Una lettera per Sara (Nero Rizzoli)
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Una lettera per Sara (Nero Rizzoli)

Maurizio de Giovanni

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Una lettera per Sara (Nero Rizzoli)

Maurizio de Giovanni

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NERO RIZZOLI È LA NUOVA BUSSOLA DEL NOIR FIRMATA RIZZOLI. Mentre una timida primavera si affaccia sulla città, i fantasmi del passato tornano a regolare conti rimasti in sospeso, come colpi di coda di un inverno ostinato. Che aprile sia il più crudele dei mesi, l'ispettore Davide Pardo, a cui non ne va bene una, lo scopre una mattina al bancone del solito bar, trovandosi davanti il vicecommissario Angelo Fusco. Afflitto e fiaccato nel fisico, il vecchio superiore di Davide assomiglia proprio a uno spettro. È riapparso dall'ombra di giorni lontani perché vuole un favore. Antonino Lombardo, un detenuto che sta morendo, ha chiesto di incontrarlo e lui deve ottenere un colloquio. La procedura non è per niente ortodossa, il rito del caffè delle undici è andato in malora: così ci sono tutti gli estremi per tergiversare. E infatti Pardo esita. Esita, sbaglia, e succede un disastro. Per riparare al danno, il poliziotto si rivolge a Sara Morozzi, la donna invisibile che legge le labbra e interpreta il linguaggio del corpo, ex agente della più segreta unità dei Servizi. Dopo tanta sofferenza, nella vita di Sara è arrivata una stagione serena, ora che Viola, la compagna del figlio morto, le ha regalato un nipotino. Il nome di Lombardo, però, è il soffio di un vento gelido che colpisce a tradimento nel tepore di aprile, e lascia affiorare ricordi che sarebbe meglio dimenticare.In un viaggio a ritroso nel tempo, Maurizio de Giovanni dipana il filo dell'indagine più pericolosa, quella che scivola nei territori insidiosi della memoria collettiva e criminale di un intero Paese, per sciogliere il mistero di chi crediamo d'essere, e scoprire chi siamo davvero. Le indagini di Sara sono:
Sara al tramonto
Le parole di Sara
Una lettera per Sara
Gli occhi di Sara

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Information

L

A Sara le ultime parole di Lombardo, riportate dalla voce pacata di Pasquale Esposito, erano sembrate una lettera. Una lettera indirizzata a lei.
Sapeva benissimo che Pardo e Viola ritenevano di essere arrivati al termine di quell’indagine su un caso di tanti anni prima, la cui memoria era stata alimentata dall’amore di un fratello disperato. Per lei, però, non era così.
Le rivelazioni di quegli ultimi giorni costringevano la donna invisibile a riconsiderare la propria vita e i valori sui quali l’aveva modellata. La passione per Massimiliano l’aveva spinta a compiere scelte pesanti, ad abbandonare figlio e marito senza voltarsi indietro, certa che quel sentimento fosse basato su una profonda conoscenza del suo compagno e sulla complicità che per venticinque anni li aveva legati. A parte l’inevitabile segretezza che il suo lavoro di capo dell’unità comportava, Sara non aveva mai dubitato che con lei Massi fosse un libro aperto, per l’incondizionata sincerità su cui avevano impostato la loro relazione. Metterla in discussione ora incrinava ogni sicurezza, facendola precipitare nelle finzioni e nella menzogna contro cui aveva sempre combattuto.
Gisella Maddalena aveva accennato ai rapporti tra il marito e alcuni esponenti degli apparati d’intelligence con cui Virgilio aveva collaborato. Nelle ammissioni di Lombardo, raccolte dall’infermiere, era menzionato un amico del magistrato, che aveva contribuito a insabbiare l’inchiesta sulla morte di Ada. Davanti a quelle evidenze, Sara era stata percorsa da un lungo brivido, mentre si era affacciata in lei la sinistra sensazione di conoscere l’identità del misterioso agente dei Servizi legato a Virgilio Maddalena; quel sospetto giustificava anche l’assenza di incartamenti su Lombardo e sul magistrato nell’archivio nascosto in cantina, e la mancanza dei corrispondenti file nel database dell’unità.
Ora le serviva un’ultima conferma per collegare i puntini e dare sostanza alla verità. Sola una persona poteva aiutarla. L’unica al corrente di tutto.
Sara citofonò e attese. La sera di aprile stava smussando i contorni della strada e i lampioni si accendevano uno dopo l’altro.
«Chi è?» domandò la voce perplessa di Andrea Catapano attraverso il microfono.
Lei rispose. Ci fu un attimo di silenzio, poi l’indicazione del piano e lo scatto del citofono.
La porta dell’appartamento si aprì non appena Sara fu sul pianerottolo. Già. Andrea percepiva ogni fruscìo.
«Ciao, Mora» la salutò Catapano. «Ti aspettavo. Vieni, entra.»
La mano di colui che era stato il luogotenente di Massimiliano Tamburi raggiunse senza esitazioni l’interruttore della luce, che illuminò di colpo un ambiente concepito secondo una logica funzionale alle esigenze di un uomo immerso nelle tenebre.
Andrea si mosse sicuro aggirando mobili e ostacoli come se li vedesse, precedendola in un soggiorno pulitissimo, dall’arredamento elegante. Il cieco si accomodò su una poltrona in pelle verde scuro, gemella di un’altra che indicò alla donna.
Prima di sedersi, Sara osservò con curiosità il mobile che occupava un’intera parete della stanza: i ripiani erano ingombri di astucci di una decina di centimetri circa.
Come se avesse intercettato l’occhiata della donna, Andrea commentò:
«Sono i miei quaderni di appunti. Registrazioni di voci antiche. Li ascolto per ricordare ed essere certo di non aver sognato tutto. Ci sei anche tu, sai?». Si allungò di lato e premette un tasto del vecchio registratore che troneggiava sul tavolino al suo fianco. Dalle casse nascoste esplose, cristallina, la risata di una giovane Teresa:
«Quindi, dalla postura e dai gesti, hai intuito che il tizio non è innamorato della moglie, ma è anche omosessuale, e ha una relazione col tipo che sta pranzando da solo di fronte a lui?».
La voce di Sara risuonò, tranquilla e ferma come sempre, anche se increspata da una punta di insolito divertimento:
«Certo, e ti spiego perché. Le spalle, un po’ inclinate verso sinistra. Il modo in cui si è sistemato i capelli appena ha visto il tipo. Il mezzo sorriso dell’altro, e lui che subito distoglie lo sguardo. Non è evidente? Adesso stai attenta: mentre si asciuga la bocca col tovagliolo, il tipo gli manda un bacio. Hai notato?».
Andrea si complimentò da quel lontano passato:
«Pazzesco, Mora. Sei un mostro».
Sara ebbe un sobbalzo quando udì le parole di un altro uomo:
«Ragazzi, basta giocare coi superpoteri, la ricreazione è finita. Concentriamoci sulla parte della sala dove stanno mangiando i soggetti che ci interessano. Di che stanno conversando l’individuo uno e due?».
Andrea spense il registratore, riportando entrambi al presente.
Sara mormorò:
«Era il 1994, impossibile dimenticare. Seguivamo la pista delle possibili connessioni tra palestinesi e americani a proposito dei sette morti sul mercantile. Ne venimmo a capo, anche allora».
Il cieco annuì, con un lieve sorriso. «Non c’era niente di male ad allentare la tensione. Eravamo ancora giovani, e trascorrevamo tutto il nostro tempo insieme.»
Di colpo Sarà tagliò corto:
«Quindi non sei sorpreso della mia visita, Andrea. Perché?».
«Sei intelligente, Mora. Intelligente e testarda. La gente come te non esita di fronte al proprio dolore, e nemmeno davanti a quello degli altri. La gente come te arriva in fondo.»
«E in fondo c’eri tu, che mi aspettavi.»
Catapano era impassibile. Aveva il capo inclinato verso il basso, ed era concentrato nello sforzo di decodificare una sfumatura che gli sfuggiva nell’intonazione della donna. «No, la strada l’hai percorsa da sola. Hai capito chi era Antonino Lombardo, e hai anche scoperto di Virgilio Maddalena, altrimenti non li avresti collegati tra loro e ti saresti risparmiata di venire qui.»
Sara per una volta si spazientì:
«Insieme ne abbiamo passate tante, Andrea. Non c’è bisogno di esibire le nostre capacità. Diamole per scontate, va bene?».
Il cieco sorrise, come alla fine di una barzelletta:
«D’accordo. Se mi conosci davvero, però, dovresti immaginare che se ho taciuto, qualche giorno fa, non parlerò certo ora, ammesso e non concesso che io nasconda un segreto. Ti pare?».
La donna invisibile aveva previsto quell’obiezione e aveva ragionato tutta la notte sulla risposta da dare:
«Tu volevi bene a Massimiliano, eri il suo migliore amico, forse l’unico, almeno così ti ha sempre considerato. Vuoi che la sua compagna, che gli è stata a fianco per venticinque anni e lo ha stretto tra le braccia mentre moriva, lo ricordi come un vigliacco? Uno capace di coprire l’assassinio di una ragazza innocente, in combutta con un magistrato corrotto e un cancelliere di tribunale a libro paga di un clan, per evitare l’ergastolo al figlio di un boss della droga?».
Andrea raddrizzò la schiena, quasi fosse un sacerdote al cui cospetto una suora avesse pronunciato una bestemmia. Restò in silenzio a lungo, sforzandosi di trattenere l’ira. Poi disse:
«Non puoi essere convinta di questo. Certo, gli elementi che hai in mano lasciano supporre un’infamia del genere, ma non…».
Sara si alzò. «Va bene, Andrea. Grazie lo stesso, me ne vado.»
Il cieco sollevò una mano di scatto. «No, maledizione. Tu non vai da nessuna parte. Non con quest’idea in testa. Te lo proibisco.»
Con lentezza, Sara tornò a sedersi. «Allora dimostrami che non è così, Andrea. E io mi fiderò di te. Ma ti prego, non omettere niente, perché altrimenti dubiterò per sempre dell’amore e della vita che ho scelto.»
Andrea rimase immobile come una statua di cera, la mano ancora sollevata. Poi la abbassò e sul suo volto, ormai libero dalla cortina d’impenetrabilità, Sara lesse l’incertezza e il dissidio interiore.
Alla fine, Catapano parlò:
«Ho promesso di non dirti niente, Mora. L’ho promesso un giorno talmente lontano che adesso ignoro se quel giuramento sia ancora valido, e comunque la persona con la quale mi ero impegnato non c’è più. Se fosse ancora tra noi, lo persuaderei che tenerti all’oscuro è un errore, perché certi dubbi sono peggio di una verità dolorosa. E ti fanno soffrire nell’incertezza. La promessa mi fu estorta per impedire che tu lo giudicassi. Ma se ti lascio andare via così, per te sarà molto peggio. E lui non l’avrebbe voluto. Mai». Andrea sembrava rivolgersi più a se stesso che a Sara. «Perciò ora io non devo badare a quella promessa, ma allo scopo che aveva. Il tuo bene, Mora. Ed è per il tuo bene che adesso saprai.» Prese un bicchiere dal tavolino e bevve un sorso d’acqua. «Ti racconto una storia, così mi illudo di non venire meno ai miei obblighi. Ti racconto la storia di un ragazzo brillante che credeva nello Stato, ma che non aveva rinunciato ai suoi ideali politici. Riteneva che ci fossero molti modi per migliorare il Paese, e che uno di questi fosse agire dall’interno.»
«Che significa “dall’interno”?» domandò Sara, sforzandosi di cogliere il senso di quelle frasi.
Come se non l’avesse sentita, Andrea continuò:
«A quell’epoca, ai giovani di talento venivano offerte prospettive particolari. Venivano arruolati, messi alla prova in missioni difficili per valutarne la tempra e la fedeltà. Molti cedevano e rinunciavano, oppure sparivano nel nulla. Altri obbedivano senza chiedersi niente. Solo in pochi rimanevano coerenti con ciò in cui credevano davvero e continuavano a perseguire intenti diversi da quelli dell’istituzione alla quale appartenevano. Il ragazzo di cui parliamo era tra questi».
«Andrea, mi stai dicendo che…»
«Era tanto tempo fa, Mora. E quel giovane non era come quelli di oggi, che tirano tardi la notte in un bar con una bottiglia di birra in mano. Lui non tollerava le diseguaglianze, e desiderava la giustizia. Pur essendo la più promettente recluta del Servizio segreto militare, a un certo punto non resistette alla tentazione e commise un gravissimo errore.»
Sara ascoltava con il respiro corto. «Quale errore?» mormorò.
«Lo sbaglio di cui allora poteva macchiarsi uno che ricopriva quella posizione. Indicare una strada invece di un’altra. Era così abile e pronto, quel ragazzo. Ed era già l’uomo che sarebbe stato. Aveva le stesse qualità, la medesima acutezza. Così alterò la realtà. E un certo evento di cui erano responsabili alcuni fu attribuito ad altri. Di un colore diverso.»
«Ma ti stai riferendo a un atto terroristico? Che anno era?»
Catapano fece un gesto vago. «Questo non è importante. Quello che conta, invece, è che c’era un magistrato, anche lui giovane e in gamba, e anche lui operava all’interno delle istituzioni. Erano coetanei, condividevano gli stessi ideali ed erano legati da un’amicizia iniziata all’università, prima che imboccassero strade diverse. Per una casualità imponderabile, il magistrato era tra gli inquirenti che indagavano su quel fatto e, in una fotografia sgranata, riconobbe un volto. Era tenace, raccolse prove, effettuò riscontri, elaborò collegamenti. E alla fine ipotizzò un quadro attendibile.»
«Era Virgilio Maddalena. È così?»
Ancora una volta, Andrea la ignorò. «Il magistrato cercò il vecchio amico, e lo trovò. Si videro a cena, come due che non si incontrano da tanto. Ragionavano nella stessa maniera, quindi non fu difficile intendersi.»
«Di cosa parlarono?»
Catapano si strinse nelle spalle. «Chissà, se anche fossi stato presente, forse non lo avrei capito. Di certo il ragazzo dei Servizi sparì dall’inchiesta sull’attentato. Come se non fosse mai esistito.»
La sera aveva lasciato spazio alla notte. I lampioni erano tutti accesi, ma Andrea non poteva saperlo.
«Invece io c’ero anni dopo, quando il magistrato ricompariva dal nulla attraverso un tipo bruno, con gli occhi neri e il naso lungo, che si presentò dall’uomo che era stato un ragazzo di talento e aveva commesso un gravissimo errore. Lo venne a stanare in un posto che per i più nemmeno esisteva. E io ero lì.»
Sara ripensò al volto angosciato di Massi che si rivolgeva ad Antonino Lombardo. «C’ero anch’io, e non ho capito niente.»
«Quando tornò su dalla strada, l’uomo che un tempo aveva creduto di cambiare il Paese era sconvolto. Sentii chiudersi la porta del suo ufficio e intuii che era successo qualcosa d...

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