Umberto Proietti produsse un nuovo certificato medico nel quale si dava atto che il giorno precedente era stato effettivamente affetto da stato febbrile, e pertanto impossibilitato a comparire. Come manifestazione di rispetto per la giustizia, prova di buona volontĂ , si era comunque presentato, pur risentendo dei postumi della piccola indisposizione. In apparenza, unâofferta di pace. La protervia della prossemica, scandita da una teatrale consegna del documento, da sbuffi indignati e sguardi gelidi, raccontava tutta unâaltra storia: sono io che conduco il gioco, povero piccolo patetico magistratucolo. Un atteggiamento che Manrico aveva giĂ riscontrato in precedenti inchieste da parte di persone, per cosĂ dire, influenti e di potere. CosĂ ringraziĂČ educatamente, come se non si fosse accorto di niente, dettĂČ a Cianchetti, che verbalizzava al computer, le formule di rito e chiese al maggiore dei Proietti se intendesse aggiungere qualcosa alla precedente deposizione.
â Ho risposto a tutte le sue domande, mi pare.
â Intende allora modificare in qualche passaggio le sue dichiarazioni?
â Non ne vedo il motivo.
Chiuso, ostile. Sondare siffatti testi poteva rivelarsi una gran perdita di tempo, se non si disponeva di qualche utile elemento dâattacco.
â Se abbiamo finito, â sbuffĂČ Umberto, â avrei unâimpresa da mandare avanti.
â Ă lei che la manda avanti, adesso? â sâinserĂ Manrico, amabile.
Proietti sembrĂČ sorpreso dalla domanda.
â Adesso che suo padre non câĂš piĂș, â sussurrĂČ Manrico.
â Ho assunto la carica di presidente ad interim del ciddià ⊠voglio dire del Consiglio dâamministrazione.
Si era ripreso rapidamente, eppure una breve esitazione câera stata.
â Mi faccia capire⊠quando suo padre era vivo, prendeva lui tutte le decisioni?
â Forse non ha ben chiaro come funziona una realtĂ complessa come la Profutur.
Davanti allâaria di sufficienza di Proietti maior chiunque avrebbe perso la pazienza.
â Me lo spieghi lei, â flautĂČ invece Manrico, sempre piĂș cordiale.
Di sicuro, se i Proietti avessero comunicato via telefono come normali coatti, nella conversazione seguente a questo interrogatorio Manrico si sarebbe beccato come minimo del coglione.
â Le decisioni sono frutto di unâelaborazione collettiva nella quale ciascuno apporta i propri specifici elementi di conoscenza.
â Una testa un voto, mi sta dicendo?
â Naturalmente no. Mio padre deteneva la maggioranza delle quote. Il sessanta per cento. A ciascuno di noi quattro spettava il dieci per cento.
â Quindi, alla fine, il voto di suo padre contava piĂș di quello di voialtri messi insieme.
â Ma, â obiettĂČ piccato il maggiore dei Proietti, â le decisioni piĂș rilevanti venivano prese dopo unâampia disamina, e nella ricerca dellâaccordo generale.
Guarda guarda, la monarchia Proietti sarebbe dunque stata costituzionale e non assoluta? Manrico non lâavrebbe creduto nemmeno se lâavesse visto.
â Allora eravate tutti dâaccordo anche nel sostituire Montemurro con Biondi.
Gli occhi dellâaltro si ridussero a due fessure dalle quali scaturivano lampi di autentico veleno.
â Un normale avvicendamento, â rispose, diplomatico.
â Non le ho chiesto questo. Le ho chiesto se eravate tutti dâaccordo.
â Flavia Ăš una manager di primâordine. Ha lavorato magnificamente per lâimpresa. Ă molto leale.
â Tutto qui?
â Che intende dire, scusi?
â Che cosa puĂČ dirmi dei rapporti⊠personali fra suo padre e la dottoressa Biondi?
Unâombra indecifrabile velĂČ il volto di Umberto. Manrico vi lesse un misto di sorpresa e di calcolo. Non si aspettava la domanda e si stava chiedendo quale fosse la risposta piĂș conveniente.
â Personali in che senso, mi scusi? â Umberto prendeva tempo.
â Andiamo, ingegnere, ha capito benissimo.
â Non crede che siano fatti riservati, che non dovrebbero interessare unâindagine?
â Potrebbero avere una certa rilevanza, invece.
â Quale? Quella del gossip?
â Senta, le ho fatto una domanda, esigo una risposta: che cosa sa dirmi dei rapporti fra suo padre e Biondi?
â Va bene, avevano una storia, â esalĂČ infine lâuomo.
â E chi altri ne era al corrente, oltre a lei?
â Tutti. Brian, Sofia, TommasoâŠ
â Renzo?
â Lui no. Era troppo distratto per rendersi conto di quello che accadeva praticamente sotto il suo naso.
â Come vivevate questa situazione voi della famiglia?
â Che vuole che le dica? Non ne eravamo entusiasti, specialmente per il povero Renzo⊠ma papà ⊠se lei lo avesse conosciuto⊠era impossibile contraddirlo.
â Comincio a rendermene conto.
â Del resto, Flavia aveva ottimi argomenti di persuasione. Si sarĂ reso conto anche di questo.
Una volta rotti gli argini, Umberto aveva una gran voglia di confessarsi, a quanto pareva. E lâunitĂ della famiglia, tanto sbandierata, vacillava sotto i colpi della maldicenza. Manrico comprese che era il caso di affondare il coltello.
â Mi faccia capire. Flavia era protetta da vostro padre.
â Ă chiaro.
â Senza la sua protezione sarebbe mai diventata amministratrice della Profutur?
â Poteva sognarselo.
â Quindi ora che vostro padre non câĂš piĂșâŠ
â Ă una questione che affronteremo non appena la tempesta che si Ăš abbattuta sulla nostra famiglia si sarĂ placata.
Ottima replica, che voleva dire tutto e niente. Umberto Proietti si era arrestato sulla soglia dellâattacco finale. Forse Flavia aveva qualche freccia al suo arco che la rendeva inattaccabile? In ogni caso, adesso le cose si muovevano. E a una certa velocitĂ . Il gemello compulsĂČ ancora una volta lâorologio. Di gran marca, ma niente a che vedere con lâAquila Grand Complication. Manrico cambiĂČ argomento.
â Mi parli del capitano Riccardelli.
â Un ottimo elemento.
â Putzolu?
â Ă con noi da anni.
â Vi fidate?
â Come di me stesso, dottore.
â Lei gioca a poker?
â Quando mio padre me lo chiedevaâŠ
â E lo lasciava vincere.
â Si capisce.
â Non le dispiaceva?
â Ma cosa va a pensare! Era un gioco, papĂ sapeva benissimo che⊠insomma, ci scherzavamo tutti su.
â Anche suo cognato, Montemurro?
â Lui per primo.
Ma guarda. Il piccolo Renzo non la pensava cosĂ. Manrico, che aveva deciso di massacrare Umberto Proietti a colpi di gentilezza, si alzĂČ per accompagnarlo nellâanticamera, dove avrebbe dovuto trovarsi il gemello. Che non câera.
â Ha ricevuto una telefonata urgente, â spiegĂČ Brunella, â la prega di attenderloâŠ
Manrico ne approfittĂČ per portarsi Cianchetti e Brunella al bar. Strada facendo, chiese a Deborah se amasse leggere.
â Sinceramente, dottore, non Ăš proprio la cosa mia.
â E che le piace fare, Cianchetti? Il cinema le piace?
â Se capita⊠di solito guardo la De Filippi e lâIsola dei famosi, perĂČ mi piace pure quel programma de cucina⊠SarĂ che io nun ce soâ fa tanto ai fornelliâŠ
â La musica?
â SĂ, i concerti sĂ, mi piacciono. Diodato, Tiziano Ferro e⊠forse Ăš un poâ vecchio, perĂČ, dottoâ, a me Renato Zero me fa moriââŠ
La questione del regalo di Natale per Cianchetti rischiava di farsi spinosa, se queste erano le premesse. Al bar, nei sotterranei del tribunale, câera la consueta confusione. Manrico rimase pazientemente in fila fino al proprio turno, scambiando i convenevoli di prammatica con colleghi e avvocati, ma quando fu il momento di pagare si accorse con sgomento di avere il portafogli completamente vuoto. Per la miseria! La sera prima câerano cinquecento euro, sempre per i benedetti regali, perchĂ© Maria Giulia gli aveva detto che in quel famoso negozio di tendenza alcuni articoli si vendevano solo in contanti⊠Il famigerato foulard di HermĂšs lâaveva pagato con la carta di credito⊠Altre spese non ve nâerano state. Non ricordava di aver riposto banconote in cassaforte. E allora?
â Dottor Spinori?
Stava rimbambendo? Erano le avvisaglie di una qualche forma di demenza?
E sotto gli occhi un poâ irritati della cassiera pagĂČ con la carta di credito due caffĂš e un succo di mirti...