Lâallarme era arrivato alla centrale operativa poco dopo le nove di una sera afosa di agosto. Telefonata anonima al 113, appartamento in zona Montesacro. Poche battute, voce maschile, alterata: «Fate presto, câĂš una donna che sta male». Seguiva indirizzo. Incrociava in zona, di pattuglia, un equipaggio della Mobile â sovrintendente Luberti Sergio, agente scelto Pampinella Riccardo â che si era rapidamente portato in loco. La porta era chiusa. Gli operanti avevano forzato senza fatica la vecchia serratura. E cosà «avevano rinvenuto», come si leggeva nellâinformativa della polizia giudiziaria, il cadavere di Lo Moro Francesco, di anni trentasette. Mezzâora dopo Manrico, di turno quella sera, era lĂ . Ricordava il caldo asfissiante di fine agosto, la febbricola di Alex ancora bambino che era in montagna insieme alla madre, madre con cui si era accesa, via telefono, lâennesima discussione destinata a concludersi in freddi saluti, e ricordava il senso amaro della disfatta che gli pulsava fra il petto e la bocca dello stomaco. Del resto, quella era la stagione degli ultimi tentativi di raddrizzare il rapporto ormai agonizzante con Adelaide: di lĂ a poco si sarebbero lasciati. E col tempo sarebbero persino diventati amici, cosa che non erano mai stati quando vivevano sotto lo stesso tetto. La telefonata del sovrintendente Luberti era arrivata quasi come una liberazione. Aveva convocato Scognamiglio, e il fedele, inseparabile maresciallo che gli aveva fatto da maestro, mentore, quasi da padre nei primi passi della carriera, era passato a prenderlo con la Golf nera dâannata, lâunica civetteria che si fosse mai concesso nella sua vita austera di ironico servitore dello Stato. Ricordava benissimo anche il luogo del delitto. Un appartamento di tre stanze. Lâingresso. Un soggiorno con un divanetto nero, di fronte a una porta-finestra che dava su un terrazzino con gelsomini rampicanti e qualche pianta grassa (prima di accorgersi del tavolino rovesciato, dei mozziconi e della cenere sparsa sul parquet, del posacenere dallâangolo scheggiato, della macchia di sangue non ancora rappreso, Manrico aveva pensato che gli uni e le altre â il rampicante e le piante â avrebbero necessitato di maggiori attenzioni). Tutto lasciava intendere che «il fatto» fosse avvenuto in quellâambiente. Su una mensola, una piccola Handycam.
â Forse la usavano per filmare i giochini, â era stata lâosservazione di Scognamiglio.
Proseguendo nellâesplorazione, un piccolo studiolo con una biblioteca essenziale di titoli alla moda, Lâeleganza del riccio, Il cacciatore di aquiloni, Ă facile smettere di fumare se sai come farlo, un bagno con una vasca di notevoli dimensioni, pulitissimo, una camera da letto dalle pareti rosa con un grande specchio ovale dalla cornice dorata e un imponente letto tondo. LĂ, sulle lenzuola di raso nero, Lo Moro Francesco. Un ricamo bizzarro di sangue che dallâorecchio sinistro si disperdeva verso le labbra semichiuse, le palpebre calate con tracce di ombretto, le braccia distese accanto al lungo corpo, la camicetta color cremisi abbottonata, gli slip neri e le calze autoreggenti velate, cosĂ incongrue per quel fondo dâestate.
Una bellezza fuori dallâordinario. Un corpo perfetto e intatto. Nulla che denunciasse la sua precedente identitĂ .
Lo Moro Francesco da Rodi Garganico.
In arte, Veronica.
Escort transessuale.
T-girl.
Il sovrintendente Luberti aveva fatto qualche ricerca in rete, subito dopo aver scoperto il corpo. Lâagente scelto Pampinella sâera poi ricordato di aver letto da qualche parte unâintervista con «quer frocio». Manrico aveva avvertito un fastidio per lâepiteto offensivo, ma in quel momento era il dolore il sentimento che prevaleva in lui. Gli accadeva sempre, davanti allo spettacolo della morte. Di provare tristezza, e insieme indignazione, e poi un moto di rabbia, e infine una pietĂ da scardinare il cuore. E su tutto, su tutto, câera la volontĂ di raccogliere la sfida. Chi sei? PerchĂ© lo hai fatto? Io lo scoprirĂČ, io darĂČ un volto e un nome alla tua⊠a quella che si usa definire «la causa» del delitto. Calcolo, improvvisazione, ferita esistenziale, deficit etico, spesso necessitĂ , di rado crudeltĂ . A volte, semplicemente, il caso.
Mentre Scognamiglio si faceva raccontare i dettagli dai due poliziotti, Manrico telefonava al professor Gatteschi, il medico legale, e al Racis, il reparto di investigazioni scientifiche dei carabinieri, perchĂ© inviassero con sollecitudine una squadretta per i rilievi. Nellâattesa, per non inquinare la scena del crimine, non câera niente da fare, se non esercitare il pensiero. Manrico aveva una ferma convinzione: non esiste situazione umana, incluso il delitto, che non sia stata raccontata da unâopera lirica. Per risolvere un caso, si tratta dâindividuare lâopera di riferimento. Quella scena parlava di passione? Lâambiente trasudava sesso, ma sesso mercenario. Che con la passione câentra poco e niente. Non ci voleva un genio per capire che doveva esserci stata una colluttazione, le tracce di sangue nel piccolo soggiorno, il tavolino rovesciato, disegnavano una dinamica piuttosto convincente. Veronica era in slip. Aspettava un cliente? Era scoppiata, improvvisa, una lite? PerĂČ lei era sul letto. Composta. Gli occhi chiusi. Un gesto di pietĂ ? O il cliente in preda al panico era fuggito lasciandola svenuta, lei si era rialzata, trascinata sul letto e lĂ⊠impossibile. Quel corpo ricomposto deponeva per un ordine artificioso, non esprimeva la disarticolazione del furore. E poi Veronica avrebbe chiamato soccorso. Urlato. Bisognava sentire i vicini, farlo rapidamente. Se nâerano incaricati Scognamiglio e i due della Volante. Lâallarme era stato dato al 113 da un anonimo. Il cliente fuggitivo? Verosimile. A interrompere il flusso dei pensieri, lâarrivo di Gatteschi e delle tute bianche del Racis. Manrico si era fatto da parte. Non che il pensiero avesse partorito gran risultati. Percepiva una nota stonata, ma non riusciva a darle consistenza. Nessuna opera gli ronzava per la testa. Si era affacciato dal piccolo terrazzo. Il gelsomino era rinsecchito. Le piante spinose, ostili.
â Dottore, â lo aveva ridestato Scognamiglio.
â Scoperto qualcosa?
â In questo palazzo ci sono cinque piani. Tre sono occupati da studi professionali, due avvocati, una societĂ di prestiti, un dentista e un oftalmologo. Naturalmente tutti deserti. A piano terra ci sta il portiere, ma non dorme qua, e data lâora Ăš assente. Qua ci stava âo muortoâŠ
â Magari lei preferiva il femminile, Scognamiâ.
A onta della drammaticitĂ del contesto, il vecchio maresciallo aveva trovato la forza per sottolineare con un sorrisetto il vezzo linguistico di Manrico.
â Come vulite vuie, âa morta⊠unica presenza umana unâanziana signora al piano qua sotto. Dice che⊠Veronica era una persona discreta; lei, la vecchia, pensava che facesse lâindossatrice, o il cinema, qualcosa di simile⊠non doveva esserci un grande traffico di uomini, sennoâ si sarebbe insospettita⊠ma comunque dice che verso le venti ha sentito che la signora⊠lei la chiama «la signora», proprio come voi, dottore⊠la signora litigava con qualcuno. Un uomo. Poi piĂș niente⊠ah, no, aspetti: passi per le scale e altre voci. Ma siccome âste voci sarebbero âna mezzâora dopo i passi per le scaleâŠ
â Saranno stati i nostri amici della Volante.
â Poco ma sicuro. Insomma, questo Ăš tutto quello che abbiamo, al momento. Poi dobbiamo trovare il telefonino della morta, le solite coseâŠ
â Analizzare la videocamera.
â Chiaro.
â Non sarĂ facile, Scognamiglio.
â Lo penso anchâio, dottoââŠ
Si sbagliavano.
Lâomicidio di Montesacro si sarebbe rivelato uno dei casi piĂș facili della carriera di Manrico.
Una settimana dopo era praticamente risolto.
Il colpevole assicurato alla giustizia.
Scognamiglio aveva chiesto consulenza ai «puttanieri». Con notevole indignazione di Manrico, il maresciallo definiva allâantica la squadra specializzata in Prostituzione e Reati di criminalitĂ extracomunitaria diffusa: dizione, a suo dire, piĂș razzista della vecchia «buoncostume», alla quale era rimasto nostalgicamente affezionato.
â Ma che mi significa âsta criminalitĂ extracomunitaria diffusa? Che tutte âe zoccole vengono da fuori? E Veronica, allora?
Veronica era emigrata a Roma per cercare fortuna nel mondo dello spettacolo. Dopo qualche esperienza di casting in produzioni di secondo rango, era rapidamente salita di livello, coltivando un ristretto giro di amicizie facoltose. Una escort di alto bordo che non si concedeva a tutti. Offriva piĂș che altro un servizio Gfe, girlfriend experience. La fidanzatina della porta accanto, insomma, quella da presentare a mamma e papĂ .
â A fidanzatina coâ tantâe capitone miezzâa âe cosce! â aveva commentato Scognamiglio.
â La prego, Scognamiglio!
â Dottoâ, e mica Ăš colpa mia se sono nato ai Quartieri. LĂ il femminiello Ăš unâistituzione. Mi conoscete troppo bene per non sapere che quando dico certe cose le dico con rispetto.
Scognamiglio aveva ragione. La sua ironia era in fondo benevola. Manrico perĂČ avvertiva un crescente disagio. Si trattava di scoprire chi erano i privilegiati «fidanzati». In casa non avevano trovato nĂ© unâagenda nĂ© un telefono. La prima, magari, era un supporto che stava passando di moda, travolta dal digitale. Il secondo se lâera di sicuro portato via lâassassino. Quanto alla Handycam, mancava la scheda di memoria. Anche quella se lâera portata via lâassassino? Conteneva forse immagini compromettenti? Era quasi certo. E allora potevano mettersi lâanima in pace. Non lâavrebbero mai trovata. Per il telefono, perĂČ, si poteva risolvere. Veronica aveva stipulato un regolare contratto con il gestore usando il suo vero nome, perciĂČ, grazie a ULYSSE, il programma ministeriale, non era stato difficile rintracciare il numero e chiedere i tabulati, che nel giro di ventiquattrâore sarebbero stati sulla scrivania di Manrico. A svilupparli ci avrebbe pensato lo stesso Scognamiglio, e a ogni buon conto Manrico aveva richiesto anche la geolocalizzazione delle due celle piĂș prossime al luogo del delitto. In questo caso ci sarebbe voluto un poâ piĂș di tempo, perĂČ avrebbero potuto risalire allâidentitĂ di tutti quelli che avevano usato un cellulare nelle vicinanze della scena del delitto e in orario prossimo alla commissione dello stesso. Decisiva, comunque, si sarebbe rivelata la dritta fornita dai cuginetti della Buoncostume, che per il tosto, ma in fondo al cuore dolcissimo, maresciallo provavano una certa stima.
â Veronica aveva unâamica del cuore, una certa Betty.
PiĂș volte segnalata, raggiunta da svariati fogli di via, Betty si chiamava in realtĂ SebastiĂŁo Marangoni dos Santos, da San Paolo del Brasile; prima di diventare sophisticated lady, Veronica aveva battuto in zona Parco della Musica insieme a lei. Manrico e Scognamiglio lâavevano presa a verbale a metĂ mattinata del giorno successivo allâomicidio. Dimorava in un sottoscala squallido in un condominio mediocre sulla via Cassia. Allâinizio si era mostrata chiusa, diffidente: conosceva Veronica solo superficialmente, non si frequentavano da tempo.
â Non siamo dellâimmigrazione, Betty.
Infine aveva ceduto, conquistata dal tono gentile del magistrato.
â Aqui siamo seis sorelline, â aveva spiegato, nel suo italiano irrimediabilmente approssimativo.
Le «sorelline» popolavano, avrebbe poi appurato Scognamiglio, interi caseggiati della zona: le trans andavano forte a Roma, in quegli anni. Se Veronica era stata unâautentica bellezza â alta, biondissima, occhioni azzurri, nasino capriccioso, ovale delicato â Betty appena sveglia era una creatura a metĂ del guado, come denunciavano certe tumefazioni del volto, la voce cupa con improvvisi acuti gracidanti, le borse sotto gli occhi. Lâagitazione che ogni tanto la scuoteva, e il tono strascicato di certe risposte, indicavano la probabile assunzione di sostanze. Forse perchĂ© aveva colto un certo gioco di sguardi fra il magistrato e il carabiniere, forse perchĂ© cosĂ le suggeriva lâintuito di una vita sulla strada, quando furono tutti e tre seduti intorno a un tavolo zoppicante, era stata lei stessa a introdurre lâargomento «roba».
â Io ogni tanti mi faccio, ma Veronica no, lei era pulita.
In effetti, la minuziosa perquisizione della notte precedente non aveva portato alla luce nessuna polvere bianca. E lâautopsia avrebbe confermato lâestraneitĂ della vittima a certe sostanze. Manrico aveva rassicurato la brasiliana. Avevano solo bisogno del suo aiuto per capire. Capire chi era stata Veronica e perchĂ© avesse fatto quella fine.
â Veronica era amiga. Era un angelo, o meu angelo!
Si erano conosciute battendo. Erano entrate in confidenza parlando dei loro sogni, degli uomini brutti e di quelli buoni che incontravano, dei paesi dai quali entrambe provenivano: da un villaggio a unâora da San Paolo lei, dal profondo della Puglia Veronica, che aveva ancora i genitori ma non li sentiva mai, perchĂ© si vergognavano.
â Ma quando lei mandava soldi allora loro prendevano, non piĂș vergogna, allora brava fija, no?
Una sera Veronica era stata caricata da un regista de...