Permettetemi di riassumere brevemente quanto detto finora prima di proseguire nella discussione.
- Allâepoca contemporanea puĂČ essere assegnato il nome di Antropocene: lâimpronta dellâuomo Ăš infatti visibile ovunque in seguito a un incremento esponenziale delle sue attivitĂ . Le premesse di questo aumento sono state la crescita demografica e il progresso tecnologico, a loro volta alimentati da risorse non rinnovabili e causa, a breve termine, di degrado ambientale e di cambiamento climatico a lungo termine.
- Per quanto esistano importanti variazioni regionali, il regime ideologico attualmente in auge, egemonico e globale, incoraggia la mercificazione e la deregolamentazione dei mercati ogni qual volta essi possano portare beneficio ai potenti. Generalmente chiamata neoliberismo, questâideologia tende a tradurre le questioni politiche in questioni economiche o gestionali, evitando il dibattito su valori fondamentali, sulla giustizia sociale e sulle condizioni necessarie al benessere duraturo dellâumanitĂ .
- Il neoliberismo dellâAntropocene si caratterizza per la presenza di processi fuori controllo allâinterno di ambiti eterogenei e interconnessi. CiĂČ significa che la crescita avviene senza meccanismi che ne stabiliscano il limite massimo, o, per dirlo attenendomi alla metafora del surriscaldamento, che il riscaldamento Ăš acceso ma manca il termostato. La fruizione dellâenergia, lâespansione urbana e la crescita demografica, il turismo e le ondate migratorie, la produzione di rifiuti e i suoi effetti diretti sullâambiente a livello locale sono tipici esempi di processi fuori controllo, cosĂ come lo sono la straordinaria crescita dellâuso di internet dal 1990 a oggi, nonchĂ© del commercio internazionale. Tuttavia, lâesempio piĂș chiaro di neoliberismo impazzito ci Ăš probabilmente dato dalla finanziarizzazione, la cui natura di commercio di beni fittizi (il denaro), unita allâirregolare ma frequente scoppio di bolle, assicura la costante instabilitĂ del sistema a livello globale. La competizione da tapis roulant, che si verifica a diversi livelli di scala, alimenta la degenerazione dei processi e dimostra come questi manchino di limiti e di obiettivi.
- Il principale doppio legame, o lâirrisolvibile dilemma, della nostra epoca Ăš conciliare crescita economica e sostenibilitĂ ecologica. Lâuna preclude lâaltra, eppure i politici e le organizzazioni mondiali affermano di sostenerle entrambe. Ă possibile identificare altri aspetti del sistema globale che rispondono alla logica del doppio vincolo, come la tensione tra lâuniversalismo dei diritti dellâuomo e lâevidente particolarismo della distinzione de facto tra vite umane di serie A e di serie B, e forse il problema dellâincompatibilitĂ tra politiche di classe e politiche ecologiche.
- La spinta verso livelli di scala superiori Ăš intrinseca alla globalizzazione, i cui detrattori propendono invece in larga parte per la direzione opposta. Per quanto la «globalizzazione dal basso», ovvero lâeconomia informale e il piccolo commercio internazionale informale, sia un fenomeno molto diffuso, i processi su larga scala, o su scala estesa, provocano cambiamenti di ben maggiore portata e incisivitĂ . La nozione di «scala» puĂČ essere concettualizzata in termini di spazio, di organizzazione sociale, di universi cognitivi e orizzonti temporali, e in tutti questi contesti lo stato surriscaldato del mondo in cui viviamo provoca conflitti di scala piĂș potenti ed evidenti che mai. Alcuni tra i piĂș noti conflitti di scala avvengono quando comunitĂ locali sono prevaricate da interessi di larga scala, quando le urgenze quotidiane di breve periodo hanno prioritĂ rispetto alla sopravvivenza di lungo periodo, o quando la creazione di impiego a livello locale conta piĂș della sostenibilitĂ ambientale.
Salire di livello: le conseguenze.
Il termine «scontro di civiltà » non offre una descrizione esatta del mondo contemporaneo. La nozione di «scontro di civiltà », enunciata da Samuel Huntington1, considera le differenze culturali profonde come forza scatenante e causa primaria di conflitti che, secondo Huntington, esploderanno lungo le «linee di faglia» che separano le civiltĂ . Pochi, per non dire nessuno, dei conflitti di cui siamo spettatori oggi si sviluppano lungo queste «linee di faglia». Se Ăš vero che molti tra gli odierni conflitti armati coinvolgono musulmani schierati contro lâegemonia occidentale, Ăš altrettanto vero che buona parte degli scontri avviene tra i musulmani stessi. Inoltre, gruppi ribelli come Boko Haram o Daesh (lâIsis) possono difficilmente essere considerati rappresentanti della «civiltĂ musulmana». La mia controtesi Ăš che il concetto di scontro tra ordini di grandezza risulta piĂș chiaro, versatile e utile nel decifrare le frizioni e le tensioni provocate dal neoliberismo globale, dallâegemonia dei combustibili fossili e dai danni ambientali che ne conseguono.
Nonostante gli effetti del passaggio a una scala superiore siano stati giĂ menzionati molte volte nei capitoli precedenti, permettetemi di tornare brevemente sul punto. Passare a una scala piĂș alta significa espandere qualcosa per trarne una qualche forma di beneficio. In politica, la versione moderna di questo concetto Ăš incarnata dal nazionalismo, che vede unâestensione dei limiti sistemici dei mondi di vita attraverso unâincorporazione delle comunitĂ negli Stati-nazione2. La chiave del successo per uno Stato-nazione risiede nella sua capacitĂ di rendere congruenti la scala politica e quella cognitiva, garantendo lâidentificazione degli abitanti con la comunitĂ nazionale da loro immaginata.
In un mondo surriscaldato come quello odierno, gli esempi piĂș importanti e ricchi di conseguenze dellâaumento di scala sono forse quelli riscontrabili nellâeconomia, campo in cui gli attori minori vengono sbaragliati dalle grandi multinazionali. Ecco un ricordo piuttosto significativo del periodo di ricerca sul campo che ho svolto in Australia: nel gennaio del 2014, la catena The Coffee Club, presente in tutto il paese, aprĂ un nuovo punto vendita in Goondoon Street, il cuore commerciale di Gladstone. Dallâaltro lato della strada, una tavola calda a conduzione famigliare aveva per molti anni fatto affari servendo consistenti colazioni accompagnate da un caffĂš piuttosto forte, preparato con una miscela casalinga. Poco dopo lâinaugurazione del nuovo punto Coffee Club, apparve la scritta «vendesi attività » sulle finestre del vecchio bar. Nel suo libro sullâesplosione del turismo, Becker descrive con le seguenti parole una scena avvenuta in una cittĂ da poco meta del turismo di massa:
Poi uscĂ con noi in strada, e indicĂČ quali negozi sulla sua via erano stati cacciati in seguito allâarrivo delle boutique di alta moda. «Il primo vicolo sulla sinistra: câerano un macellaio, un fiorista e un fornaio. Tutti scomparsi. Adesso solo chi lavora nella moda internazionale puĂČ permettersi di pagare lâaffitto»3.
Salire di scala crea economie di scala. Le attivitĂ commerciali minori si trovano quindi schiacciate nella competizione, ma vi Ăš anche un altro effetto generale, in termini di riduzione della flessibilitĂ , che vale la pena menzionare. Consentitemi di utilizzare come esempio le piantagioni. Le monoculture presenti nelle piantagioni, contrariamente alla versatilitĂ dei contadini, implicano una semplificazione strutturale, un appiattimento delle competenze del lavoratore. La produttivitĂ aumenta, ma al singolo lavoratore manca la capacitĂ di far funzionare da solo la piantagione, a differenza del contadino con i propri animali e la propria terra. Diventando un lavoratore dipendente, un contadino trae un vantaggio pecuniario, ma perde autonomia e flessibilitĂ in quanto il suo sostentamento dipende ora interamente dalla piantagione. Oltre a questo, le piantagioni, per loro stessa natura, riducono la biodiversitĂ e di conseguenza la flessibilitĂ ecologica. Dâaltro canto, non si dovrebbe neppure considerare lâagricoltura su piccola scala come una panacea. Non sfamerĂ il mondo, e come mi ha detto una volta Robert Pijpers in una conversazione personale, se la vostra fattoria si trova in una zona non fertile dellâAfrica occidentale, la vostra famiglia patirĂ la fame a ogni stagione delle piogge; a quel punto, anche un alienante posto di lavoro in cittĂ diventerĂ preferibile alle incertezze di unâagricoltura contadina su piccola scala.
La logica omologante e semplificatrice della piantagione, descritta da Mintz come il prototipo della fabbrica4, puĂČ essere riscontrata ovunque vi sia sviluppo industriale, ma, in unâera di interconnessioni globali e di facile mobilitĂ per gli investimenti di capitale, essa diventa onnipresente. Pensate solo a come il vostro programma di videoscrittura e di presentazione di testi modella il modo in cui lavorate mentre, simultaneamente, vi facilita nel creare connessioni con gli altri. Il programma della Microsoft, tuttora egemonico tra i software di videoscrittura e presentazione, potrebbe trovare un parallelo quasi perfetto nel fenomeno di omologazione dei container e delle relative infrastrutture5. In maniera simile allâimposizione del sistema metrico nella misurazione, lâintroduzione di proporzioni fisse per i container, iniziata nei primi anni Sessanta, ha provocato una trasformazione del commercio mondiale di cui pochi comprendono lâentitĂ . Lo scaricatore di porto indisciplinato e spesso non sindacalizzato Ăš una reliquia del passato, visto che oggi le merci passano dalle carrozze o dai camion alle navi attraverso gru operate da un esiguo numero di uomini ben pagati. Sul piano dellâorganizzazione delle attivitĂ lavorative, il passaggio dal lavoro ad alta intensitĂ di manodopera al lavoro meccanizzato avvenuto nei porti Ăš simile a quello, giĂ descritto precedentemente, che ha interessato il settore minerario, dove lâestrazione del carbone, anchâessa ad alta densitĂ di manodopera, ha ceduto il passo allâestrazione meccanizzata del petrolio. Ma per permettere a container standardizzati, differenti per colori e marchi, ma identici per dimensioni e proporzioni, di conquistare il mondo, Ăš stato necessario adattare le ferrovie, i camion, le navi e la conformazione dei porti stessi, molti dei quali hanno dovuto essere completamente ricostruiti. A questo punto, il mondo del commercio ha stabilito uno standard industriale, e i concorrenti incapaci di reggere la competizione da tapis roulant della Regina Rossa sono stati condannati allâoblio, come il porto di Liverpool, che non essendo riuscito a riconfigurarsi, parzialmente per lâopposizione del forte sindacato dei lavoratori portuali, ha imboccato la via del declino verso la fine degli anni Sessanta. (Un controesempio ci Ăš fornito da Erem e Durrenberger, che riportano come unâunione sindacale di lavoratori portuali della Carolina del Sud sia riuscita, dopo lâavvento dei container, a estendere la propria dimensione di lotta permettendo a portuali di tutto il mondo di rafforzare la loro posizione)6.
Oltre a riconfigurare lavoro e infrastrutture, la transizione verso unâomologazione su larga scala incarnatasi nelle navi portacontainer ha abbassato fortemente i costi dei trasporti. Di conseguenza, dal punto di vista economico, ha perfettamente senso per un venditore di giocattoli dellâIndiana scegliere di non rifornirsi di Barbie da un produttore locale ma bensĂ in Cina, dove il costo della manodopera Ăš inferiore. Prima delle navi portacontainer questo non sarebbe potuto accadere.
Tali sistemi di comunicazione, trasporto, consumo e produzione, omologati e funzionanti su vasta scala, formano lâinfrastruttura del mondo surriscaldato. I conflitti di scala sono palesi. Le unioni sindacali dei portuali di Liverpool operavano su scala locale e sono state scavalcate da processi in atto su scala internazionale; ugualmente, le fabbriche di giocattoli del Midwest hanno perso la competizione contro entitĂ operative estere e su larga scala, in grado di spedire i propri prodotti ovunque nel mondo, a un prezzo basso.
I conflitti di scala nellâeconomia â ossia, in ambito di produzione, distribuzione e consumo â possono essere positivi per lâ«economia mondiale» (unâastrazione di ben poca rilevanza per la vita delle persone) ma non per quelli che ne subiscono direttamente gli effetti. In uno studio sui coltivatori di banane dellâisola caraibica di Dominica, la studiosa del surriscaldamento Frida Aamnes ha analizzato le risposte locali alla deregolamentazione del mercato europeo delle banane7. Dopo lâindipendenza, e fino agli anni Novanta, la Dominica e altri Stati caraibici orientali per decenni avevano potuto esportare a un prezzo minimo garantito le proprie banane nel Regno Unito e in Europa, grazie ad accordi della prima e seconda Convenzione di LomĂ©. Dopo la fine di questi accordi preferenziali, svaniti gradualmente negli anni Novanta, i piccoli produttori di banane dominicani, proprietari perlopiĂș di piccoli appezzamenti, si trovarono a dover competere con le banane prodotte su larga scala in America centrale. Era impossibile per le piccole coltivazioni della Dominica produrre banane a prezzi competitivi. I politici locali se la presero principalmente con i contadini, accusandoli di pigrizia, mentre le Ong attive sullâisola li incoraggiarono a esplorare il commercio equo e solidale, per poter accedere a una nicchia di mercato dove le banane vengono prodotte in condizioni di lavoro socialmente responsabili. Gli agricoltori esaminati nello studio di Aamnes preferirono optare per la flessibilitĂ , invece che per le monoculture su vasta scala delle piantagioni o per i vincoli imposti dal commercio equo e solidale (che detta numerose condizioni ai propri produttori). Molti continuarono a coltivare banane, integrando perĂČ le proprie entrate in svariati modi, lavorando come contadini indipendenti con una produzione piccola ma variegata di frutta e ortaggi e qualche animale; altri fecero della propria casa un piccolo negozio in cui vendere cibo e bevande; alcuni si misero a vendere marijuana; alcuni affittarono una camera della propria abitazione; altri ancora guadagnavano qualche soldo pescando, facendo gli autisti, lavorando in cantieri stradali e cosĂ via. In altre parole, non reagirono passando a una scala superiore, nĂ© provarono a connettersi a una rete alternativa su larga scala (il commercio equo e solidale), ma tentarono invece di trovare un modo di sopravvivere preservando, al contempo, la propria autonomia. Nel loro caso, questo presupponeva unâeconomia locale, fondata su pratiche a loro volta locali sul piano di produzione, distribuzione e consum...