Il Signore delle Mosche
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Il Signore delle Mosche

William Golding, Filippo Donini

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Il Signore delle Mosche

William Golding, Filippo Donini

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Über dieses Buch

Un gruppo di ragazzi inglesi, sopravvissuti a un incidente aereo, resta abbandonato a se stesso su un'isola deserta e si trasforma in una terribile tribù di selvaggi sanguinari dai macabri riti. Golding nel 1983 ha ottenuto il Nobel per la letteratura.

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Information

Verlag
Mondadori
Jahr
2021
ISBN
9788852031779
I

Il suono della conchiglia

Il ragazzo dai capelli biondi si calò giù lungo l’ultimo tratto di roccia, e cominciò ad aprirsi un varco verso la laguna. Nonostante si fosse tolto il maglioncino della divisa scolastica e lo trascinasse dietro tenendolo con una mano, la camicia grigia gli si incollava addosso e i capelli gli stavano appiccicati sulla fronte. Il lungo solco che squarciava la giungla svaporava tutt’intorno a lui. Si stava inerpicando a stento fra tronchi e liane spezzati quando un uccello, un balenio rosso e giallo, sfavillò in alto con un acuto da strega; e a quest’urlo ne fece eco un altro, che diceva:
«Ciao! Aspetta un attimo!»
La vegetazione lì accanto al solco fu scossa da un sussulto e miriadi di goccioline di pioggia ricaddero picchiettando.
«Aspetta un attimo,» disse la voce «sono rimasto impigliato.»
Il ragazzo biondo si fermò, poi tirò su i calzettoni, un riflesso automatico che per un istante diede alla giungla un tocco di contea londinese.
La voce parlò di nuovo.
«Fra tutte queste liane non riesco quasi a muovermi.»
Il proprietario della voce uscì rinculando dal sottobosco, cosicché la sua giacchetta impermeabile unta di grasso venne tutta lacerata dagli arbusti. Le curve nude delle ginocchia, impigliate e scorticate fra i rovi, erano grassottelle. Si chinò, rimosse accuratamente le spine, poi si girò. Era meno alto del ragazzo biondo, e molto grasso. Avanzò, studiando cauto dove metteva i piedi, e solo dopo volse lo sguardo in su attraverso le lenti spesse.
«Dov’è l’uomo col megafono?»
Il ragazzo biondo scosse la testa.
«Questa è un’isola. O almeno, penso sia un’isola. Al largo c’è una barriera corallina. Forse grandi non ce ne sono, da nessuna parte.»
Il ragazzo grasso parve turbato.
«Ma c’era quel pilota. Però non stava nel vano passeggeri, era là, nella cabina di comando.»
Il ragazzo biondo, strizzando gli occhi, continuava a scrutare la barriera corallina.
«Quei bambini, tutti quegli altri» lo incalzò il ragazzo grasso. «Certi devono essere usciti. Devono avercela fatta, non ti pare?»
Il ragazzo biondo cominciò a farsi strada verso il mare con quanta più naturalezza potesse. Tentava di sembrare disinvolto senza palesare però un’indifferenza totale, ma il ragazzo grasso lo seguì a ruota.
«Allora non ci sono proprio più dei grandi?»
«Credo proprio di no.»
Il ragazzo biondo lo disse in tono solenne; ma poi si lasciò travolgere dall’euforia di un sogno divenuto realtà. Nel bel mezzo del solco si mise in verticale a testa in giù e sogghignò verso l’immagine rovesciata di quel ragazzo grasso.
«Niente grandi!»
Il ragazzo grasso meditò per un attimo.
«Ma quel pilota.»
Il ragazzo biondo lasciò scivolare giù i piedi e si sedette sulla terra fumante di vapore.
«Dev’essere volato via dopo averci mollati. Qui non poteva mica atterrare. Non con un aereo con le ruote.»
«Ci hanno attaccato!»
«Tornerà di sicuro.»
Il ragazzo grasso scosse la testa.
«Mentre venivamo giù guardavo da uno di quegli oblò. L’ho visto, l’altro pezzo dell’aereo. C’erano fiamme che uscivano.»
Con lo sguardo, percorse il solco in tutta la sua lunghezza.
«E questo l’ha fatto la fusoliera.»
Il ragazzo biondo si sporse a toccare il ceppo scalfito di un tronco d’albero. Per un attimo, parve interessato.
«E alla fusoliera che è successo?» chiese. «Dov’è finita ora?»
«L’ha trascinata in mare la tempesta. Deve esserci stato il finimondo, con tutti quegli alberi che cadevano. Là dentro dovevano esserci ancora dei bambini.»
Esitò per un istante, ma ripartì subito alla carica.
«Come ti chiami?»
«Ralph.»
Il ragazzo grasso aspettò che gli venisse chiesto a sua volta il proprio nome, ma questa profferta d’amicizia cadde nel vuoto; il biondo chiamato Ralph sorrise, vago, si alzò e cominciò a farsi strada di nuovo verso la laguna. Il ragazzo grasso gli stava sempre alle calcagna.
«Credo che parecchi di noi siano dispersi qua in giro. Per caso non hai visto nessun altro?»
Ralph scosse la testa e allungò il passo. Fu allora che inciampò in un ramo e cascò giù con uno schianto.
Il ragazzo grasso lo raggiunse, il respiro affannato.
«La zia mi ha detto di non correre,» spiegò «è per via della mia asma.»
«Miasma
«Asma. Mi manca il fiato. A scuola, ero l’unico ad avere l’asma» aggiunse il ragazzo grasso con una punta d’orgoglio. «E a tre anni ho cominciato a mettere gli occhiali.»
Se li tolse per mostrarli a Ralph, strizzando gli occhi e sorridendo, poi cominciò a pulirli strofinandoli contro la giacchetta a vento lercia. Un’espressione afflitta, come un ripiegarsi in se stesso, alterò i tratti di quel volto pallido. Deterse alla meglio il sudore sulle guance e veloce inforcò gli occhiali in cima al naso.
«Quella frutta.»
Scrutò tutt’intorno al solco.
«Quella frutta,» disse «magari...»
Si riaggiustò gli occhiali, si allontanò da Ralph a grandi passi e si accovacciò nel groviglio della vegetazione.
«Ne ho per un minuto...»
Con cautela, Ralph si districò da dov’era caduto e si dileguò tra i rami. In pochi secondi si era lasciato alle spalle i grugniti del ragazzo grasso e marciava spedito verso l’ultimo ostacolo che ancora lo separava dalla laguna. Si arrampicò su per un tronco divelto ed eccolo fuori dalla giungla.
La spiaggia era ricoperta da un piumaggio di palme. Svettavano o pendevano o si inchinavano incontro alla luce, e le piume verdi sventolavano alte nell’aria, a una trentina di metri. Il terreno sottostante era una sponda ricoperta di malerba, devastata dagli sconvolgimenti di alberi caduti, disseminata ovunque di noci di cocco in putrefazione e alberelli di palma. Dietro, l’oscurità della foresta vera e propria e lo spazio squarciato dal solco. Ralph se ne stava lì in piedi, una mano poggiata a un tronco grigio; strizzava gli occhi, fissi sull’acqua scintillante. Laggiù, forse a un chilometro di distanza, la spuma bianca schiumava sulla barriera corallina, e oltre la barriera il mare aperto era di un blu cupo. Racchiusa entro quell’arco irregolare di corallo, la laguna era immobile come un lago alpino – tutte le gradazioni dell’azzurro, e poi sfumature in ombra di verde e di viola. La spiaggia tra l’acqua e la terrazza di palme era la sottile doga di un arco, apparentemente senza fine, perché alla sinistra di Ralph la prospettiva delle palme, della spiaggia e dell’acqua si perdeva in un punto all’infinito; e ovunque, impalpabile ma quasi visibile, incombeva la calura.
In un balzo fu giù dalla terrazza. Le scarpe nere affondarono nella sabbia e lo assalì il caldo. Ora sentiva tutto il peso dei suoi vestiti; con forza scalciò via le scarpe e in un colpo solo si strappò ciascuna calza insieme all’elastico. Rimontò poi sulla terrazza, si sfilò la camicia, e rimase là, circondato da noci di cocco precipitate che parevano teschi; intanto, le verdi ombre delle palme e della foresta gli scivolavano sulla pelle. Sganciò la fibbia a serpentello della cintura, tirò giù pantaloni corti e mutande, ed eccolo nudo, a rimirare l’acqua e la spiaggia abbagliante.
A dodici anni e qualche mese, era grande abbastanza da aver già perduto l’addome prominente dell’infanzia; eppure, non era ancora abbastanza grande da assumere quell’aria maldestra che arriva con l’adolescenza. Due spalle ampie e squadrate lasciavano forse presagire un futuro pugile, ma la dolcezza degli occhi e del disegno delle labbra tradivano un’indole per nulla demoniaca. Una lieve carezza sul tronco di palma e sì, allora quell’isola esisteva davvero, si disse; gli sfuggì di nuovo una risata gioiosa e si rituffò in una verticale a testa in giù. Riatterrò perfettamente in piedi, balzò sulla spiaggia, si inginocchiò e rastrellò una doppia bracciata di sabbia componendola a montagna sul torace. Tornò poi a sedersi e guardò l’acqua con occhi sfavillanti, esaltati.
«Ralph...»
Il ragazzo grasso si calò sulla terrazza e cauto si accomodò sul ciglio, usandolo a mo’ di sedile.
«Scusa se sono stato via così tanto. Ma quella frutta...»
Ripulì gli occhiali e se li aggiustò sul nasino tondo. La montatura gli aveva lasciato il segno giusto sul ponte, una V rovesciata, profonda e rosea. Squadrò critico il corpo dorato di Ralph e poi i propri vestiti. Portò una mano alla linguetta della cerniera lampo del giubbetto chiuso fino al petto.
«Mia zia...»
Deciso, aprì allora la lampo e una volta per tutte si sfilò via su per la testa la giacchetta impermeabile.
«Ecco!»
Ralph lo sbirciò di sbieco ma non disse niente.
«Avremo bisogno di sapere i nomi di tutti, immagino,» disse il ragazzo grasso «per poi fare una lista. Dovremmo indire un’assemblea.»
Ralph non colse l’allusione ai nomi e perciò il ragazzo grasso si vide costretto a proseguire.
«Non m’importa mica come mi chiameranno,» aggiunse in tono confidenziale «purché non mi chiamino come a scuola.»
In Ralph aleggiò un tiepido interesse.
«E come ti chiamavano?»
Il ragazzo grasso si diede un’occhiata alle spalle, poi si chinò verso Ralph.
«Mi chiamavano Piggy» sussurrò.
Ralph scoppiò a ridere. Balzò in piedi.
«Piggy! Piggy!»
«Ralph... per favore!»
Piggy congiunse le mani, angosciato.
«Ti ho detto che non volevo...»
«Piggy! Piggy!»
Ralph accennò una danza, tagliando l’aria calda della spiaggia, e poi ripiegò come un aereo da combattimento, ad ali spiegate, e mitragliò Piggy.
«Ra-ta-ta-ta-ta!»
Si tuffò in picchiata nella sabbia ai piedi di Piggy e lì giacque ridendo.
«Piggy!»
Piggy sorrise riluttante, compiaciuto suo malgrado...

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