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L'anonimato nell'editoria italiana del Settecento

Lodovica Braida

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L'anonimato nell'editoria italiana del Settecento

Lodovica Braida

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L'editoria europea conosce nel corso del Settecento una fase di straordinario fermento: accanto all'estensione del mercato del libro, cresce sempre più l'affermazione della personalità creativa degli autori, e non è un caso che in quegli anni si inizi a riconoscere, almeno in Inghilterra, il diritto d'autore. L'Italia partecipa a questa vivacità intellettuale, ma accanto all'esigenza degli scrittori di affermare la propria identità, si affianca un'altra tendenza, sempre esistita, di segno contrario: la scelta di far circolare le proprie opere in forma anonima. Quali le ragioni dell'anonimato? Il silenzio d'autore è certamente legato a una logica di controllo per i generi su cui pesa il giudizio negativo della censura ecclesiastica. Ma c'è di più: scrivere libri che potevano essere considerati di basso profilo culturale, come molti romanzi o altri libri di larga circolazione, poteva nuocere al buon nome dell'autore. Meglio dunque rifugiarsi nell'anonimato. Un capitolo fondamentale e fin qui poco studiato della storia dell'editoria italiana.

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Information

Jahr
2019
ISBN
9788858138656

I.
Le ambiguità
della «funzione autore»

1. La riflessione sul mercato del libro

Tra tutti i mestieri legati al mondo del libro ve n’è uno che gli storici della cultura hanno trascurato, lasciandolo per lo più alla riflessione degli studiosi di letteratura: l’autore. Tale assenza è dovuta anche alla tipologia delle fonti disponibili: per tutto l’Antico Regime raramente disponiamo di serie di contratti, accordi o corrispondenze che documentino con continuità il rapporto tra l’autore e il suo editore. Inoltre il percorso di affermazione dell’autore non ha avuto ovunque gli stessi tempi e le stesse tappe, e dunque la presenza o l’assenza di fonti è legata anche al peso e all’importanza che la «funzione autore»30 ha assunto in contesti diversi.
Se per il mondo inglese e francese il XVIII secolo rappresenta il momento in cui gli autori, dopo un lungo e travagliato dibattito, vedono riconosciuta la proprietà letteraria (sin dal 1710 in Inghilterra e dal 1793 in Francia)31, negli Stati italiani d’Antico Regime la situazione è ben diversa. Bisogna attendere la stagione napoleonica affinché il diritto di proprietà letteraria faccia ingresso in Italia, e in ogni caso esso vale soltanto per i territori della Repubblica cisalpina32. Il contrasto tra gli spazi in cui vige il diritto d’autore e quelli in cui l’autore non ha nessun riconoscimento finisce per creare due realtà fortemente separate, tra le quali il dialogo resterà a lungo difficile, come ben si vedrà nella Convenzione austro-piemontese del 1840. Tale Convenzione, preparata da anni di trattative diplomatiche, aveva come primo scopo quello di porre un argine alla diffusione delle ristampe pirata e delle contraffazioni, denunciate nelle loro diverse forme sia dagli scrittori sia da molti editori, che trovarono, proprio su questo terreno, una forma di alleanza33. Ma è altrettanto noto che la tanto attesa Convenzione ebbe scarse possibilità di risolvere i problemi italiani a causa di due rifiuti: quello del Canton Ticino e quello, ancor più grave, del Regno delle Due Sicilie. Ed è proprio il tema della pirateria editoriale a caratterizzare, prima e dopo la Convenzione del 1840, gran parte del dibattito italiano ottocentesco, in relazione al difficile sviluppo del diritto d’autore. Va detto che è anche la prima volta che i letterati italiani affrontano una sorta di tema tabù: quello della proprietà letteraria, su cui gli autori del Settecento risultano alquanto silenziosi. O meglio, molti di loro ammettono che il mercato del libro si è rafforzato, ma non abbastanza per rivendicare un ritorno economico anche per l’autore. L’unico letterato che esce allo scoperto con un vero e proprio braccio di ferro con il suo editore-stampatore e con il suo capocomico è Carlo Goldoni, ma nel 1756 sarà condannato dal Tribunale dei Riformatori dello Studio di Padova a risarcire il danno a Giuseppe Bettinelli, il suo stampatore veneziano, per aver deciso di pubblicare le proprie commedie a Firenze, presso la stamperia Paperini, mentre ancora l’edizione veneziana era in corso34.
Questa analisi parte da una domanda precisa: quale consapevolezza rivelano gli autori italiani rispetto a un mercato del libro che a partire dalla metà del Settecento sembra, almeno a giudicare dai cataloghi dei librai, sempre più vivace e aperto all’editoria europea? In un celebre articolo pubblicato nel 1765 sulle pagine del «Caffè», Pietro Verri scrive:
Nel secolo decimottavo in cui viviamo non hanno certamente ragione i letterati davvero di lagnarsi [...]. Il pubblico legge assai più di quello che non si sia mai letto forse dacché s’è inventata l’arte dello scrivere [...].
Ora, sì tosto che universalmente si legge, ogni autore che sappia scrivere, cioè che scriva cose che paghino della fatica di leggere o che le scriva con ordine, con chiarezza e con grazia, ogni autore, dico, che sappia scrivere è sicuro di ottenere tosto o tardi la stima e la considerazione del pubblico35.
Le sue parole rivelano un certo ottimismo sulle possibilità del letterato di farsi strada nella «repubblica delle lettere». Ciò che colpisce nel suo articolo è che le maggiori opportunità per l’autore non sono messe in relazione né con il sistema di produzione del libro né con il sistema mecenatistico. La novità del suo discorso sta nel collegare il miglioramento della condizione dell’autore con l’aumento del numero dei lettori: il libro ha perso parte della sua sacralità, non è più riservato a pochi dotti, ma è accessibile a fasce di pubblico più ampie, a cui si sono aggiunte negli ultimi anni anche le donne:
Un libro – scrive – non è più riservato a quelle sole caverne dove al pallido lume d’una lampada se ne stava un irsuto sapiente ne’ secoli scorsi, come un mostro della specie umana. Un libro è un mobile che si trova nelle stanze più elegantemente adornate; un libro trovasi sulle pettiniere delle più amabili dame; un libro perfine è letto per poco che l’autore abbia avuto talento di scriverlo36.
La crescente presenza di «avvisi ai lettori» nell’editoria settecentesca testimonia che la risposta del pubblico è tenuta in grande considerazione37. E quando si fa riferimento al «pubblico» non si tratta, come è stato osservato, «né della sua identificazione sociologica, né delle dimensioni quantitative o della diffusione geografica di un insieme che appare comunque in espansione; quanto del significato simbolico che il riferimento al pubblico tende ad assumere nell’attività degli operatori più avvertiti»38. È noto il giudizio di Giuseppe Aubert, editore di Livorno, sul potere rappresentato ormai dal pubblico dei lettori, un potere che l’Inquisizione non poteva contrastare: «Non è Roma – scriveva a Pietro Verri il 15 marzo 1766 – che colle sue proibizioni decida del merito dei libri; è il pubblico che ne decide»39.
Negli stessi anni Sessanta anche il letterato e giornalista Gasparo Gozzi riscontrava un aumento della produzione del libro e il trionfo di generi indipendentemente dal loro valore cultura­le. Sulle pagine dell’«Osservatore veneto» egli intervenne a più riprese sulle principali tendenze dell’editoria veneziana, un ambito in cui era perfettamente inserito e che gli consentiva di superare le difficoltà economiche, grazie alla collaborazione con alcuni dei più importanti stampatori veneziani. Ma a differenza della visione ottimistica del Verri, Gozzi non credeva affatto che l’ampliamento della produzione editoriale portasse con sé anche un miglioramento della condizione dell’autore. Anzi, la logica del mercato finiva per schiacciare l’autore che era costretto a scrivere in tempi rapidi. E nelle Lettere diverse, il cui primo libro uscì nel 1750 e il secondo nel 1752 presso Giambattista Pasquali, lasciava affiorare i suoi giudizi a volte ironici e moralistici, a volte impietosi e inaspettati, quasi per stupire il lettore di tanta franchezza e immediatezza40. Osservava il mondo del libro e dei giornali, in cui era pienamente inserito, e il mondo dei lettori, con una sorta di sdoppiamento. Era al...

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