Il suo freddo pianto
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Il suo freddo pianto

Un caso per Manrico Spinori

Giancarlo De Cataldo

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  1. 232 Seiten
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Il suo freddo pianto

Un caso per Manrico Spinori

Giancarlo De Cataldo

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Sembra un periodo abbastanza tranquillo per il Pm romano Manrico Spinori della Rocca, detto «il contino». A parte gestire una complicata vita sentimentale e tenere a bada la madre ludopatica, ha il tempo di dedicarsi con calma alla sua passione, la lirica. Ma all'improvviso un vecchio caso riemerge dal passato. E rischia di travolgerlo.Una frase buttata lí da un pentito, all'apparenza in modo casuale, produce un piccolo terremoto in procura. Perché a dar retta a er Farina - spacciatore con contatti importanti nella malavita organizzata - dieci anni prima il dottor Spinori non aveva fatto un buon lavoro occupandosi dell'assassinio di Veronica, escort transessuale d'alto bordo. Del delitto era stato accusato un uomo che, a causa dello scandalo, si era tolto la vita. Le prove erano schiaccianti, eppure, adesso, tutto torna in discussione. Un colpo al cuore per un magistrato attento come Manrico, che diventa ombroso e, nel generale scetticismo, riapre le indagini, scoprendo un intrigo di cui nessuno poteva sospettare. Questa volta, piú del solito, avrà bisogno della sua squadra, un affiatato gruppo di formidabili investigatrici che, per l'occasione, registra anche un nuovo ingresso.

«A Manrico era rimasta una ferita nella coscienza. Quel suicidio lo aveva segnato. Non aveva mai piú dimenticato che davanti a lui non c'erano soltanto sospetti, indagati, testimoni reticenti, potenziali delinquenti, in qualche caso veri assassini. C'erano innanzi tutto esseri umani. E ora spuntava er Farina».

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Information

III.

L’allarme era arrivato alla centrale operativa poco dopo le nove di una sera afosa di agosto. Telefonata anonima al 113, appartamento in zona Montesacro. Poche battute, voce maschile, alterata: «Fate presto, c’è una donna che sta male». Seguiva indirizzo. Incrociava in zona, di pattuglia, un equipaggio della Mobile – sovrintendente Luberti Sergio, agente scelto Pampinella Riccardo – che si era rapidamente portato in loco. La porta era chiusa. Gli operanti avevano forzato senza fatica la vecchia serratura. E cosí «avevano rinvenuto», come si leggeva nell’informativa della polizia giudiziaria, il cadavere di Lo Moro Francesco, di anni trentasette. Mezz’ora dopo Manrico, di turno quella sera, era là. Ricordava il caldo asfissiante di fine agosto, la febbricola di Alex ancora bambino che era in montagna insieme alla madre, madre con cui si era accesa, via telefono, l’ennesima discussione destinata a concludersi in freddi saluti, e ricordava il senso amaro della disfatta che gli pulsava fra il petto e la bocca dello stomaco. Del resto, quella era la stagione degli ultimi tentativi di raddrizzare il rapporto ormai agonizzante con Adelaide: di lí a poco si sarebbero lasciati. E col tempo sarebbero persino diventati amici, cosa che non erano mai stati quando vivevano sotto lo stesso tetto. La telefonata del sovrintendente Luberti era arrivata quasi come una liberazione. Aveva convocato Scognamiglio, e il fedele, inseparabile maresciallo che gli aveva fatto da maestro, mentore, quasi da padre nei primi passi della carriera, era passato a prenderlo con la Golf nera d’annata, l’unica civetteria che si fosse mai concesso nella sua vita austera di ironico servitore dello Stato. Ricordava benissimo anche il luogo del delitto. Un appartamento di tre stanze. L’ingresso. Un soggiorno con un divanetto nero, di fronte a una porta-finestra che dava su un terrazzino con gelsomini rampicanti e qualche pianta grassa (prima di accorgersi del tavolino rovesciato, dei mozziconi e della cenere sparsa sul parquet, del posacenere dall’angolo scheggiato, della macchia di sangue non ancora rappreso, Manrico aveva pensato che gli uni e le altre – il rampicante e le piante – avrebbero necessitato di maggiori attenzioni). Tutto lasciava intendere che «il fatto» fosse avvenuto in quell’ambiente. Su una mensola, una piccola Handycam.
– Forse la usavano per filmare i giochini, – era stata l’osservazione di Scognamiglio.
Proseguendo nell’esplorazione, un piccolo studiolo con una biblioteca essenziale di titoli alla moda, L’eleganza del riccio, Il cacciatore di aquiloni, È facile smettere di fumare se sai come farlo, un bagno con una vasca di notevoli dimensioni, pulitissimo, una camera da letto dalle pareti rosa con un grande specchio ovale dalla cornice dorata e un imponente letto tondo. Lí, sulle lenzuola di raso nero, Lo Moro Francesco. Un ricamo bizzarro di sangue che dall’orecchio sinistro si disperdeva verso le labbra semichiuse, le palpebre calate con tracce di ombretto, le braccia distese accanto al lungo corpo, la camicetta color cremisi abbottonata, gli slip neri e le calze autoreggenti velate, cosí incongrue per quel fondo d’estate.
Una bellezza fuori dall’ordinario. Un corpo perfetto e intatto. Nulla che denunciasse la sua precedente identità.
Lo Moro Francesco da Rodi Garganico.
In arte, Veronica.
Escort transessuale.
T-girl.
Il sovrintendente Luberti aveva fatto qualche ricerca in rete, subito dopo aver scoperto il corpo. L’agente scelto Pampinella s’era poi ricordato di aver letto da qualche parte un’intervista con «quer frocio». Manrico aveva avvertito un fastidio per l’epiteto offensivo, ma in quel momento era il dolore il sentimento che prevaleva in lui. Gli accadeva sempre, davanti allo spettacolo della morte. Di provare tristezza, e insieme indignazione, e poi un moto di rabbia, e infine una pietà da scardinare il cuore. E su tutto, su tutto, c’era la volontà di raccogliere la sfida. Chi sei? Perché lo hai fatto? Io lo scoprirò, io darò un volto e un nome alla tua… a quella che si usa definire «la causa» del delitto. Calcolo, improvvisazione, ferita esistenziale, deficit etico, spesso necessità, di rado crudeltà. A volte, semplicemente, il caso.
Mentre Scognamiglio si faceva raccontare i dettagli dai due poliziotti, Manrico telefonava al professor Gatteschi, il medico legale, e al Racis, il reparto di investigazioni scientifiche dei carabinieri, perché inviassero con sollecitudine una squadretta per i rilievi. Nell’attesa, per non inquinare la scena del crimine, non c’era niente da fare, se non esercitare il pensiero. Manrico aveva una ferma convinzione: non esiste situazione umana, incluso il delitto, che non sia stata raccontata da un’opera lirica. Per risolvere un caso, si tratta d’individuare l’opera di riferimento. Quella scena parlava di passione? L’ambiente trasudava sesso, ma sesso mercenario. Che con la passione c’entra poco e niente. Non ci voleva un genio per capire che doveva esserci stata una colluttazione, le tracce di sangue nel piccolo soggiorno, il tavolino rovesciato, disegnavano una dinamica piuttosto convincente. Veronica era in slip. Aspettava un cliente? Era scoppiata, improvvisa, una lite? Però lei era sul letto. Composta. Gli occhi chiusi. Un gesto di pietà? O il cliente in preda al panico era fuggito lasciandola svenuta, lei si era rialzata, trascinata sul letto e lí… impossibile. Quel corpo ricomposto deponeva per un ordine artificioso, non esprimeva la disarticolazione del furore. E poi Veronica avrebbe chiamato soccorso. Urlato. Bisognava sentire i vicini, farlo rapidamente. Se n’erano incaricati Scognamiglio e i due della Volante. L’allarme era stato dato al 113 da un anonimo. Il cliente fuggitivo? Verosimile. A interrompere il flusso dei pensieri, l’arrivo di Gatteschi e delle tute bianche del Racis. Manrico si era fatto da parte. Non che il pensiero avesse partorito gran risultati. Percepiva una nota stonata, ma non riusciva a darle consistenza. Nessuna opera gli ronzava per la testa. Si era affacciato dal piccolo terrazzo. Il gelsomino era rinsecchito. Le piante spinose, ostili.
– Dottore, – lo aveva ridestato Scognamiglio.
– Scoperto qualcosa?
– In questo palazzo ci sono cinque piani. Tre sono occupati da studi professionali, due avvocati, una società di prestiti, un dentista e un oftalmologo. Naturalmente tutti deserti. A piano terra ci sta il portiere, ma non dorme qua, e data l’ora è assente. Qua ci stava ’o muorto…
– Magari lei preferiva il femminile, Scognami’.
A onta della drammaticità del contesto, il vecchio maresciallo aveva trovato la forza per sottolineare con un sorrisetto il vezzo linguistico di Manrico.
– Come vulite vuie, ’a morta… unica presenza umana un’anziana signora al piano qua sotto. Dice che… Veronica era una persona discreta; lei, la vecchia, pensava che facesse l’indossatrice, o il cinema, qualcosa di simile… non doveva esserci un grande traffico di uomini, senno’ si sarebbe insospettita… ma comunque dice che verso le venti ha sentito che la signora… lei la chiama «la signora», proprio come voi, dottore… la signora litigava con qualcuno. Un uomo. Poi piú niente… ah, no, aspetti: passi per le scale e altre voci. Ma siccome ’ste voci sarebbero ’na mezz’ora dopo i passi per le scale…
– Saranno stati i nostri amici della Volante.
– Poco ma sicuro. Insomma, questo è tutto quello che abbiamo, al momento. Poi dobbiamo trovare il telefonino della morta, le solite cose…
– Analizzare la videocamera.
– Chiaro.
– Non sarà facile, Scognamiglio.
– Lo penso anch’io, dotto’…
Si sbagliavano.
L’omicidio di Montesacro si sarebbe rivelato uno dei casi piú facili della carriera di Manrico.
Una settimana dopo era praticamente risolto.
Il colpevole assicurato alla giustizia.
Scognamiglio aveva chiesto consulenza ai «puttanieri». Con notevole indignazione di Manrico, il maresciallo definiva all’antica la squadra specializzata in Prostituzione e Reati di criminalità extracomunitaria diffusa: dizione, a suo dire, piú razzista della vecchia «buoncostume», alla quale era rimasto nostalgicamente affezionato.
– Ma che mi significa ’sta criminalità extracomunitaria diffusa? Che tutte ’e zoccole vengono da fuori? E Veronica, allora?
Veronica era emigrata a Roma per cercare fortuna nel mondo dello spettacolo. Dopo qualche esperienza di casting in produzioni di secondo rango, era rapidamente salita di livello, coltivando un ristretto giro di amicizie facoltose. Una escort di alto bordo che non si concedeva a tutti. Offriva piú che altro un servizio Gfe, girlfriend experience. La fidanzatina della porta accanto, insomma, quella da presentare a mamma e papà.
– A fidanzatina co’ tant’e capitone miezz’a ’e cosce! – aveva commentato Scognamiglio.
– La prego, Scognamiglio!
– Dotto’, e mica è colpa mia se sono nato ai Quartieri. Là il femminiello è un’istituzione. Mi conoscete troppo bene per non sapere che quando dico certe cose le dico con rispetto.
Scognamiglio aveva ragione. La sua ironia era in fondo benevola. Manrico però avvertiva un crescente disagio. Si trattava di scoprire chi erano i privilegiati «fidanzati». In casa non avevano trovato né un’agenda né un telefono. La prima, magari, era un supporto che stava passando di moda, travolta dal digitale. Il secondo se l’era di sicuro portato via l’assassino. Quanto alla Handycam, mancava la scheda di memoria. Anche quella se l’era portata via l’assassino? Conteneva forse immagini compromettenti? Era quasi certo. E allora potevano mettersi l’anima in pace. Non l’avrebbero mai trovata. Per il telefono, però, si poteva risolvere. Veronica aveva stipulato un regolare contratto con il gestore usando il suo vero nome, perciò, grazie a ULYSSE, il programma ministeriale, non era stato difficile rintracciare il numero e chiedere i tabulati, che nel giro di ventiquattr’ore sarebbero stati sulla scrivania di Manrico. A svilupparli ci avrebbe pensato lo stesso Scognamiglio, e a ogni buon conto Manrico aveva richiesto anche la geolocalizzazione delle due celle piú prossime al luogo del delitto. In questo caso ci sarebbe voluto un po’ piú di tempo, però avrebbero potuto risalire all’identità di tutti quelli che avevano usato un cellulare nelle vicinanze della scena del delitto e in orario prossimo alla commissione dello stesso. Decisiva, comunque, si sarebbe rivelata la dritta fornita dai cuginetti della Buoncostume, che per il tosto, ma in fondo al cuore dolcissimo, maresciallo provavano una certa stima.
– Veronica aveva un’amica del cuore, una certa Betty.
Piú volte segnalata, raggiunta da svariati fogli di via, Betty si chiamava in realtà Sebastião Marangoni dos Santos, da San Paolo del Brasile; prima di diventare sophisticated lady, Veronica aveva battuto in zona Parco della Musica insieme a lei. Manrico e Scognamiglio l’avevano presa a verbale a metà mattinata del giorno successivo all’omicidio. Dimorava in un sottoscala squallido in un condominio mediocre sulla via Cassia. All’inizio si era mostrata chiusa, diffidente: conosceva Veronica solo superficialmente, non si frequentavano da tempo.
– Non siamo dell’immigrazione, Betty.
Infine aveva ceduto, conquistata dal tono gentile del magistrato.
– Aqui siamo seis sorelline, – aveva spiegato, nel suo italiano irrimediabilmente approssimativo.
Le «sorelline» popolavano, avrebbe poi appurato Scognamiglio, interi caseggiati della zona: le trans andavano forte a Roma, in quegli anni. Se Veronica era stata un’autentica bellezza – alta, biondissima, occhioni azzurri, nasino capriccioso, ovale delicato – Betty appena sveglia era una creatura a metà del guado, come denunciavano certe tumefazioni del volto, la voce cupa con improvvisi acuti gracidanti, le borse sotto gli occhi. L’agitazione che ogni tanto la scuoteva, e il tono strascicato di certe risposte, indicavano la probabile assunzione di sostanze. Forse perché aveva colto un certo gioco di sguardi fra il magistrato e il carabiniere, forse perché cosí le suggeriva l’intuito di una vita sulla strada, quando furono tutti e tre seduti intorno a un tavolo zoppicante, era stata lei stessa a introdurre l’argomento «roba».
– Io ogni tanti mi faccio, ma Veronica no, lei era pulita.
In effetti, la minuziosa perquisizione della notte precedente non aveva portato alla luce nessuna polvere bianca. E l’autopsia avrebbe confermato l’estraneità della vittima a certe sostanze. Manrico aveva rassicurato la brasiliana. Avevano solo bisogno del suo aiuto per capire. Capire chi era stata Veronica e perché avesse fatto quella fine.
– Veronica era amiga. Era un angelo, o meu angelo!
Si erano conosciute battendo. Erano entrate in confidenza parlando dei loro sogni, degli uomini brutti e di quelli buoni che incontravano, dei paesi dai quali entrambe provenivano: da un villaggio a un’ora da San Paolo lei, dal profondo della Puglia Veronica, che aveva ancora i genitori ma non li sentiva mai, perché si vergognavano.
– Ma quando lei mandava soldi allora loro prendevano, non piú vergogna, allora brava fija, no?
Una sera Veronica era stata caricata da un regista de...

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