La rivoluzione globale
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La rivoluzione globale

Storia del comunismo internazionale 1917-1991

Silvio Pons

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Storia del comunismo internazionale 1917-1991

Silvio Pons

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Il comunismo conobbe una formidabile espansione nella prima metĂ  del secolo scorso e subĂ­ un tracollo vertiginoso nella seconda metĂ . La nascita dello Stato sovietico e del movimento comunista ebbe un enorme impatto internazionale tramite la promessa o la minaccia di una rivoluzione mondiale. Quello scenario sembrĂČ ancora piĂș incombente all'indomani della Seconda guerra mondiale. L'Urss si pose alla guida di un «campo socialista» in Europa, costituendo cosĂ­ il polo antagonista all'Occidente nella guerra fredda, mentre la Cina comunista proiettava la rivoluzione nel mondo postcoloniale. Tuttavia, l'apice del progetto globale comunista celava le premesse del declino. Meno monolitico di quanto non apparisse in Occidente, il movimento iniziĂČ a disgregarsi con la rottura tra Mosca e Pechino. Fu il primo segnale di una crisi di legittimazione destinata a farsi irreversibile. Il comunismo internazionale perse credibilitĂ  come soggetto della politica mondiale. Nel contempo, il dominio sovietico nell'Europa orientale mostrĂČ il suo volto brutale e diventĂČ definitivamente un fattore di discredito. L'Urss venne messa ai margini dalla globalizzazione occidentale, malgrado la sua dimensione di superpotenza. Fino a che le riforme di GorbacĂ«v, nel vano tentativo di rilanciare un nuovo universalismo, portarono al collasso.

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Information

Verlag
EINAUDI
Jahr
2013
ISBN
9788858411926

Capitolo secondo

Il tempo dello Stato (1924-1939)

Il mondo si ù diviso in due campi: il campo dell’imperialismo e il campo della lotta contro l’imperialismo [
] Alla guida dei paesi del capitalismo si trovano due principali paesi, l’Inghilterra e l’America [
] Alla guida di coloro che si oppongono e lottano alla morte contro l’imperialismo si trova il nostro paese, l’Unione Sovietica.
STALIN, 18 dicembre 1925.
Internazionalista Ăš chi senza riserve, senza esitazioni, senza condizioni Ăš pronto a difendere l’Urss, perchĂ© l’Urss Ăš la base del movimento rivoluzionario mondiale.
STALIN, 1Âș agosto 1927.
La rivoluzione mondiale come atto unico ù una sciocchezza. Essa avviene in tempi diversi e in paesi diversi. Anche le azioni dell’Armata Rossa sono cosa che riguarda la rivoluzione mondiale.
STALIN a Dimitrov, 21 gennaio 1940.
1. Rivoluzione mondiale e «socialismo in un solo paese».
La morte di Lenin lasciĂČ il segno su tutti i comunisti. Il suo corpo imbalsamato, avvolto nella bandiera della Comune di Parigi e collocato in un mausoleo sulla Piazza Rossa di Mosca, venne consegnato al loro sistema simbolico. Al suo funerale, il 27 gennaio 1924, furono soprattutto Zinovâ€Čev e Stalin, in assenza di Trockij, a celebrare la nascita di un culto. Il giuramento pronunciato da Stalin con toni di devozione religiosa rappresentĂČ probabilmente il momento piĂș significativo di quel passaggio, anche se non molti se ne resero conto allora. Il culto doveva costituire il centro di gravitĂ  delle nuove forme di sacralizzazione della politica prodotte dal regime. Il culto di Lenin e la codificazione del marxismo-leninismo furono anzi i due fondamenti della transizione dallo slancio utopistico dei primi anni postrivoluzionari a una forma organizzata di messianismo, dotata di dogmi ideologici e di riti canonici1. La fedeltĂ  ai precetti leniniani costituĂ­ da quel momento in avanti una fonte di legittimazione irrinunciabile. L’unitĂ  del gruppo dirigente sovietico e del partito mondiale della rivoluzione fu un assioma sempre piĂș indiscutibile. In realtĂ , tale unitĂ  era largamente fittizia e il suo principio si doveva risolvere in un perverso meccanismo repressivo nelle stesse Ă©lite politiche. Soltanto la figura carismatica di Lenin aveva potuto ricomporre i numerosi conflitti sorti sin dall’epoca dell’Ottobre nello stato maggiore della rivoluzione. Ma dal 1917 in avanti, Lenin aveva mostrato volti troppo diversi perchĂ© si potessero facilmente comporre in una sintesi politica. La sua ereditĂ  lasciava piĂș incertezze che certezze. I successori se la contesero dando luogo alla piĂș classica delle lotte per il potere, che si riverberĂČ sull’intero movimento comunista.
NĂ© la scelta della Nep, nĂ© il rigido regime interno del partito rappresentavano motivi di unitĂ  tra i bolscevichi. GiĂ  nel corso del 1923 l’irrequieto Trockij aveva aperto le ostilitĂ  su entrambe le questioni, denunciando la «burocratizzazione» generata dalla sovrapposizione tra il partito e lo Stato, predicando una democrazia circoscritta agli organi del partito, e invocando una maggiore pressione verso l’industrializzazione del paese. Ma la questione che piĂș di ogni altra investiva il senso stesso della rivoluzione ereditata da Lenin era il fiasco dell’«ottobre tedesco», spia inequivocabile del fallimento del suo progetto rivoluzionario mondiale. La dura smentita di tale progetto avrebbe potuto essere constatata molto prima del 1923. Lenin vi si era sottratto, lasciando la patata bollente nelle mani dei suoi successori. Alla prima occasione, in Germania, essi avevano inseguito le sue stesse chimere, con una maggiore accortezza cospirativa consentita dalla presenza di un forte partito comunista, ma con la medesima tendenza a scambiare le proprie illusioni per la realtĂ . L’ennesimo insuccesso delle forze rivoluzionarie in Germania poneva ora dinanzi a interrogativi ancora piĂș stringenti, ma il gruppo dirigente bolscevico li evitĂČ.
Sin dal dicembre 1923 Zinovâ€Čev e Trockij si scontrarono sulle «lezioni degli avvenimenti tedeschi». Ma il conflitto tra i due piĂș accesi sostenitori del tentativo insurrezionale non implicava nessuna autocritica e revisione2. Zinovâ€Čev adossĂČ cinicamente la responsabilitĂ  della sconfitta all’insufficiente risolutezza dei dirigenti tedeschi, Trockij prese le loro difese, accusando il suo rivale di burocratismo. Entrambi ritenevano che si fosse persa un’autentica occasione rivoluzionaria3. Sebbene in una diversa misura, tutti i principali leader bolscevichi erano stati coinvolti nella decisione sull’azione insurrezionale. Per il momento, nessuno si espose nel trarre lezioni piĂș serie dall’«ottobre tedesco». CosĂ­ le tensioni che giĂ  percorrevano il gruppo dirigente bolscevico si acuirono, dando perĂČ luogo a un falso dibattito incentrato sulla tattica invece che sull’analisi. L’enfasi cadde sull’occasione perduta e sull’esigenza di seguire ancora piĂș strettamente l’esempio bolscevico. Le voci critiche, come Radek nel partito sovietico e Wilhelm Pieck in quello tedesco, vennero messe a tacere. Furono anzi incoraggiate le tendenze estremiste nella Kpd, con la promozione di Ruth Fischer e Arkady Maslow, gli avversari «di sinistra» di Brandler e di Thalheimer4.
Il XIII Congresso della Rkp(b), nel maggio 1924, sembrĂČ chiudere la prima fase del conflitto aperto da Trockij e stabilizzare al posto di comando il «triumvirato» composto da Zinovâ€Čev, Kamenev e Stalin. I motivi di consolidamento erano significativi. La Nep aveva posto le basi per la ripresa economica del paese e per un relativo equilibrio nei rapporti tra cittĂ  e campagna. La costituzione dello Stato federale aveva coronato la riconquista bolscevica di parte sostanziale del territorio appartenuto all’impero zarista, mentre gli ultimi focolai di resistenza nazionale in Ucraina e altrove erano stati soffocati. Apparentemente, i riconoscimenti diplomatici dell’Unione Sovietica da parte dei principali paesi europei, a cominciare dalla Gran Bretagna, costituivano un fattore altrettanto valido di stabilitĂ . Era perĂČ evidente l’assenza di un pensiero strategico e di una visione della situazione internazionale adeguata alla nuova stabilitĂ  che si annunciava anche in Germania e in Europa. Soltanto Bucharin, ormai passato su posizioni moderate dopo i suoi trascorsi di estrema sinistra, presentĂČ un’interpretazione dell’ereditĂ  di Lenin diversa da quella dei due principali pretendenti alla successione, Zinovâ€Čev e Trockij, invitando i bolscevichi a prendere atto della fine delle illusioni rivoluzionarie. Era in corso, a suo giudizio, «una certa stabilizzazione» dell’economia capitalistica garantita dal capitale americano, sebbene il mondo occidentale continuasse a soffrire l’assenza di un ruolo politico degli Stati Uniti adeguato al loro ruolo economico. Sul piano ideologico, questa nuova situazione generava una tendenza al «pacifismo» della borghesia occidentale, che si era manifestata negli stessi riconoscimenti diplomatici dell’Urss e nella crescita del ruolo di governo delle socialdemocrazie. Di conseguenza, occorreva liquidare lo schema adottato dai bolscevichi dopo l’Ottobre, secondo il quale la loro vicenda si sarebbe ripetuta con le medesime modalitĂ  anche altrove5. In altre parole, Bucharin suggeriva di rinunciare all’universalitĂ  del modello rivoluzionario bolscevico e di abbandonare le concezioni piĂș catastrofiste che avevano condizionato il movimento comunista. Egli fu il solo dirigente bolscevico a compiere un simile passo e a trarre una lezione seria dal fallimento insurrezionale in Germania. La revisione da lui proposta rimase isolata e senza seguito.
La deriva «di sinistra» del Comintern venne pienamente confermata al V Congresso, nel giugno-luglio 1924. La principale parola d’ordine lanciata in tale circostanza fu quella della «bolscevizzazione» dei partiti comunisti. Ennesimo slogan vago e ambivalente emanato da Mosca, la «bolscevizzazione» esigeva al tempo stesso un piĂș forte allineamento al modello russo e una maggiore articolazione nazionale dei partiti comunisti6. Essa rispondeva a un’esigenza di disciplinamento che si poteva far risalire indietro nel tempo fino alle celebri «ventuno condizioni», ma che ora assumeva l’aspetto di un rilancio identitario per far fronte alla crisi del movimento. Il varo della «bolscevizzazione» dei partiti comunisti e la sacralizzazione del «leninismo» furono contestuali a una lettura catastrofista della crisi del capitalismo postbellico e a una ripresa della polemica anti-socialdemocratica. Zinovâ€Čev coniĂČ la formula della socialdemocrazia come «ala sinistra» del fascismo, toccando l’apice del manicheismo bolscevico7. Il gruppo dirigente russo continuava a non fare i conti con il fallimento dell’«ottobre tedesco». Bucharin non ripetĂ© al Comintern i convincimenti maturati ed espressi dinanzi al congresso del partito sovietico. Stalin continuĂČ a mantenersi defilato dalle questioni internazionali lasciando la scena a Zinovâ€Čev, suo alleato nello scontro con Trockij. Sulla condotta di Stalin pesava la sua scarsa familiaritĂ  con le questioni internazionali. Ancor piĂș pesava il duro giudizio personale formulato nei suoi riguardi da Lenin nel proprio «testamento», anche se questo documento offriva giudizi liquidatori su tutti i possibili eredi. Ma i silenzi e le incertezze del gruppo dirigente bolscevico riflettevano soprattutto una difficoltĂ  di orientamento. Nello stesso tempo, il contributo dei comunisti europei alla definizione di una strategia politica del movimento dopo l’«ottobre tedesco» fu irrilevante. Il loro discorso politico, dal francese Albert Treint alla tedesca Fischer, fu incentrato sulla «bolscevizzazione» e sulla lotta contro le «deviazioni», che poteva essere interpretata nei modi piĂș diversi, ma unificava il loro universo mentale. Sotto la direzione del Politbjuro, il Comintern post-leniniano richiamĂČ ancora una volta i partiti comunisti al valore universale dell’esperienza russa.
Fu il lancio del Piano Dawes e l’avvio di un intervento americano nella ricostruzione europea, nell’estate 1924, a ...

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