In un letto dâospedale le persone sembrano piĂč minute, infinitamente fragili tra le lenzuola, soprattutto se vegliate da apparecchiature che ne misurano i parametri vitali.
Biondina, le dita laccate di rosso tranne lâindice intrappolato nel saturimetro, il viso Ăš un cencetto stropicciato dalla dura esperienza della lavanda gastrica.
Greta Berruti, studentessa del terzo anno di architettura, famiglia della buona borghesia monregalese, madre insegnante e padre architetto.
Non dorme. Guarda fuori della finestra, ma non puĂČ vedere niente. Ormai Ăš calato il buio. Nella stanza lâunica luce piove dalla lunga barra al neon che sovrasta i letti, ma soltanto la metĂ di Greta Ăš illuminata. Lâaltra degente Ăš anziana. Di spalle, russa leggermente.
Qualche formula di saluto. La ragazza annuisce. Come un condannato, Ăš consapevole che il momento della resa dei conti Ăš arrivato.
La madre, gli occhi gonfi di pianto, ha accettato di lasciare la stanza. Bartolomeo avrebbe immaginato maggior resistenza. Sono piĂč frequenti le madri belva, quelle che troppo tardi proteggono i figli dalle conseguenze del loro scarso interesse o di quello asfissiante. Invece questa sembra condividere con la figlia una quieta rassegnazione allâinevitabile.
«Quando ha ripreso conoscenza, lei ha affermato che a Dario Colombero potrebbe essere accaduto qualcosa di grave, anche se non Ú scesa nei particolari. à scomparso e siamo seriamente preoccupati per lui. Quindi la invito a dirci tutto quello che sa.»
Greta guarda un poâ Rebaudengo, un poâ il maggiore Bonaldo, poi torna a fissare il commissario. «Non ho capito chi Ăš lei. Mi scusi, ma sono un poâ rinco⊠svanita. Mi sembra di conoscerlaâŠÂ»
Bartolomeo Ăš a disagio. Lâabitudine di molte case editrici, tra le quali la sua, di mettere in quarta di copertina la foto dellâautore, gli ha sempre creato imbarazzo.
«Mi chiamo Bartolomeo Rebaudengo, sono stato un funzionario di polizia e da pochi anniâŠÂ»
«Quel Rebaudengo? Il commissario che scrive i libri sui gialli âveriâ?» chiede Greta animandosi di colpo. La luce al neon non riesce a sbiadire una leggera pennellata di rosa sulle sue guance.
«SÏ, esatto.»
«Ma perché Ú qui? Io non sono importante.»
«Nemmeno io sono importante.»
«Oh, no, non Ú vero. Lei Ú importantissimo! Lei faceva il commissario, poi Ú andato in America, quando Ú tornato si Ú messo a insegnare ai superpoliziotti, mica quelli della stradale, e spiega alla gente i casi criminali.»
Il disagio di Bartolomeo aumenta. La ragazza sembrava assente, le palpebre semichiuse, le mani esangui sul risvolto bianco, invece Ăš lucida e con la memoria pronta.
«Ho letto tutti i suoi lavori!»
«Ah sĂŹ? Beâ, la ringrazio.»
«Avrei tante cose da chiederleâŠÂ»
«Magari unâaltra volta» risponde lui con un sorriso, ma in tono fermo.
Bonaldo Ăš sempre rimasto un passo indietro e dopo i preamboli non ha piĂč parlato, delegando a Bartolomeo la conduzione di un colloquio che non deve sembrare un interrogatorio.
«Greta, non abbia paura a raccontare quello che sa, potrebbe aiutarci a ritrovare DarioâŠÂ»
Le lacrime sono una piena silenziosa. Lei si stropiccia il viso con la mano libera da aghi e tubicini. Il commissario le porge un fazzolettino di carta.
«Io non so di preciso cosa gli abbiano fatto, cioĂš, dove lo abbiano portatoâŠÂ»
«Perché avrebbero dovuto portarlo? Non poteva andarci da solo?»
Silenzio. Gli occhi abbandonano il poliziotto e si perdono in una nebbia di brutti ricordi. Tenta di nascondersi il viso tra le mani ma il dolore provocato dalla cannula e il disagio dei tubi la dissuadono, e le lascia cadere di nuovo.
«Greta, partiamo dal principio.»
«Ma se parlo, loro mi ammazzano!»
«Nessuno puĂČ ammazzarla. Ci siamo noi» risponde Rebaudengo voltandosi verso il maggiore, che annuisce con un sorriso.
«Sarà sotto la nostra protezione» conferma Bonaldo.
«Ma io non so cosâĂš successo davvero⊠dopo.»
«Questo lo vedremo. Adesso cominci dallâinizio. Se la sente di chiacchierare un poâ o preferisce che torniamo domani mattina?» chiede il maggiore con un tono che comincia rassicurante e finisce severo, come a dire: âDomattina saremo di nuovo qui!â.
E per rinforzare il concetto prende una sedia per lâamico, invitandolo ad accomodarsi mentre lui resta in piedi, in posizione di riposo in fondo al letto. Il silenzio lievita nella stanza, e se non fosse una situazione drammatica, mescolato comâĂš alla penombra, sarebbe un piacevole invito al sonno. Greta non parla. Adesso non piange nemmeno piĂč, anzi sembra prossima ad assopirsi. Forse Ăš meglio iniziare con le domande.
«Dario Colombero Ú pressappoco suo coetaneo. Lo conosce da tanto?»
La giovane si volta verso Rebaudengo e sospira. Annuisce, poi si decide.
«Non Ú mio amico. CioÚ, lo conosco di vista, ma non abbiamo lo stesso giro. CioÚ, se ha degli amici non sono i miei, comunque.»
«Chi sono i suoi?»
«I miei?»
«SÏ.»
Entra unâinfermiera, e Greta si gira in direzione della finestra, assente. La donna, troppo bionda, guarda stranita i due uomini, evidentemente non era al corrente della loro presenza, forse vorrebbe brontolare, ma la divisa dellâufficiale smorza il suo cipiglio. Senza aprire bocca si dirige verso la finestra, tira giĂč la tapparella negando alla ragazza lâultima fetta di cielo buio e controlla la velocitĂ della flebo. Ripete lâoperazione con lâaltra paziente e si allontana senza far rumore, richiudendosi la porta alle spalle.
La giovane tace.
«Da quanto tempo conosceva Dario Colombero e dove lo ha incontrato?»
«Mah⊠la prima volta, intende?»
Cenno di assenso.
«Purtroppo non mi ricordo. Ci si vedeva⊠A far le vasche, al bar. Qualche volta sotto i portici a Ceva, anche in giro. Credo abitasse dalle parti di Lesegno. Qualcuno mi aveva parlato di lui e mi aveva raccontato che frequentava il Politecnico. Era uno geniale⊠A Torino perĂČ non lâho mai incontrato.» Riprende fiato, decide di dare ancora qualche pennellata: «Molto nerd, di quelli che vivono appiccicati al computer, che capiscono tutto di matematica, magari suonano pure il violino, come Einstein, che tra parentesi pare lo suonasse da schifo. No, forse lui pianoforte⊠Boh, qualcosa. A me non Ăš che mi considerasse granchĂ©. Bello, questo sĂŹ, proprio bello, anche se portava gli occhiali, con due occhi azzurri da paura, cioĂš, con le ciglia lunghe, nere come i riccioli».
«Ti piaceva?» chiede Rebaudengo passando al tu con voce complice.
«No, non era il mio tipo. Fisicamente un poâ secco, pallido, ma con i nerd ci sta. Neanche tanto alto. Poi vestiva con poca cura, insomma, non mi piaceva⊠Non gliene fregava niente degli abiti firmati, era roba cosĂŹ, magari comprata dai cinesiâŠÂ» Bartolomeo cerca di ridurre la circonferenza del bersaglio: «Dâaccordo che non seguiva la moda, ma aveva ragazze? Andava alle feste?».
«Come le ho detto non ci frequentavamo, quindi sul discorso âragazzeâ, non potreiâŠÂ» E fa un sorriso strano.
«Significa che era gay?»
«I miei amici sono due bastardi!» Il tono Ú rabbioso.
E questa Ú la prima informazione utile, pensa Rebaudengo. «Perché?»
La conversazione stenta a ingranare, poi finalmente si avvia.
Dario Colombero poteva rappresentare un bersaglio per gli amici di Greta per un sacco di motivi, era intelligente, e si permetteva di sdegnare quelli che per loro erano valori sacrosanti: il denaro, i vestiti di marca, la musica techno, lo sballo, le automobili di lusso, i posti âgiustiâ. E soprattutto era gay!
«Era un fatto noto?»
«No⊠non sono sicura. CioĂš, non giravano voci su storie con uomini, ma era abbastanza evidente. Prima di tutto nessuno lo aveva mai visto con una ragazza, poi, per quanto stesse attento, ogni tanto qualche gesto un poâ effeminato gli scappava e capitava che guardasse un poâ troppo gli altri maschi.»
Insomma un cocktail buono per attirare lâattenzione e meritarsi una bella punizione⊠Una festa, per loro sĂŹ. SĂŹ, una festa. Invitato anche lui. Unâoccasione dâoro per un âcampagnoloâ. E se poi non ne avesse approfittato, pazienza, il gioco si sarebbe trasformato in un piccolo castigo. Roba di buona qualitĂ , un poâ di divertimento, un poâ di sballo, un poâ di sesso.
«Ma Dario non era tagliato per certe situazioni» riprende la ragazza, «e si era sentito male quasi subito⊠Con me e Barbara non ci aveva neanche provato. I ragazzi lâhanno trascinato in una camera e ci sono stati un poâ, mentre noi siamo rimaste nel salone. Quando sono tornati, abbiamo fatto sesso tutti insieme, ma lui no: ci guardava senza partecipare, sembrava distrutto.»
«Avete preso droghe?»
Greta ha paura, Bartolomeo le accarezza una mano.
«Ho bisogno della verità .»
«Abbastanza.»
«Cosa?»
«Canne⊠E abbiamo anche tirato qualche pista.»
«Bevuto?»
Annuisce soltanto.
«Quanti eravate?»
«Quattro, due maschi e due femmine, piĂč Dario. I ragazzi dopo un poâ hanno litigato, lui si era offeso, loro avevano menato le mani. Io ero andata in bagno.»
«Dovâeravate?»
«In villaâŠÂ»
«Quale villa?»
«Quella di Jordy.»
Niente cognome. Per adesso.
«Dove si trova questa villa?»
Silenzio.
«Il paese, su. Cominciamo dal paese!»
Greta sospira. «Malp...