Un cuore sleale
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Un cuore sleale

Un caso per Manrico Spinori

Giancarlo De Cataldo

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  1. 256 Seiten
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Un caso per Manrico Spinori

Giancarlo De Cataldo

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Quando il mare di Ostia restituisce il cadavere di Ademaro Proietti - palazzinaro di successo e personaggio di rilievo negli equilibri politico-economici della capitale - la prima ipotesi è che l'uomo sia annegato in seguito a una disgrazia, cadendo dal suo gigantesco motor yacht durante una gita con i figli e il genero. Eppure c'è qualcosa che non torna, un piccolo indizio che potrebbe richiedere per l'episodio una spiegazione diversa. È davvero cosí o è Manrico a essersi fissato? Magari si è lasciato suggestionare dall'abitudine a pensar male dell'impulsiva ispettora Cianchetti, il piú recente acquisto della sua squadra investigativa. Stavolta nemmeno l'opera lirica, che da sempre lo ispira nella soluzione dei casi, sembra volergli venire in soccorso. L'unica certezza è che la famiglia del morto ha piú di un segreto da nascondere. Del resto, e lui lo sa bene, quale famiglia non ne ha?«Manrico aspirò un odore composto, che sapeva di salmastro, alghe corrotte, catrame, acido fenico e pioggia. L'odore del porto. Amava quell'odore. Gli ricordava l'infanzia. Le gite in barca. Le ore passate a rosolarsi al sole. E l'adolescenza. Il turbamento delle prime forme femminili intraviste fra passerelle, arenili e cabine. Certe compagne dai capelli fini, il loro timido incedere su gambe troppo lunghe, troppo sottili. La sua curiosità assillante: dove andranno a finire quelle benedette gambe? Ma stava divagando. Era scomparso un uomo».

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Information

Verlag
EINAUDI
Jahr
2020
ISBN
9788858435168

XXII.

Umberto Proietti produsse un nuovo certificato medico nel quale si dava atto che il giorno precedente era stato effettivamente affetto da stato febbrile, e pertanto impossibilitato a comparire. Come manifestazione di rispetto per la giustizia, prova di buona volontà, si era comunque presentato, pur risentendo dei postumi della piccola indisposizione. In apparenza, un’offerta di pace. La protervia della prossemica, scandita da una teatrale consegna del documento, da sbuffi indignati e sguardi gelidi, raccontava tutta un’altra storia: sono io che conduco il gioco, povero piccolo patetico magistratucolo. Un atteggiamento che Manrico aveva già riscontrato in precedenti inchieste da parte di persone, per cosí dire, influenti e di potere. Cosí ringraziò educatamente, come se non si fosse accorto di niente, dettò a Cianchetti, che verbalizzava al computer, le formule di rito e chiese al maggiore dei Proietti se intendesse aggiungere qualcosa alla precedente deposizione.
– Ho risposto a tutte le sue domande, mi pare.
– Intende allora modificare in qualche passaggio le sue dichiarazioni?
– Non ne vedo il motivo.
Chiuso, ostile. Sondare siffatti testi poteva rivelarsi una gran perdita di tempo, se non si disponeva di qualche utile elemento d’attacco.
– Se abbiamo finito, – sbuffò Umberto, – avrei un’impresa da mandare avanti.
– È lei che la manda avanti, adesso? – s’inserí Manrico, amabile.
Proietti sembrò sorpreso dalla domanda.
– Adesso che suo padre non c’è piú, – sussurrò Manrico.
– Ho assunto la carica di presidente ad interim del ciddià… voglio dire del Consiglio d’amministrazione.
Si era ripreso rapidamente, eppure una breve esitazione c’era stata.
– Mi faccia capire… quando suo padre era vivo, prendeva lui tutte le decisioni?
– Forse non ha ben chiaro come funziona una realtà complessa come la Profutur.
Davanti all’aria di sufficienza di Proietti maior chiunque avrebbe perso la pazienza.
– Me lo spieghi lei, – flautò invece Manrico, sempre piú cordiale.
Di sicuro, se i Proietti avessero comunicato via telefono come normali coatti, nella conversazione seguente a questo interrogatorio Manrico si sarebbe beccato come minimo del coglione.
– Le decisioni sono frutto di un’elaborazione collettiva nella quale ciascuno apporta i propri specifici elementi di conoscenza.
– Una testa un voto, mi sta dicendo?
– Naturalmente no. Mio padre deteneva la maggioranza delle quote. Il sessanta per cento. A ciascuno di noi quattro spettava il dieci per cento.
– Quindi, alla fine, il voto di suo padre contava piú di quello di voialtri messi insieme.
– Ma, – obiettò piccato il maggiore dei Proietti, – le decisioni piú rilevanti venivano prese dopo un’ampia disamina, e nella ricerca dell’accordo generale.
Guarda guarda, la monarchia Proietti sarebbe dunque stata costituzionale e non assoluta? Manrico non l’avrebbe creduto nemmeno se l’avesse visto.
– Allora eravate tutti d’accordo anche nel sostituire Montemurro con Biondi.
Gli occhi dell’altro si ridussero a due fessure dalle quali scaturivano lampi di autentico veleno.
– Un normale avvicendamento, – rispose, diplomatico.
– Non le ho chiesto questo. Le ho chiesto se eravate tutti d’accordo.
– Flavia è una manager di prim’ordine. Ha lavorato magnificamente per l’impresa. È molto leale.
– Tutto qui?
– Che intende dire, scusi?
– Che cosa può dirmi dei rapporti… personali fra suo padre e la dottoressa Biondi?
Un’ombra indecifrabile velò il volto di Umberto. Manrico vi lesse un misto di sorpresa e di calcolo. Non si aspettava la domanda e si stava chiedendo quale fosse la risposta piú conveniente.
– Personali in che senso, mi scusi? – Umberto prendeva tempo.
– Andiamo, ingegnere, ha capito benissimo.
– Non crede che siano fatti riservati, che non dovrebbero interessare un’indagine?
– Potrebbero avere una certa rilevanza, invece.
– Quale? Quella del gossip?
– Senta, le ho fatto una domanda, esigo una risposta: che cosa sa dirmi dei rapporti fra suo padre e Biondi?
– Va bene, avevano una storia, – esalò infine l’uomo.
– E chi altri ne era al corrente, oltre a lei?
– Tutti. Brian, Sofia, Tommaso…
– Renzo?
– Lui no. Era troppo distratto per rendersi conto di quello che accadeva praticamente sotto il suo naso.
– Come vivevate questa situazione voi della famiglia?
– Che vuole che le dica? Non ne eravamo entusiasti, specialmente per il povero Renzo… ma papà… se lei lo avesse conosciuto… era impossibile contraddirlo.
– Comincio a rendermene conto.
– Del resto, Flavia aveva ottimi argomenti di persuasione. Si sarà reso conto anche di questo.
Una volta rotti gli argini, Umberto aveva una gran voglia di confessarsi, a quanto pareva. E l’unità della famiglia, tanto sbandierata, vacillava sotto i colpi della maldicenza. Manrico comprese che era il caso di affondare il coltello.
– Mi faccia capire. Flavia era protetta da vostro padre.
– È chiaro.
– Senza la sua protezione sarebbe mai diventata amministratrice della Profutur?
– Poteva sognarselo.
– Quindi ora che vostro padre non c’è piú…
– È una questione che affronteremo non appena la tempesta che si è abbattuta sulla nostra famiglia si sarà placata.
Ottima replica, che voleva dire tutto e niente. Umberto Proietti si era arrestato sulla soglia dell’attacco finale. Forse Flavia aveva qualche freccia al suo arco che la rendeva inattaccabile? In ogni caso, adesso le cose si muovevano. E a una certa velocità. Il gemello compulsò ancora una volta l’orologio. Di gran marca, ma niente a che vedere con l’Aquila Grand Complication. Manrico cambiò argomento.
– Mi parli del capitano Riccardelli.
– Un ottimo elemento.
– Putzolu?
– È con noi da anni.
– Vi fidate?
– Come di me stesso, dottore.
– Lei gioca a poker?
– Quando mio padre me lo chiedeva…
– E lo lasciava vincere.
– Si capisce.
– Non le dispiaceva?
– Ma cosa va a pensare! Era un gioco, papà sapeva benissimo che… insomma, ci scherzavamo tutti su.
– Anche suo cognato, Montemurro?
– Lui per primo.
Ma guarda. Il piccolo Renzo non la pensava cosí. Manrico, che aveva deciso di massacrare Umberto Proietti a colpi di gentilezza, si alzò per accompagnarlo nell’anticamera, dove avrebbe dovuto trovarsi il gemello. Che non c’era.
– Ha ricevuto una telefonata urgente, – spiegò Brunella, – la prega di attenderlo…
Manrico ne approfittò per portarsi Cianchetti e Brunella al bar. Strada facendo, chiese a Deborah se amasse leggere.
– Sinceramente, dottore, non è proprio la cosa mia.
– E che le piace fare, Cianchetti? Il cinema le piace?
– Se capita… di solito guardo la De Filippi e l’Isola dei famosi, però mi piace pure quel programma de cucina… Sarà che io nun ce so’ fa tanto ai fornelli…
– La musica?
– Sí, i concerti sí, mi piacciono. Diodato, Tiziano Ferro e… forse è un po’ vecchio, però, dotto’, a me Renato Zero me fa mori’…
La questione del regalo di Natale per Cianchetti rischiava di farsi spinosa, se queste erano le premesse. Al bar, nei sotterranei del tribunale, c’era la consueta confusione. Manrico rimase pazientemente in fila fino al proprio turno, scambiando i convenevoli di prammatica con colleghi e avvocati, ma quando fu il momento di pagare si accorse con sgomento di avere il portafogli completamente vuoto. Per la miseria! La sera prima c’erano cinquecento euro, sempre per i benedetti regali, perché Maria Giulia gli aveva detto che in quel famoso negozio di tendenza alcuni articoli si vendevano solo in contanti… Il famigerato foulard di Hermès l’aveva pagato con la carta di credito… Altre spese non ve n’erano state. Non ricordava di aver riposto banconote in cassaforte. E allora?
– Dottor Spinori?
Stava rimbambendo? Erano le avvisaglie di una qualche forma di demenza?
E sotto gli occhi un po’ irritati della cassiera pagò con la carta di credito due caffè e un succo di mirti...

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