I.
Le ambiguitĂ
della «funzione autore»
1. La riflessione sul mercato del libro
Tra tutti i mestieri legati al mondo del libro ve nâĂš uno che gli storici della cultura hanno trascurato, lasciandolo per lo piĂč alla riflessione degli studiosi di letteratura: lâautore. Tale assenza Ăš dovuta anche alla tipologia delle fonti disponibili: per tutto lâAntico Regime raramente disponiamo di serie di contratti, accordi o corrispondenze che documentino con continuitĂ il rapporto tra lâautore e il suo editore. Inoltre il percorso di affermazione dellâautore non ha avuto ovunque gli stessi tempi e le stesse tappe, e dunque la presenza o lâassenza di fonti Ăš legata anche al peso e allâimportanza che la «funzione autore» ha assunto in contesti diversi.
Se per il mondo inglese e francese il XVIII secolo rappresenta il momento in cui gli autori, dopo un lungo e travagliato dibattito, vedono riconosciuta la proprietĂ letteraria (sin dal 1710 in Inghilterra e dal 1793 in Francia), negli Stati italiani dâAntico Regime la situazione Ăš ben diversa. Bisogna attendere la stagione napoleonica affinchĂ© il diritto di proprietĂ letteraria faccia ingresso in Italia, e in ogni caso esso vale soltanto per i territori della Repubblica cisalpina. Il contrasto tra gli spazi in cui vige il diritto dâautore e quelli in cui lâautore non ha nessun riconoscimento finisce per creare due realtĂ fortemente separate, tra le quali il dialogo resterĂ a lungo difficile, come ben si vedrĂ nella Convenzione austro-piemontese del 1840. Tale Convenzione, preparata da anni di trattative diplomatiche, aveva come primo scopo quello di porre un argine alla diffusione delle ristampe pirata e delle contraffazioni, denunciate nelle loro diverse forme sia dagli scrittori sia da molti editori, che trovarono, proprio su questo terreno, una forma di alleanza. Ma Ăš altrettanto noto che la tanto attesa Convenzione ebbe scarse possibilitĂ di risolvere i problemi italiani a causa di due rifiuti: quello del Canton Ticino e quello, ancor piĂč grave, del Regno delle Due Sicilie. Ed Ăš proprio il tema della pirateria editoriale a caratterizzare, prima e dopo la Convenzione del 1840, gran parte del dibattito italiano ottocentesco, in relazione al difficile sviluppo del diritto dâautore. Va detto che Ăš anche la prima volta che i letterati italiani affrontano una sorta di tema tabĂč: quello della proprietĂ letteraria, su cui gli autori del Settecento risultano alquanto silenziosi. O meglio, molti di loro ammettono che il mercato del libro si Ăš rafforzato, ma non abbastanza per rivendicare un ritorno economico anche per lâautore. Lâunico letterato che esce allo scoperto con un vero e proprio braccio di ferro con il suo editore-stampatore e con il suo capocomico Ăš Carlo Goldoni, ma nel 1756 sarĂ condannato dal Tribunale dei Riformatori dello Studio di Padova a risarcire il danno a Giuseppe Bettinelli, il suo stampatore veneziano, per aver deciso di pubblicare le proprie commedie a Firenze, presso la stamperia Paperini, mentre ancora lâedizione veneziana era in corso.
Questa analisi parte da una domanda precisa: quale consapevolezza rivelano gli autori italiani rispetto a un mercato del libro che a partire dalla metĂ del Settecento sembra, almeno a giudicare dai cataloghi dei librai, sempre piĂč vivace e aperto allâeditoria europea? In un celebre articolo pubblicato nel 1765 sulle pagine del «CaffÚ», Pietro Verri scrive:
Nel secolo decimottavo in cui viviamo non hanno certamente ragione i letterati davvero di lagnarsi [...]. Il pubblico legge assai piĂč di quello che non si sia mai letto forse dacchĂ© sâĂš inventata lâarte dello scrivere [...].
Ora, sĂŹ tosto che universalmente si legge, ogni autore che sappia scrivere, cioĂš che scriva cose che paghino della fatica di leggere o che le scriva con ordine, con chiarezza e con grazia, ogni autore, dico, che sappia scrivere Ăš sicuro di ottenere tosto o tardi la stima e la considerazione del pubblico.
Le sue parole rivelano un certo ottimismo sulle possibilitĂ del letterato di farsi strada nella «repubblica delle lettere». CiĂČ che colpisce nel suo articolo Ăš che le maggiori opportunitĂ per lâautore non sono messe in relazione nĂ© con il sistema di produzione del libro nĂ© con il sistema mecenatistico. La novitĂ del suo discorso sta nel collegare il miglioramento della condizione dellâautore con lâaumento del numero dei lettori: il libro ha perso parte della sua sacralitĂ , non Ăš piĂč riservato a pochi dotti, ma Ăš accessibile a fasce di pubblico piĂč ampie, a cui si sono aggiunte negli ultimi anni anche le donne:
Un libro â scrive â non Ăš piĂč riservato a quelle sole caverne dove al pallido lume dâuna lampada se ne stava un irsuto sapiente neâ secoli scorsi, come un mostro della specie umana. Un libro Ăš un mobile che si trova nelle stanze piĂč elegantemente adornate; un libro trovasi sulle pettiniere delle piĂč amabili dame; un libro perfine Ăš letto per poco che lâautore abbia avuto talento di scriverlo.
La crescente presenza di «avvisi ai lettori» nellâeditoria settecentesca testimonia che la risposta del pubblico Ăš tenuta in grande considerazione. E quando si fa riferimento al «pubblico» non si tratta, come Ăš stato osservato, «nĂ© della sua identificazione sociologica, nĂ© delle dimensioni quantitative o della diffusione geografica di un insieme che appare comunque in espansione; quanto del significato simbolico che il riferimento al pubblico tende ad assumere nellâattivitĂ degli operatori piĂč avvertiti». Ă noto il giudizio di Giuseppe Aubert, editore di Livorno, sul potere rappresentato ormai dal pubblico dei lettori, un potere che lâInquisizione non poteva contrastare: «Non Ăš Roma â scriveva a Pietro Verri il 15 marzo 1766 â che colle sue proibizioni decida del merito dei libri; Ăš il pubblico che ne decide».
Negli stessi anni Sessanta anche il letterato e giornalista Gasparo Gozzi riscontrava un aumento della produzione del libro e il trionfo di generi indipendentemente dal loro valore culturaÂle. Sulle pagine dellâ«Osservatore veneto» egli intervenne a piĂč riprese sulle principali tendenze dellâeditoria veneziana, un ambito in cui era perfettamente inserito e che gli consentiva di superare le difficoltĂ economiche, grazie alla collaborazione con alcuni dei piĂč importanti stampatori veneziani. Ma a differenza della visione ottimistica del Verri, Gozzi non credeva affatto che lâampliamento della produzione editoriale portasse con sĂ© anche un miglioramento della condizione dellâautore. Anzi, la logica del mercato finiva per schiacciare lâautore che era costretto a scrivere in tempi rapidi. E nelle Lettere diverse, il cui primo libro uscĂŹ nel 1750 e il secondo nel 1752 presso Giambattista Pasquali, lasciava affiorare i suoi giudizi a volte ironici e moralistici, a volte impietosi e inaspettati, quasi per stupire il lettore di tanta franchezza e immediatezza. Osservava il mondo del libro e dei giornali, in cui era pienamente inserito, e il mondo dei lettori, con una sorta di sdoppiamento. Era al...