Lâeresia ovvero lâinvenzione del «Dio personale»
1. Il fraintendimento individualistico dellâindividualizzazione
CiĂČ che complica fin dallâinizio la discussione sui concetti di «individuo», «individualismo» e «individualizzazione» ha a che vedere con il significato che Ăš connesso, in modo apparentemente necessario, con questi termini, ossia la circostanza che lâindividualismo rappresenti il risultato inevitabile di sentimenti e interessi individuali, e quindi egoistici. Non vi Ăš nulla di piĂč sbagliato. Qui risiede quello che ho definito il fraintendimento individualistico dellâindividualizzazione, che intendo eliminare e portare ad absurdum grazie ad argomentazioni convincenti. Soltanto quando verrĂ cancellato questo grave errore â evidente soltanto per un giudizio superficiale â secondo il quale lâindividualismo di milioni o miliardi di persone Ăš imputabile alla loro esaltazione egoistica, sarĂ possibile mettere al centro dellâattenzione lâarchitettura storico-sociale dellâindividualizzazione in quanto forma di soggettivitĂ nonchĂ© considerarne meglio conseguenze e costi.
Lâindividualizzazione Ăš stata, per molti secoli, un semplice valore, unâidea, unâideologia. Nel frattempo, perĂČ, si Ăš condensata e cristallizzata in una morale istituzionalizzata, che crea con forza ed efficacia i fondamenti del mondo moderno, ben oltre a quelle che Eric Hobsbawm chiama le due rivoluzioni del XIX secolo: la rivoluzione che conduce allo Stato nazione moderno e democratico, e quella che ha prodotto il fenomeno chiamato da Max Weber «spirito» del capitalismo, scaturito dallâetica protestante del lavoro. Entrambe â la democrazia dello Stato nazione e il capitalismo imprenditoriale â poggiano sul principio dellâindividuo libero, il quale rappresenta i propri personali e spregiudicati interessi, mentre al contempo pretende sia il diritto di levare la propria voce in ambito politico sia, ovviamente, il diritto alla proprietĂ privata, difendendo questi diritti nelle arene della polis democratica. Lâindividualizzazione, strettamente connessa allâethos del cristianesimo e della modernitĂ , significa coltivare la caparbietĂ di tutti gli uomini senza distinzione.
Alla base del fraintendimento soggettivo dellâindividualizzazione vi Ăš la supposizione che lâindividuo che orbita intorno a se stesso sia anche lâartefice di tale orbita. In questo modo si ignora quanto lâutopia della propria persona, e dunque lâutopia del Dio personale, siano impresse nella struttura istituzionale profonda del mondo occidentale. Per venire al punto: lâindividualizzazione deve essere distinta nettamente dallâegoismo. Mentre lâegoismo, solitamente, viene inteso come unâattitudine o una preferenza personale, lâindividualizzazione rappresenta un fenomeno profondo di natura macrostorica e macrosociologica, che puĂČ â ma non necessariamente deve â tradursi in trasformazioni dellâatteggiamento individuale. Ă la problematica della contingenza che compare tramite lâindividualizzazione: bisogna capire come gli individui vi si rapportino.
Analogamente a quanto affermano Zygmunt Bauman e Anthony Giddens, sottolineo anchâio che lâindividualizzazione viene fraintesa se Ăš concepita come un processo che possa essere derivato da una scelta consapevole o dalla preferenza dellâindividuo. Lâindividualizzazione, infatti, viene imposta agli individui come risultato della lunga storia percorsa dalle istituzioni moderne. Nessuno lâha visto prima e piĂč chiaramente di Ămile Durkheim, il quale, un secolo fa, ha illustrato come la sacralitĂ delle religioni sia stata trasferita alla sacralitĂ dellâindividuo.
«Eccoci dunque ben lontani dallâapoteosi del benessere e dellâinteresse privato, dal culto egoista di sé» che oggi viene rimproverato allâindividualismo utilitaristico di mercato, altrimenti detto neoliberismo. Per mettere al centro dellâattenzione lâindividualizzazione istituzionalizzata, bisogna distogliere lo sguardo da quello che ci riguarda direttamente, da tutto ciĂČ che conferisce valore alla nostra individualitĂ empirica, «per ricercare unicamente ciĂČ che reclama la nostra condizione di uomo, in quanto elemento comune a tutti i nostri simili. Questo ideale oltrepassa a tal punto il livello dei fini utilitari da apparire, alle coscienze che vi aspirano, come impregnato di religiositĂ . Questa persona umana, la cui definizione Ăš come la pietra di paragone con cui si distingue il bene dal male, Ăš considerata come sacra, nel senso rituale del nome; essa ha qualcosa della trascendente maestĂ che le Chiese di ogni tempo conferiscono ai loro dĂši; essa Ăš concepita come investita di una proprietĂ misteriosa che isola le cose sante, le sottrae ai contatti volgari e le ritira dalla circolazione comune. Da qui precisamente deriva il rispetto di cui Ăš oggetto. Chiunque attenti alla vita di un uomo, alla libertĂ di un uomo, allâonore di un uomo, ci ispira un sentimento di orrore, da ogni punto di vista analogo a quello provato dal credente che vede profanare il proprio idolo». La morale ormai istituzionalizzata della individualizzazione, dunque, non Ăš semplicemente «una saggia economia dellâesistenza: Ăš una religione nella quale lâuomo Ăš al contempo credente e Dio»1.
La forma storica soggettiva dellâindividualizzazione, con la quale noi oggi abbiamo a che fare e con cui avremo a che fare anche in futuro2, non Ăš dunque espressione di una libertĂ decisionale dellâuomo in abstracto, come ha visto Immanuel Kant. Egli ha individuato i moventi individuali quali fonti del male: solamente quando il principio della mia morale Ăš universalizzabile, quando le massime del mio agire non provengono dalla mia condizione sociale, dai miei interessi, dalle mie passioni, si ha il moralmente buono. «Buono» viene dunque considerato quellâagire che Ăš separato dalla soggettivitĂ dellâagente. Rousseau argomenta in maniera analoga: per lui infatti solamente la volontĂ depurata dagli interessi particolari e universalizzabile puĂČ fungere da fondamento del contratto sociale. Lâindividualizzazione invece significa piĂč di questa morale elevata, la quale da un lato si libera dellâelemento individuale, ma dallâaltro rimane legata allâindividuo universalizzato. Al posto dellâindividualismo morale, particolare nonchĂ© universale, subentra lâindividualizzazione istituzionalizzata. Essa deve essere interpretata come esito delle battaglie storiche per la tolleranza religiosa, per i diritti fondamentali di natura civile, politica e sociale, e non ultimi, per i diritti umani universali, che devono tutelare le libertĂ dellâindividuo pensato in senso universalistico... unâesigenza che non ha perso vigore vista la permanente violazione cui sono soggetti nella realtĂ . Da questo punto di vista, lâindividualizzazione non sfocia affatto in anarchia, ma rappresenta al contrario il sistema di valori e di credenze che, rispetto alla tutela nazionale, puĂČ garantire lâunitĂ morale ben oltre i confini dello Stato.
«Si sente spesso dire oggi che solamente una religione puĂČ produrre questa armonia: questa proposizione, che moderni profeti credono dover sviluppare in un tono mistico, Ăš, in fondo, un semplice truismo sul quale tutti possono esser dâaccordo. [...] Orbene, tutto concorre precisamente a far credere che la sola possibile Ăš questa religione dellâumanitĂ di cui la morale individualistica Ăš lâespressione razionale. A cosa infatti potrebbe ormai riferirsi la sensibilitĂ collettiva? [...] Ci si incammina a poco a poco verso uno stato, che Ăš attualmente quasi raggiunto, in cui i membri di un medesimo gruppo sociale non avranno piĂč nulla in comune fra loro eccetto la loro qualitĂ dâuomo». In proposito, Durkheim anticipa la connessione tra individualizzazione e cosmopoliticizzazione: «Questa idea della persona umana, sfumata diversamente a seconda della diversitĂ dei temperamenti nazionali, Ăš dunque lâunica che si mantiene, immutabile e impersonale, al di sopra dellâonda mutevole delle opinioni particolari; e i sentimenti che essa suscita sono i soli che si trovano pressochĂ© in tutti i cuori [...] Ecco come lâuomo Ăš divenuto un dio per lâuomo»3.
Lâidea della sacralitĂ dellâindividuo, alla base dellâindividualizzazione, afferma che lâuomo Ăš diventato un Dio per gli altri uomini. JĂŒrgen Habermas parla, in questo contesto, di una «traduzione salvifica» e di «una appropriazione di contenuti genuinamente cristiani da parte della filosofia [...] Essa ha bensĂŹ trasformato il loro senso originariamente religioso, ma non lâha deflazionato ed esaurito fino a svuotarlo. La traduzione della somiglianza dellâuomo con Dio nella pari dignitĂ di tutti gli uomini, da rispettare incondizionatamente, Ăš una siffatta trasposizione salvifica. Al di lĂ dei confini di una comunitĂ religiosa, essa rivela il contenuto delle concezioni bibliche allâuniversale pubblico di fede diversa o non credente»4. E nellâintimitĂ della religione incentrata sullâindividuo creato a immagine e somiglianza di Dio vengono eretti altari al Dio personale.
Nel senso di Durkheim e anche di Habermas, noi «crediamo» ai diritti umani, perchĂ© in essi la somiglianza dellâuomo a Dio ha conservato la sua forma sacra-profana e, in parte, perfino quella giuridicamente istituzionalizzata5. CosĂŹ, per esempio, Amnesty International rappresenta una Chiesa moderna del «Dio personale». Se oggi la giustizia globale si trova in cima allâordine del giorno dei network radicati nella societĂ civile internazionale, Ăš perchĂ© questi gruppi sono simili a movimenti sacerdotali secolari al servizio della religione terrena incentrata sulla somiglianza dellâuomo con Dio6.
Sorgono perĂČ delle questioni «ereticali»: se la religione dellâindividuo si fonda sulla somiglianza dellâuomo con Dio, allora la dignitĂ e i diritti umani non spettano allâuomo in quanto uomo. Il riconoscimento della dignitĂ spettante al membro di altre religioni e culture costituisce una dignitĂ umana di secondo livello, derivata dalla dignitĂ di Dio, creatore unico del mondo. Di conseguenza, i diritti umani sono soltanto un riflesso della gloria di Dio. Se Dio Ăš il Dio dei cristiani (o degli ebrei o dei musulmani), che non tollera altro Dio accanto a sĂ©, che fine fanno di volta in volta i diritti degli altri? LâuniversalitĂ della dignitĂ umana e dei diritti umani non sarebbero forse richieste eccessive per il Dio di volta in volta unico, anzi, non lo spingerebbero nelle braccia dellâeresia? Quando si pensa alla «somiglianza con Dio» dellâuomo in modo specificamente religioso (e come si potrebbe altrimenti immaginarsela?), non si dovrebbe forse concludere che, conformemente ai confini etnico-religiosi posti a Dio dalle religioni monoteistiche, i diritti umani verrebbero riconosciuti ad alcuni milioni di uomini e negati ad altri milioni di uomini? Se tutte le religioni riconoscessero i diritti umani solamente ai propri fedeli, negandoli ai non credenti, come potrebbe darsi allora un universalismo dei diritti umani, un suo riconoscimento reciproco e universale da parte di tutti? Forse che le religioni universali dovrebbero prima uscire dal cono dâombra del monoteismo?
Lâindividualizzazione, come abbiamo detto, Ăš unâinvenzione originariamente cristiana. Il cristianesimo si Ăš rivolto fin dal principio ai singoli, a prescindere da ceto, classe, etnia e nazione di appartenenza, e in questo senso Ăš piĂč moderno di molti suoi avversari. Tuttavia, paradossalmente, questi fondamenti di una teologia politica del Dio personale sono stati imposti alle Chiese cristiane dallâesterno. La proclamazione della concezione cristiana della dignitĂ e dei diritti umani, come afferma anche Wolfgang Huber, presidente del Consiglio della Chiesa evangelica tedesca, ha dovuto «spesso affermarsi vincendo la resistenza delle Chiese e dei gruppi cristiani». CiĂČ vale in eguale misura per protestanti e per cattolici: «Il magistero pontificio considera le idee relative ai diritti umani come âdottrine della libertĂ sfrenataâ ispirate dalla Riforma (Leone XIII), le quali sono inconciliabili sia con il...