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L'incredibile viaggio delle piante
Stefano Mancuso
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L'incredibile viaggio delle piante
Stefano Mancuso
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Come le piante navigano intorno al mondo, come portano la vita su isole sterili, come sono state in grado di crescere in luoghi inaccessibili e inospitali, come riescono a viaggiare attraverso il tempo, come convincono gli animali a farsi trasportare ovunque. Sono solo alcune delle incredibili cose raccontate nelle storie che troverete in questo libro. Storie di pionieri, fuggitivi, reduci, combattenti, eremiti, signori del tempo.
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Information
Thema
SozialwissenschaftenThema
Popkultur01
Pionieri,
reduci e combattenti
| specie tipo Salice piangente âą dominio Eukaryota âą regno Plantae divisione Magnoliophyta âą classe Magnoliopsida âą ordine Salicales famiglia Salicaceae âą genere Salix âą specie Salix babilonica origine Cina âą diffusione Mondiale prima apparizione in Europa xvii secolo |
A me la parola âpioniereâ evoca lâepopea del West e gli avventurosi scenari dellâOvest americano. Credo sia cosĂŹ per molti. Qualcuno pronuncia la parola pioniere ed Ăš come se un interruttore si accendesse nella mia memoria, richiamando le facce di Gregory Peck, John Wayne, James Stewart, Eli Wallach, Richard Widmark, Lee Van Cleef, Henry Fonda, Debbie Reynolds e ovviamente Karl Malden, con il naso grosso e sfasciato, dellâincredibile cast di La conquista del West. Per me, pioniere vuol dire racconti di Salgari e film western, nientâaltro. Ad altri, non molti, ricorderĂ la specialitĂ dellâesercito che fin dallâantichitĂ si Ăš occupata di aprire le strade e preparare il passaggio per le truppe, ma soltanto pochissimi, forse nessuno, associeranno la parola pioniere alle piante.
Ă una grossa ingiustizia. Le piante dovrebbero essere la prima cosa che viene in mente quando si parla di pionieri, non le star hollywoodiane dei film western o il genio militare. Con buona pace degli eroi della nostra giovinezza, nessun altro gruppo di organismi Ăš paragonabile alle piante in termini di abilitĂ colonizzatrici. Ancora di piĂč se nel termine pioniere includiamo lâaccezione di organismi in grado di preparare la strada alla successiva colonizzazione di altri esseri viventi: in questo senso le piante dovrebbero essere considerate gli organismi pionieri per eccellenza. Non esiste ambiente terrestre in cui i vegetali (intesi ora nel senso piĂč ampio di organismi capaci di operare la fotosintesi) non siano in grado di attecchire, portando la vita. Dai ghiacci delle regioni polari ai piĂč infuocati deserti, dagli oceani alle vette piĂč alte, i vegetali hanno conquistato tutto, e continuano a farlo ogniqualvolta ce ne sia lâoccasione.
Sono sicuro che a molti di noi Ăš capitato di osservare â mi auguro con meraviglia â la capacitĂ che le piante hanno di ricoprire in breve tempo ogni tipo di terreno, conquistando nuovi territori o, piĂč spesso, riconquistandoli alla natura, lente ma inarrestabili. Anni fa, non lontano dal mio laboratorio presso il polo scientifico dellâuniversitĂ di Firenze, un ex deposito dellâesercito fu bruscamente evacuato, nellâambito di una delle ricorrenti riorganizzazioni delle nostre forze armate, e da un giorno allâaltro abbandonato a sĂ© stesso. La vicinanza di questa area al mio laboratorio ed il fatto che per tanti anni lâavessi studiata e osservata con concupiscenza, pensando che sarebbe potuta diventare una magnifica struttura dove studiare e sperimentare metodi innovativi di agricoltura urbana, mi hanno permesso di seguire con attenzione e in dettaglio lâavanzata delle piante. Per una volta, con rammarico (a lungo ho continuato a sperare che alla fine avrei potuto davvero farne un laboratorio), ho potuto vedere la velocitĂ , lâefficienza e in un certo senso le strategie che hanno riportato le piante a rivendicarne la proprietĂ . Due anni dopo lâabbandono, lâintera cinta muraria della caserma era ricoperta da oltre venti specie diverse: fra queste, capperi (Capparis spinosa), bocche di leone (Antirrhinum majus), molte parietarie (Parietaria judaica), alcune piccole felci (Asplenium ruta-muraria)1. Insomma, un piccolo orto botanico in esposizione verticale, con tante storie da raccontare.
Intanto, alla giunzione fra la base delle mura e la strada, fin dai primi mesi, una ricca vegetazione arborea si faceva poderosamente strada. Piante di ailanto (Ailanthus altissima) e paulonia (Paulownia tomentosa) â questâultime sicuramente provenienti dai semi di una paulonia piantata da me anni addietro e a cui sono molto affezionato, che domina lâintera area intorno al mio laboratorio â spuntarono per ogni dove, diventando in breve alberi poderosi e abbattendo porzioni significative della cinta perimetrale. Un fico (Ficus carica), germinato in una fessura nellâasfalto della strada, Ăš ora un magnifico albero che copre con la sua superficie una garitta ricavata nello spessore delle mura. E poi Ăš ovviamente arrivato il convolvolo (Convolvulus arvensis) a coprire un poâ tutto e la bardana maggiore (Arctium lappa), una autostoppista inarrestabile. Oggi, a quindici anni dallâabbandono del deposito militare, poche strutture resistono ancora allâassalto delle piante: un edificio di cemento armato, un piazzale apparentemente in grado di respingerne gli attacchi e, infine, unâenorme cisterna di metallo che, dopo essersi per anni tenacemente opposta alla conquista, ultimamente ha iniziato a mostrare le prime avvisaglie di una sua prossima resa. In poco tempo, le piante sono riuscite nellâintento di riconquistare unâarea che sembrava impermeabile alla vita. Un successo notevole, ma nulla se lo si paragona alle grandi epopee di conquista di cui sono state protagoniste.
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I pionieri dellâisola di Surtsey
Intorno allâinizio del mese di novembre del 1963, un centinaio di chilometri a sud dellâIslanda e a 130 metri di profonditĂ nellâOceano Atlantico settentrionale, unâeruzione iniziĂČ a liberare magma incandescente sul fondo marino. A quelle profonditĂ , la densitĂ e la pressione dovuta alla colonna dâacqua impediscono che le emissioni vulcaniche o una qualunque esplosione possano manifestarsi. Col passare dei giorni e con lâaccumulo dei materiali che innalzarono il livello del fondo dellâoceano, le attivitĂ vulcaniche si resero piĂč evidenti. Dal 6 allâ8 di novembre la stazione di rilevamento sismico di KirkjubĂŠjarklaustur, in Islanda (dove altro, con quel nome), individuĂČ una serie di deboli tremori provenienti da un epicentro ad una distanza di 140 km a sud-est di ReykjavĂk. Il 12 novembre gli abitanti della cittĂ costiera di VĂk furono disturbati durante tutta la giornata da un forte odore di acido solfidrico. Il 13 novembre un peschereccio in cerca di aringhe, dotato di una buona strumentazione, misurĂČ nei pressi del punto di eruzione sottomarina una temperatura del mare piĂč alta di circa 2,4°C.
Alle 7:15 utc del 14 novembre 1963 i marinai della Ăsleifur ii, in navigazione in quelle stesse acque, allertati dal cuoco che aveva avvistato una colonna di fumo proveniente da una zona imprecisata in mezzo al mare e avvicinatisi per prestare soccorso a quella che credevano fosse una nave in difficoltĂ , furono i primi testimoni oculari delle eruzioni esplosive2. Alle 11:00 dello stesso giorno la colonna di fumo e cenere aveva raggiunto diversi chilometri di altezza e tre bocche eruttive separate erano emerse dallâacqua. Nel pomeriggio le tre bocche si erano fuse in unâunica fessura eruttiva. Ancora pochi giorni e a 63.303 °N 20.605 °W una nuova isola, lunga piĂč di 500 metri e con unâaltezza di 45 metri, si era aggiunta alle altre dellâarcipelago delle Vestmannaeyjar3. Allâisola venne dato il nome di Surtsey, da Surtr, il gigante del fuoco della mitologia scandinava, che un giorno ritornerĂ sulla terra per incendiarla con la sua spada di fiamma. Le eruzioni continuarono fino al 5 giugno del 1967. A quella data lâisola raggiunse la sua massima estensione, pari a circa 2,7 km2. Da allora, lâerosione marina ne ha costantemente diminuito la superficie, che nel 2012 era giĂ ridotta a un poâ meno della metĂ (1,3 km2).
Il destino di Surtsey sembra segnato. Lâerosione la consumerĂ gradatamente e nel giro di circa un secolo lâisola svanirĂ nelle acque da cui era nata. Una vita breve, ma sufficiente a far sĂŹ che rimanga per sempre nella storia della scienza. Grazie a questo raro laboratorio naturale, infatti, per la prima volta Ăš stato possibile studiare, su una scala relativamente ridotta, e utilizzando le tecniche e gli strumenti della ricerca moderna, tutti gli elementi che da un substrato sterile ed inerte portano alla formazione di un ecosistema completo. Da quando la lava emerse dallâacqua e ci si rese conto che lâisola non sarebbe stata un fenomeno effimero come era giĂ successo in altre occasioni4, la comunitĂ scientifica iniziĂČ ad attrezzarsi per potervi seguire lâattecchimento e lo sviluppo della vita. Nel 1965, quando ancora la fase eruttiva era in pieno svolgimento, Surtsey fu dichiarata riserva naturale per ragioni scientifiche e a nessuno, tranne che a pochissimi scienziati, fu reso possibile lâaccesso. Cenere, pomice, sabbia e lava aspettavano di essere invase dalla vita.
Non ci volle molto tempo. Le piante arrivarono subito, giĂ nella primavera successiva ...