VI. Stato di diritto, Stato legale, Stato amministrativo, Stato totalitario
Introduzione
La storia giuridica europea tra la fine del secolo XIX e la metĂ del successivo appare caratterizzata dal progressivo incremento del ruolo dello Stato nella societĂ e, di conseguenza, dal complesso e cangiante rapporto tra gli individui, le loro libertĂ e i loro diritti da un canto, la crescente autoritĂ statale dallâaltro.
Abbiamo visto come la Rivoluzione francese avesse eliminato la tradizionale pluralitĂ istituzionale che aveva caratterizzato la precedente storia europea, sostituendola con lâordinamento dello Stato quale espressione diretta ed immediata della Nazione e garante dei diritti degli individui. E una teorizzazione dello Stato quale tutore dei diritti inalienabili dellâuomo era stata formulata negli ultimi anni del secolo XVIII da Immanuel Kant, il quale vedeva lo Stato come fondato su alcuni princĂŹpi giusnaturalistici basilari â la libertĂ individuale, lâuguaglianza giuridica dei cittadini â e impegnato a tradurre in norme positive diritti insiti nella natura dellâuomo: le leggi dello Stato â le sole che costituivano lo Staatsrecht, il diritto vigente nello Stato â dovevano, allora, garantire a ciascun cittadino una sfera di libertĂ limitata soltanto dal rispetto di quella degli altri e il sicuro esercizio dei suoi diritti individuali. La tesi kantiana fu recepita solo in parte dallâidealismo tedesco. Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) e Georg Wilhelm Hegel, pur riconoscendo allo Stato il dovere di proteggere e tutelare i cittadini, rifiutavano lâesistenza di un diritto naturale precedente lo Stato e riconoscevano valore giuridico solo alle leggi da questo promulgate.
Sin dallâinizio del secolo XIX, dunque, si venne a profilare una sorta di dialettica tra diritti individuali e Stato che con le sue leggi creava diritti. Le prime formulazioni dello Stato di diritto presentano questa ambiguitĂ . Stato di diritto Ăš indicato in questa prima fase come lo Stato che si afferma come unico produttore di diritto â perchĂ© sono state essiccate tutte le tradizionali fonti (consuetudine, giurisprudenza, dottrina) ad esclusione della legge statale â, come solo titolare del governo e dellâamministrazione della Nazione â dato che sono state abolite le antiche forme istituzionali comunitarie, signorili, cittadine, territoriali di natura originaria e restano soltanto quelle disposte dallo Stato, attraverso le sue leggi, come autonome â, come esclusivo garante dellâosservanza del diritto, in quanto unico responsabile della giustizia â essendo state eliminate tutte le precedenti potestĂ giudiziarie (comunali, signorili, popolari, feudali, territoriali) â, una funzione che lo Stato assicurava ai cittadini anche contro la stessa pubblica amministrazione. Nella lettura kantiana il diritto che lo Stato produceva con le sue leggi, attuava con la sua amministrazione e garantiva con la sua giustizia, era direttamente ed indissolubilmente legato al diritto naturale, rappresentando la traduzione di questo in norme positive: la legge, in altre parole, conservava quel carattere quasi sacrale che le era stato costantemente riconosciuto dalla tradizione culturale europea. Ma nel momento in cui il rapporto tra il diritto prodotto dalla legge e i princĂŹpi giusnaturalistici cominciĂČ ad allentarsi in seguito al concreto esercizio della funzione legislativa da parte degli Stati â un esercizio che obbediva piuttosto agli interessi particolari prevalenti nel legislatore e che era mosso soprattutto da concrete e cangianti necessitĂ temporali â apparvero le prime avvisaglie di un panorama profondamente diverso, nel quale da un canto si presentava attenuato lâimpegno del legislatore statale a riferirsi a princĂŹpi e diritti superiori e prestatali, dallâaltro i cittadini, obbligati comunque ad osservare le norme statali e privi di qualsiasi alternativa allâamministrazione e alla giustizia dello Stato, vedevano incrinata la piena garanzia che i diritti, da loro avvertiti come naturali, fossero tradotti in norme positive e adeguatamente tutelati.
Appare interessante sottolineare come lâesperienza francese nella prima metĂ del secolo XIX si muova sensibilmente verso lâaffermazione del legicentrismo. Lo Stato di diritto liberale, di cui la Francia offre dopo il 1830 un chiaro modello, risulta fondato sulla centralitĂ della legge, di cui affermava la superioritĂ non solo nei confronti dei singoli cittadini, ma anche della pubblica amministrazione, e di cui garantiva lâosservanza attraverso lâopera di giudici indipendenti ed esperti. Il centro era, dunque, costituito dal monopolio statale della produzione normativa, del governo e della giustizia e dalla conseguente eliminazione di ogni ordinamento particolare intermedio tra i cittadini e lo Stato; la rispondenza del diritto statale ai princĂŹpi superiori di libertĂ ed uguaglianza giuridica era data per scontata, sia perchĂ© i cittadini erano stati liberati da ogni forma di subordinazione personale, sia perchĂ© tale diritto non interferiva con la loro libertĂ di azione e di iniziativa. Lâordinamento dello Stato liberale era, infatti, leggero proprio perchĂ© si contrapponeva nettamente a quello di antico regime. Mentre in questâultimo norme di varia natura ed origine avevano disciplinato ogni forma di attivitĂ degli individui, consentendo loro di svolgere unâattivitĂ solo se godevano del diritto di svolgerla, nello Stato liberale lâordinamento si limitava a disciplinare alcuni diritti essenziali, innanzi tutto quello di proprietĂ privata, riconoscendo ai cittadini la piena libertĂ di azione una volta rispettati i suddetti diritti essenziali. E lo Stato offriva a tale ampia sfera di libertĂ la cornice istituzionale indispensabile â poichĂ© i suoi compiti si limitavano alla difesa del territorio, che assicurava sia con le forze armate, sia con la sua attivitĂ diplomatica, alla tutela dellâordine pubblico, allâamministrazione della giustizia, allâorganizzazione di alcuni gradi di istruzione, allâesecuzione degli indispensabili lavori pubblici ed alla gestione delle entrate e delle uscite necessarie al funzionamento di questi apparati amministrativi â senza interferire in alcun modo nella vita libera della societĂ . Uno Stato «leggero», dunque, imperniato sul legicentrismo e sul monopolio della sovranitĂ : e in detto ordinamento i diritti individuali erano collocati necessariamente dopo la legge, anche se questa non poteva che essere coerente con il quadro generale di libertĂ .
Lâesperienza francese di Stato liberale risulta, allora, differente da quella vissuta dagli ordinamenti anglo-americani. In Inghilterra era ormai pienamente consolidato il principio del rule of law, che aveva trovato la sua chiara definizione â come abbiamo avuto occasione di ricordare â con la sentenza Entick v. Carrington del 1765. Il rule of law sottopone la Corona e la sua amministrazione al rispetto del diritto vigente; ma tale diritto non Ăš costituito dallâatto dâimperio della volontĂ sovrana del legislatore statale, bensĂŹ dal common law, dal complesso ed articolato insieme di usi e consuetudini particolari, e dagli statutes del Parlamento, le delibere, cioĂš, da questo adottate le quali, come sappiamo, sono intese come sentenze che interpretano in maniera evolutiva e creativa norme del common law, rendendo esplicito quanto in queste ultime era implicitamente contenuto. In altri termini, i diritti dei componenti la comunitĂ inglese non derivano nĂ© da un astratto diritto naturale, nĂ©, tanto meno, dalla volontĂ del legislatore: essi sono ancorati alla complessa ed articolata tradizione giuridica del popolo, tradizione che il Parlamento ha la funzione di aggiornare. E dâaltro canto lâInghilterra non conosceva il modello dello Stato monopolista del potere sovrano forgiato in Francia: la continuitĂ della tradizione si esprimeva anche nel rispetto delle forme istituzionali spontanee ed originarie del self government e di una giurisdizione signorile che, pur conoscendo una qualche riduzione, si conservava ancora nellâOttocento sostanzialmente salda. Lâimpostazione dellâordinamento inglese segna anche quello degli Stati Uniti: qui gli individui sono riconosciuti titolari di diritti derivanti dalla tradizione di common law e dalla natura, mentre il legislatore Ăš considerato titolare di un potere derivato proprio dai singoli individui: di conseguenza, i diritti individuali vengono prima della legge e il legislatore Ăš obbligato ad operare in conformitĂ e nel rispetto dei diritti di cui i deleganti sono portatori.
Lâintervento della scienza giuridica tedesca recĂČ, poi, un decisivo contributo alla riflessione sulla natura dello Stato di diritto. Sin dagli anni del VormĂ€rz i liberali tedeschi avevano individuato nella costruzione di un ordinamento statale liberale, sul modello francese, lâobiettivo primario della loro azione. Ed Ăš proprio il giurista tedesco Robert von Mohl a usare per primo allâinizio degli anni â30 lâespressione Rechtsstaat, Stato di diritto, con la quale indicava lo Stato fondato su una legge costituzionale ed espressione dei princĂŹpi del liberalismo, nonchĂ© fonte esclusiva e garante di un diritto positivo che realizzava i valori della libertĂ , uno Stato esaltato quale gradino piĂč elevato nello sviluppo dellâorganizzazione istituzionale della societĂ umana. Ma lâambiguitĂ del concetto di Stato di diritto si manifestĂČ giĂ in questa prima fase della riflessione germanica. Nello stesso torno di anni, infatti, un altro giurista Friedrich Julius von Stahl (1802-1861), meno sensibile agli ideali del liberalismo e deciso sostenitore della monarchia prussiana, propose unâimmagine di Stato di diritto nella quale il ruolo dello Stato quale strumento di realizzazione e di tutela delle libertĂ individuali passava in secondo piano rispetto alla sua funzione di organizzatore razionale della societĂ . Il Rechtsstaat diventava, perciĂČ, in von Stahl lo Stato la cui autoritĂ e le cui attivitĂ erano definite e disciplinate esclusivamente dal diritto da lui stesso creato â e quindi non piĂč, come nellâantico regime, dagli usi e dallâarbitrio dei governanti â, un diritto che doveva perseguire non giĂ lâobiettivo della traduzione in norme positive di princĂŹpi superiori, bensĂŹ lâaltro della piĂč razionale organizzazione della societĂ .
Dopo la conclusione dellâesperienza rivoluzionaria di metĂ secolo lâordinamento statale liberale comiciĂČ a conoscere una sensibile evoluzione. In Francia, come abbiamo visto nel capitolo precedente, si rafforzĂČ lâapparato statale e si estese lâintervento pubblico, attraverso sia la legislazione sia lâazione concreta della pubblica amministrazione, nella vita della societĂ , mentre lâordinamento istituzionale del Secondo Impero introduceva elementi autoritari discordi con la precedente esperienza liberale. Nellâideologia piĂč aperta, comunque, restava saldo il principio della libertĂ individuale che lo Stato doveva tutelare e difendere con le sue leggi e la sua giustizia contro abusi della pubblica amministrazione.
Nella seconda metĂ del secolo la riflessione sullo Stato di diritto conobbe particolare approfondimento in Germania. Qui la crisi del movimento liberale nel NachmĂ€rz, la crescente prospettiva di una soluzione del problema nazionale attraverso lâiniziativa di una monarchia egemone, la sensibile affermazione dellâindustria e la conseguente sollecitazione verso un superamento delle tradizionali frammentazioni istituzionali, lâincremento degli apparati burocratici statali che nei maggiori Stati tedeschi, al pari di quanto stava avvenendo in Francia, segnava lâamministrazione pubblica come conseguenza dellâassunzione di compiti nuovi, costituiscono altrettanti fattori che concorsero allo sviluppo del pensiero sullo Stato di diritto. Uno sviluppo che si caratterizza per il crescente spazio riconosciuto allo Stato e alla sua superioritĂ rispetto agli individui. Lâavvio della politica di Bismarck e i successi dalla stessa conseguiti contribuirono poi allâaffermazione di una teoria tedesca dello Stato di diritto nella quale trovano ampia sottolineatura i profili di autoritĂ e che arrivĂČ ad attribuire allo Stato â con Carl Friedrich Gerber negli anni â60 â personalitĂ giuridica, modellata su quella individuale ma al contempo dotata di superioritĂ . E sulla scia di Gerber si mossero sia Paul Laband (1838-1918), sia Georg Jellinek (1851-1911): come meglio vedremo in seguito, il primo affermĂČ allâinizio degli anni â70 la natura dello Stato quale potenza di comando e di imposizione, e di conseguenza teorizzĂČ lâessenza della legge in espressione dellâoriginaria superiore autoritĂ dello Stato-persona libera da ogni vincolo di rispetto di valori e princĂŹpi metagiuridici e dotata di piena forza vincolante nei riguardi dei cittadini e della pubblica amministrazione; il secondo allâinizio degli anni â90 nello studio dei diritti pubblici soggettivi definĂŹ lâindividuo subordinato allo Stato e titolare di diritti solo in quanto appartenente, come cittadino, allo Stato, il quale procedeva allâautolimitazione della propria sovranitĂ originaria per concedere detti diritti ai componenti della comunitĂ nazionale.
In breve. La dottrina appare concorde nel considerare lo Stato di diritto come fondato sul principio di legalitĂ , nel senso che da un canto il diritto ha nella legge la sua unica fonte e, quindi, coincide con la legge, dallâaltro che sia gli individui, sia la pubblica amministrazione sono sottoposti alla legge. Ma la dottrina si divise nel definire i rapporti tra la potestĂ di governo e la pubblica amministrazione da un lato e gli individui dallâaltro. Per i sostenitori della tradizione liberale era la legge a governare tutto, ma nel contempo essa doveva rispettare il principio di libertĂ individuale: ne derivava che il governo e il potere esecutivo nulla potevano al di fuori di quanto loro assegnato dalla legge e che nelle materie non toccate dalla disciplina legislativa la libertĂ individuale era sovrana e non poteva essere limitata dal potere statale. Per i fautori della prevalenza della sovranitĂ dello Stato, invece, il potere esecutivo era dotato di autoritĂ originaria che solo le leggi potevano limitare, mentre nelle materie prive di disciplina legislativa la pubblica amministrazione era completamente libera di operare al fine di perseguire i propri obiettivi. In questa seconda accezione veniva, allora, riproposto in termini del tutto nuovi un problema antico, quello della tutela dei diritti e delle libertĂ individuali nei confronti dellâautoritĂ : ora tali diritti risultano privati di ogni radicamento nella tradizione, depurati da ogni collegamento con il diritto naturale e affidati esclusivamente alla legge dello Stato.
Questa seconda lettura dello Stato di diritto elaborata dalla prevalente dottrina tedesca fu presa in considerazione dopo il 1870 dalla scienza giuridica francese, la quale nello stesso torno di anni andava approfondendo la riflessione sulla natura dello Stato, sullâautoritĂ del potere legislativo, sul ruolo dellâesecutivo e procedeva, come vedremo meglio in seguito, alla costruzione teorica del diritto amministrativo. La scienza giuridica francese mostra, perĂČ, non poche perplessitĂ nel recepire la tesi tedesca del Rechtsstaat e piĂč che di Etat de droit preferĂŹ parlare di Etat lĂ©gal, di Stato legale. Esponenti principali di questo indirizzo furono Raymond CarrĂ© de Malberg (1861-1935), LĂ©on Duguit (1859-1928), Jean-Paul-Hippolyte-Emmanuel Esmein (1848-1913), Maurice Hauriou (1856-1929). Nella teoria dello Stato legale lo Stato Ăš retto da un ordinamento giuridico le cui norme sono collocate in una precisa e definita gerarchia di fonti. Al vertice di tale gerarchia si trovavano i princĂŹpi affermati dalla Rivoluzione francese â alla quale la III Repubblica, come vedremo, si richiamava costantemente â e definiti dalla Dichiarazione dei diritti dellâuomo e del cittadino: Dichiarazione che Duguit ed Hauriou consideravano parte integrante delle norme costituzionali vigenti, mentre CarrĂ© de Malberg ed Esmein giudicavano non recepita dalle leggi del 1875 e quindi bisognosa di apposita normazione. Al gradino successivo erano collocate, poi, le leggi costituzionali, le quali avevano il compito di fissare in diritto positivo i princĂŹpi della Rivoluzione e nel contempo di disciplinare la separazione dei poteri. Il terzo gradino era costituito dalle leggi approvate dal Parlamento, leggi che dovevano, quindi, essere coerenti con quanto disposto dalle fonti situate nei gradi superiori. Infine, allâultimo posto della scala era collocato il potere esecutivo cui spettava lâapplicazione delle leggi ordinarie.
La dottrina dello Stato legale, allora, presenta non poche differenze con quella dello Stato di diritto di impostazione tedesca. Per i giuristi francesi, anche per quelli di loro che recepirono lâidea dello Stato-persona, lo Stato non era un soggetto a sĂ©, dotato di una potestĂ originaria e di una propria volontĂ , ma espressione giuridica della Nazione, creato proprio per servire la Nazione e tutelare i diritti dei componenti di questa. La pubblica amministrazione, di conseguenza, non era libera di operare per propri fini nelle materie non toccate dalla legge, come voleva la lettura tedesca dello Stato di diritto, ma nella sua azione doveva sempre rispettare la disciplina dettata dalle tante fonti che regolavano lâordinamento. Di modo che la tutela dei diritti individuali non era affidata alla sola autolimitazione legislativa dello Stato, ma era garantita dalle fonti giuridiche collocate nei gradi della gerarchia superiori a quello della legge.
La crescente attenzione della dottrina europea sulla natura dello Stato e sui suoi rapporti con i diritti individuali si legava, naturalmente, al significativo ampliamento delle funzioni che lo Stato andava conoscendo a partire dagli ultimi decenni del secolo XIX. Lo Stato «leggero» della prima etĂ liberale, quello Stato che lasciava alla societĂ un sfera amplissima di vita propria nella quale ogni cittadino era pienamente libero di agire limitato solo dal dovere di rispettare i diritti dei suoi concittadini, quello Stato che a tal fine riduceva di gran lunga il suo intervento legislativo accontentandosi di garantire diritti essenziali, quello di proprietĂ innanzi tutto, definiti nei codici ai quali la legislazione speciale offriva una scarsa integrazione, quello Stato che, proprio perchĂ© pochi erano i diritti, di questi offriva una rapida e sicura tutela giurisdizionale, quello Stato si andava rapidamente trasformando. La sua estraneitĂ nei confronti della complessa realtĂ sociale apparve negativa non solo sotto il profilo della tutela dei diritti dei soggetti economicamente piĂč deboli, lasciati senza difesa di fronte al libero eserciz...