una bella punizione… Una festa, per loro sì. Sì, una festa. Invitato anche lui. Un’occasione d’oro per un “campagnolo”. E se poi non ne avesse approfittato, pazienza, il gioco si sarebbe trasformato in un piccolo castigo. Roba di buona qualità, un po’ di divertimento, un po’ di sballo, un po’ di sesso.
«Ma Dario non era tagliato per certe situazioni» riprende la ragazza, «e si era sentito male quasi subito… Con me e Barbara non ci aveva neanche provato. I ragazzi l’hanno trascinato in una camera e ci sono stati un po’, mentre noi siamo rimaste nel salone. Quando sono tornati, abbiamo fatto sesso tutti insieme, ma lui no: ci guardava senza partecipare, sembrava distrutto.»
«Avete preso droghe?»
Greta ha paura, Bartolomeo le accarezza una mano.
«Ho bisogno della verità.»
«Abbastanza.»
«Cosa?»
«Canne… E abbiamo anche tirato qualche pista.»
«Bevuto?»
Annuisce soltanto.
«Quanti eravate?»
«Quattro, due maschi e due femmine, più Dario. I ragazzi dopo un po’ hanno litigato, lui si era offeso, loro avevano menato le mani. Io ero andata in bagno.»
«Dov’eravate?»
«In villa…»
«Quale villa?»
«Quella di Jordy.»
Niente cognome. Per adesso.
«Dove si trova questa villa?»
Silenzio.
«Il paese, su. Cominciamo dal paese!»
Greta sospira. «Malp...

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