La guerra della memoria
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La guerra della memoria

La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 a oggi

Filippo Focardi

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La guerra della memoria

La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 a oggi

Filippo Focardi

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In Italia l'esperienza della seconda guerra mondiale, dell'occupazione tedesca e della lotta partigiana contro la Repubblica sociale ha inciso sulle memorie individuali e collettive producendo numerose fratture. Al di sopra di un universo di memorie frammentate Ăš esistita perĂČ anche una memoria pubblica della guerra di liberazione, impostasi come narrazione dominante. Contestata fin dall'immediato dopoguerra, questa memoria si Ăš trovata negli ultimi anni al centro di un confronto sempre piĂč acceso che ha toccato temi nevralgici: la resa dei conti con i fascisti dopo il 25 aprile, la riconciliazione fra 'ragazzi di SalĂČ' e partigiani, la giornata della memoria in ricordo della Shoah, le foibe, Cefalonia.

La guerra della memoria analizza le caratteristiche del dibattito politico italiano sulla memoria della Resistenza.

Un libro che affronta, in maniera rigorosa e documentata, il tema 'caldo' della Resistenza, dalle prime celebrazioni della Liberazione al dibattito storico-politico italiano degli ultimi anni.

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Information

LA SFIDA ALLA MEMORIA PUBBLICA
DELLA RESISTENZA.
DALLA «GRANDE RIFORMA» DI CRAXI
ALLA PROPOSTA DI «Riconciliazione» DI FINI

Perché si Ú riaperto il dibattito
su fascismo e antifascismo
[Ugo Pecchioli, «Rinascita», 9 marzo 1985]
Il 40° anniversario della Resistenza – in corso di svolgimento – ha giĂ  visto un numero assai grande di manifestazioni e celebrazioni unitarie nelle quali forze antifasciste e istituzioni democratiche si sono unite nella rievocazione degli episodi piĂč significativi del difficile cammino per riconquistare la libertĂ . CiĂČ ha un grande valore. Tuttavia questo anniversario non Ăš ancora diventato anche l’occasione di una controffensiva ideale, culturale, politica per gettare il necessario allarme sui tentativi in atto di manipolazione della storia e persino di rivalutazione piĂč o meno strisciante del fascismo. Tali tentativi si accompagnano a insidiose operazioni volte a colpire valori e idealitĂ  della Resistenza spesso rappresentata unicamente come «guerra civile», mettendo cioĂš sullo stesso piano chi si Ăš battuto per riaprire all’Italia le vie di uno sviluppo civile e democratico e chi Ăš stato dalla parte dei fascisti di SalĂČ a fianco dei nazisti. Si cerca infine di accreditare la tesi che l’antifascismo apparterrebbe ad una epoca storica ormai superata senza piĂč alcun rapporto con i problemi e le esigenze dell’Italia moderna. La stessa liberazione del criminale nazista Reder ha assunto il carattere di un segnale in questo senso.
Sono posizioni allarmanti e pericolose che attentano a principi e regole cardine su cui si regge la nostra vita democratica. Non sembra una forzatura collocare in questo contesto anche la spregiudicata utilizzazione dei voti del Msi ad opera di questo governo. La ricerca di sostegni nelle file del Msi non costituisce certo una novitĂ . Ma ora si Ăš passati dalle vecchie, tradizionali contrattazioni sottobanco tipiche di molti governi precedenti, alla nuova linea del presidente del Consiglio che giĂ  all’atto della costituzione di questo governo ha proclamato apertamente la fine della «ghettizzazione» del Msi. Tutto questo significa dare legittimazione ad un gruppo politico che ha sempre contestato – spesso in termini eversivi – il regime democratico rivendicando la sua continuitĂ  col passato fascista. Significa inoltre voler colpire quel fondamentale punto di riferimento politico, morale, istituzionale rappresentato dal ruolo di garanzia democratica delle forze che hanno dato vita alla Costituzione.
C’ù dunque – perseguito per vie molteplici – un disegno tendente a rimettere in discussione la natura antifascista del nostro regime democratico. Occorre saperlo, valutarne significato e pericoli, reagire con la fermezza e il vigore necessari.
Si pone anzitutto un problema di battaglia culturale. È certo necessario respingere atteggiamenti di faziositĂ  e schematismi nell’analisi storica del fascismo. GiĂ  Togliatti fin dal 1935 nelle sue «Lezioni sul fascismo» aveva dato un contributo, ancora oggi prezioso, mettendo l’accento sulle sue peculiaritĂ  come «regime reazionario di massa». Ma il giudizio sulla sostanza del fascismo non puĂČ che essere preciso. Il fatto che esso abbia portato l’Italia alla guerra, alla dipendenza, alla rovina non Ăš stato un incidente. È stato lo sbocco della sua natura di regime fondato sulla oppressione, su una politica aggressiva e organicamente collegato agli interessi di classe di forze decisive del capitalismo italiano. Invece in questi anni ci sono stati numerosi travisamenti di certa storiografia «afascista» che, attraverso una rivalutazione delle fonti fasciste, ha fornito una visione edulcorata e giustificazionista del ventennio, corrispondente non tanto alla realtĂ  quanto all’immagine che il fascismo intendeva dare di sĂ©. I risultati di questo tipo di ricerca storica sono stati, in piĂč occasioni, utilizzati dai mass media per traduzioni e divulgazioni semplificate e disorientatrici. Non si puĂČ dunque dare per scontata la conoscenza di che cosa sia stato il fascismo. Respingere i tentativi di colpire il patrimonio antifascista significa perciĂČ anche aprire un serrato dibattito critico con le posizioni di rivalutazione e giustificazione del fascismo, anche utilizzando meglio gli apporti rigorosi di tanti storici, uomini di cultura, combattenti antifascisti.
La Resistenza non puĂČ essere archiviata o considerata alla stregua di una delle tante ereditĂ  patriottiche del passato cui richiamarsi coi soliti riti celebrativi. Essa Ăš l’atto di nascita della nuova democrazia italiana. Ha rappresentato nella vita del nostro paese una svolta storica che ha trovato la sua sanzione nei caratteri avanzati della Costituzione nata da convergenze e apporti di forze diverse, ma in sostanziale continuitĂ  con gli ideali e le spinte rinnovatrici della Resistenza. Non solo. Quei tratti originali di permanente partecipazione e tensione democratica che caratterizzano da quarant’anni la vita del nostro paese, trovano spiegazione nel fatto che con la Resistenza si verificĂČ un profondo mutamento nei ruoli delle classi e delle forze politiche. Una classe dirigente nuova e forze sociali nuove – attraverso un processo unitario non facile – si collocarono alla testa dell’Italia. Ed una parte determinante fu svolta dal partito comunista e dalla classe operaia.
È vero che successivamente – nel mutato quadro dei rapporti internazionali – si sono aperte aspre tensioni fra i partiti antifascisti e la Dc ha guidato una dura politica di rottura con le forze piĂč avanzate della societĂ  per ribaltare i nuovi processi avviati dalla lotta di liberazione. Ma una fondamentale conquista della Resistenza, cioĂš la nuova collocazione dirigente, di governo, delle classi lavoratrici non ha potuto essere intaccata. Essa si Ăš espressa nelle battaglie per tenere aperta la strada di un rinnovamento della societĂ  e dello Stato e per realizzare le piĂč ampie convergenze attorno ad obiettivi di progresso civile, sociale e democratico. A queste battaglie il Pci ha dato il contributo della sua forza e della sua capacitĂ  di rinnovarsi rimuovendo «doppiezze», affermando con rigore la propria autonomia e sforzandosi di trarre in tutti i campi le necessarie conseguenze del nuovo, indissolubile rapporto fra democrazia e socialismo costruito nella Resistenza.
Sta qui l’originalitĂ  del «caso italiano». Nel fatto che l’antifascismo rappresenta sul piano politico e morale il cemento della democrazia e resta – nelle mutate condizioni di oggi – il punto di riferimento delle lotte per rinnovare la societĂ  italiana nel quadro di una politica di pace, di unitĂ  dell’Europa, di solidarietĂ  con i popoli oppressi, di superamento del sottosviluppo in tanta parte del mondo.
Ai tentativi di considerare ormai anticaglia, anzi addirittura un impaccio il patrimonio dei valori antifascisti occorre dunque dare ferma risposta. Si vorrebbe recidere il processo politico italiano dal suo vitale retroterra rappresentato dalla Resistenza per svuotarlo di contenuti e obiettivi rinnovatori e intaccare i fondamenti stessi del nostro regime democratico. Per quanti – ovunque collocati – considerano l’antifascismo come autentica misura della loro coerenza democratica, non puĂČ che esser motivo di profonda preoccupazione il fatto che questo governo, sia pure tra lacerazioni e contrasti, tenda con vari suoi atti a collocarsi in una simile logica. Ne Ăš esempio la prassi ormai costante di manomettere le prerogative del Parlamento, la forzatura continua delle regole parlamentari, gli attacchi al sistema delle autonomie puntando all’accentramento dei poteri nell’esecutivo. CiĂČ mentre insiste l’attacco al ruolo dei partiti di massa quali promotori della partecipazione democratica, ed Ăš andata pericolosamente avanti, per quanto riguarda la Dc e poi anche il Psi, una concezione degradata della politica e del partito in funzione di manovre di potere, di mercati, di traffici oscuri.
Sono soltanto alcuni esempi. Ma indicatori di pericolosi sbocchi di una linea che in nome di una presunta modernità tende a voltare le spalle all’antifascismo. Occorre invece riproporre con forza la centralità, l’attualità delle grandi scelte della Resistenza in una situazione nella quale sono ormai maturate condizioni nuove per portare a compimento quel vitale processo di cambiamento, di avvicendamento di classi e di forze di governo per il quale la Resistenza ha posto fondamentali premesse.
È auspicabile che su questo complesso di questioni il 40° sia occasione di un confronto serrato, di una ricerca costruttiva fra le forze di sinistra e antifasciste. Il tentativo insidioso di colpire le fondamenta antifasciste della nostra democrazia puĂČ essere respinto attraverso una ferma battaglia culturale, ideale, politica ed anche col peso di una vera rivolta morale.
L’alibi dell’antifascismo
[Lucio Colletti, «Corriere della Sera», 24 marzo 1985]
Tra qualche settimana, mentre saremo nel pieno di una campagna elettorale che giĂ  ora si annuncia ai ferri corti e quando incomberĂ , forse, piĂč di oggi la prospettiva di un referendum dagli effetti distruttivi, ricorrerĂ  il 40° anniversario del 25 Aprile. C’ù da scommettere sullo spettacolo a cui assisteremo anche questa volta. Messe da parte (non senza ipocrisia) le divisioni profonde che tuttora lacerano il Paese, la ricorrenza verrĂ  presa a pretesto non solo per celebrare l’«unitĂ  antifascista», ma per inculcare e ribadire un principio che sembra ormai fuori discussione: quello dell’identitĂ  tra antifascismo e democrazia.
La tesi Ăš, in apparenza, ovvia: in realtĂ , cela un equivoco. Se la democrazia infatti non puĂČ non essere antifascista, non sempre Ăš vera l’affermazione inversa. Non tutte le forze antifasciste sono per ciĂČ stesso democratiche. In quanto ha combattuto contro il nazifascismo, l’Unione Sovietica, ad esempio, Ăš stata certamente una potenza antifascista. Sarebbe difficile tuttavia giudicarla uno Stato democratico.
Considerazioni analoghe valgono anche per la Resistenza italiana. Le forze che la guidarono, e che erano raccolte nel CLN, andavano dai liberali ai comunisti: includevano partiti che si ispiravano agli ideali della liberaldemocrazia e partiti che avevano, al contrario, come fine ultimo la cosiddetta «dittatura del proletariato». Nessuno puĂČ naturalmente dimenticare il grande tributo di sangue che il Pci ha offerto alla Resistenza. Ed Ăš certo che, tra quelle forze, vi fu unitĂ  d’azione nella lotta contro il fascismo. Ma non diversamente da come, sul piano internazionale, le democrazie occidentali e l’Unione Sovietica si trovarono a combattere insieme contro la Germani...

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